Assalto a un cinema vasto e non imbecille

Taxi-Driver2

Taxi Driver è uno dei capolavori che rende il cinema un’arte nel senso più radicale del termine.
Esso è in grado di rappresentare al meglio il dramma faustiano dell’uomo che tenta di sconfiggere la vita e ne è sconfitto.
La parabola di questo sogno al di là di noi stessi, spesso se non sempre, ha elevato le anime e gli oggetti che venivano lambiti da questo fantasmagorico sciabordio.
Purificati dalle scorie della falsa vita, gli uomini si sono resi essenziali e il mondo è apparsosplendido.
In questa semplicità disincarnata sta uno dei non minori pregi della rappresentazione artistica.
Le persone, fattesi personaggi, in tutto e per tutto verisimili e all’altezza di ciò che segretamente desideriamo, operano i cambiamenti su un mondo uniformato, mentre ciascuno di noi intimamente dispone le batterie della propria fantasia per la battaglia finale.
Quindi non è alla rappresentazione del Potere biascicante dalla tribuna del suo pubblicospeaker’s corner che Robert De Niro rivolgerà il fuoco delle proprie armi.
Sarà invece ad una più concreta moralizzazione che egli metterà mano. Una natura fallace e metropolitana, invasiva fino al punto di costringerlo a sviluppare un esoscheletro tecnologico e spaventoso (le armi e i meccanismi sotto le maniche della camicia), non è per questo meno naturale o meno distante dalla potenza riformatrice dell’uomo che, al centro della natura, non riesce ad evitare di sognare un mondo migliore.
L’avvertimento dell’assoluta naturalezza di una morale porterà il taxista ad uno scontro molto diverso da quello che pensava di affrontare.
I suoi proiettili sono destinati a far crollare la facciata del falso mondo: non quello illusoriamente apodittico del confronto democratico, bensì il territorio contingente e potentissimo di una situazione liminale, quella del pappone che prostituisce una tredicenne.
Che la facciata sia sgretolata e che il pericolo sia immane perchè imminente e concreto, è evidente dall’uso sapiente dei tempi e della rappresentazione di ciò che accade appena il massacro del pappone ha avuto luogo: si osserva la polizia recintare il sordido alberghetto, la gente accorre ma non può vedere, tutti sono tenuti a debita distanza, e il tempo del rallenti sancisce la dimensione epica e particolare di questo rischioso istante: l’istante in cui l’esistente è stato fatto implodere dalla volontà di un uomo che ha imposto un nuovo ordine.
Il taxista rientra nella normalità dopo una cura idonea: lo testimoniano gli articoli di giornale appesi ai muri, in cui si descrive il gesto eroico e la convalescenza in ospedale dell’attentatore.
Articolo e cura coincidono, in una convergenza parallela che non inquieta più alcuna anima candida, da quando non esistono più anime candide.
Chi sbaglia la lettura del momento cinematografico reagisce al colpo di scena pensando all’immoralità di un attentatore che, in forza di una falsa verità, ottiene fama di vittima ed eroe.
La patente di eroismo su una carta di giornale, tuttavia, viene concessa da chi aveva confinato una tredicenne nel regime della prostituzione e fatto, di un emarginato, un pappone nichilista col vizio del romanticismo.

Robert De Niro, lo sguardo nel vuoto, bovino, è seduto.
Col piede gioca a tenere in equilibrio il televisore, non sa se farlo cadere o meno.
Alla fine la tv cade, si sfracella.

Nel buio del cinema chiunque ha presente che, ai lati, esistono le porte di sicurezza, che nessuno di noi sa come usare, pronte per l’incendio finale.
Ha scritto Jean-Jacques Rousseau: “Non adottiamo quegli spettacoli che rinchiudono tristemente poche persone in un centro oscuro, tenendole timorose ed immobili nel silenzio e nell’inerzia”

(Giuseppe Genna, Assalto a un tempo devastato e vile – versione 3.0, pag.137-139, Minimum fax)

Questo è un brano a cui tenni e tengo molto, da Assalto a un tempo devastato e vile, che fu edito da PeQuod, quindi in edizione accresciuta da Mondadori, poi in edizione accresciuta da minimum fax e prossimamente in edizione accresciuta da [ ]. Riguarda la pellicola “Taxi driver” all’apparenza: in sostanza, no.

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