di TOMMASO ARIEMMA
[da Kainós, 4/2004]
In uno studio legale di Wall Street, raccolto, modesto, irrompe una singolare figura di scrivano: Bartleby. Tra le sue mura intrise di utilitarismo pronto a salvare il mondo a partire dall’interiorità del singolo – pronto a carpire ogni sua confessione, a capitalizzare ogni suo segreto – irrompe un uomo di poche parole, che non sembra avere, apparentemente, alcun segreto.
L’avvocato, che accoglie Bartleby per averlo al suo servizio, si presenta – è l’inizio del racconto di Melville – come colui a cui spetta il compito impossibile di raccontare la singolarità dello scrivano, che, fin dalle prime righe, così definisce:
[…] fu scrivano, il più stravagante di quanti abbia mai veduto, o di cui abbia avuto notizia. Laddove, di altri scrivani, potrei scrivere l’intera vita, nulla del genere è possibile nel caso di Bartleby. Ritengo non esistano documenti per una completa e soddisfacente biografia di quest’uomo. Il che, per le lettere, è senz’altro un danno irreparabile. Era Bartleby uno di quegli esseri, dei quali nulla è possibile accertare, salvo ricorrere a fonti originali, che in tal caso, sono molto scarse. Quanto i miei occhi attoniti videro di Bartleby, questo è tutto ciò che so di lui, oltre, in effetti, ad una vaga notizia che verrà riferita in seguito .(1)
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