Non può esistere, per me, se non “una terza nuova cosa”, che non è sintesi di nulla, ed è invece sghemba e strana, è uno spazio alieno ed esiguo in cui il fenomeno continua. Vale per la scrittura così come per ciò che si produce e per come si vive. Nel suo facimento, una terza nuova cosa sembrerà discostarsi da qualunque ortodossia metafisica, anche se pensare a un’ortodossia metafisica significa non avere compreso nulla di metafisica. Nel pensare e nel realizzare una terza nuova cosa, invece, ci si troverà costretti a conoscere il proprio campo, a essere contadini di se stessi, a toccare i propri limiti e le altrui limitazioni. A fronte del collasso trasformativo a cui economia, politica, lavoro ed esperienza del senso stanno andando incontro, addirittura anticipandone le evenienze, la nuova terza cosa è l’irregolarità fatta norma di azione, ovvero di distacco pratico da ciò che si fa, mentre lo si fa. Questo passaggio è introdotto da una somma incertezza e da una tenebrosa paura, da un sisma interiore e dalla disperazione di una riuscita qualunque. Sembrerà che nulla abbia senso e tutto sia incapacitante. Tale nichilismo non lo è: è soltanto terrore ed è il carburante per la trasmutazione del piccolo “io” che tutti siamo.