C’è un racconto impressionante su “L’Espresso” da oggi in edicola: si entra nel ciclone del luglio 1993, quando esplosero le bombe a Roma e Firenze e Milano, mentre si suicidavano Gabriele Cagliari e Raul Gardini, in piena Tangentopoli, e Craxi crollava in un rovinare di macerie repubblicane, insieme all’intero sistema politico, dal quale emergeva, con le sue edificazioni posticce e le sue architetture mutagene, il geometra della nuova Italia, Silvio Berlusconi. A compiere questa formidabile e urgente narrazione, svelando le ultime risultanze di indagini e scavando nell’archeologia di quel fondamentale passaggio italiano, sono Lirio Abbate, Paolo Biondani, Alessandro Cicognani, Alessandro Gilioli e l’insider politico Marco Follini. Il dossier è un composito racconto storico, politico e criminale, che lascia esterreffatti per qualità di sguardo. E’ un elemento, questo, che purtroppo manca alla nazione sotto forma di largo lavoro immaginario, nonostante i “1992” e “1993” televisivi di Stefano Accorsi e malgrado la somma di scritture che si sono prodotte su quel crocevia tra democrazia negata e golpe non tanto bianco. Ciò accade per una quintessenziale malformazione della contemporaneità italica: storicizzare e lavorare con l’immaginario non sembra suscitare l’interesse la generalità delle genti. Questa stortura, che prima di essere intellettuale è anzitutto spirituale, si manifesta con delineata traumatologia proprio in queste settimane. E’ esattamente in questo punto al calor bianco della cultura civile nazionale, che Marco Damilano, direttore de “L’Espresso”, e gli autori che lavorano al magazine, compiono un capolavoro editoriale. La rivista non è soltanto e semplicemente memorabile dal punto di vista editoriale, poiché si tratta dell’operazione più qualitativa e di avanguardia in questi anni di crollo definitivo dell’editoria italiana. E’ molto di più. Gli autori de “L’Espresso” vanno a occupare la vacanza politica delle istituzioni che sarebbero preposte a rappresentare le istanze progressiste in questo Paese. Mi riferisco allo stato di ibernazione e di avvitamente verso l’annichilimento del Partito Democratico, certo. Però il progressismo in Italia non coincide affatto con una struttura politica. E’ piuttosto un sentimento diffuso di apertura umana alla realtà, che al momento non avrebbe casa: Damilano e i suoi gliela stanno dando. Le inchieste su Lega e rendicontazione del M5S, che seguono lo strepitoso portfolio sul luglio ’93, dimostrano fino a che punto di eccellenza e penetrazione possa raggiungere il lavoro di riflessione, memoria, elaborazione informativa e incisività culturale. Se la temperie attuale della nazione non fosse tanto cupa e accidentata, non avrebbe senso, per me, ragionare su questa realtà editoriale, che una volta era giornalistica e oggi è indispensabile rappresentante delle idee di democrazia e della loro circolazione. Davvero complimenti e gratitudine al direttore e a tutti gli autori del magazine più necessario e bello che c’è: leggendovi, si resta umani e lo si diventa sempre più.