Riflessioni sparse sul nuovo libro a cui dovrei lavorare

Qualche riflessione sparsa e disordinata sul nuovo libro a cui dovrei lavorare. In questi mesi mi è sempre più difficile isolare l’ossessione che muove la scrittura. Funziona così da sempre, per me: c’è un particolare, una scena, una vaga sagoma di personaggio, un fatto, un nucleo dell’immaginario – e da quell’elemento va a costruirsi il campo agonistico del libro. Anche lo studio incipiente serve per fare emergere un testo. Quando scrissi “Io Hitler”, che poi l’editore intitolò tout court “Hitler”, mi applicai a uno studio matto e disperatissimo per anni, costruendo dalle fonti e da queste desumendo pure la poetica, cioè il fatto che nulla andava inventato. Eppure ossessione e studio oggi mi sembrano orizzonti indeboliti dalla storia personale e politica che sto vivendo in quest’ultimo anno. Esistono periodi in cui la vicenda politica determina un forte spostamento dal testo letterario a quell’altro ben complesso testo che è il reale, dico il mondo spicciolo, la storia delle ore, le ansie che prescrivono di avvertire come estraneo ciò che fu la vita e la piccola vicenda in cui sono testimone privilegiato, essendo quella vicenda del tutto *mia*. Eppure bisognerebbe elaborare il prossimo libro, negli intenti, nei rapporti interni, negli svolgimenti che può assumere. Opporre la vicenda piccola alla vicenda enorme. Sentire l’impossibile alzarsi di colpo e dire: “Sono presente”. Prefigurare il futuro. Connettersi a un passato, personale o storico. Qui si sperimenta la debolezza che tutto abbassa: le velleità e gli amori, l’odio per se stessi e l’angelologia a cui si lavora scrivendo, il cronosisma che accompagna le stesure, l’aleatorietà di ciò che si fa scrivendo. Alla fine ritengo che ciò a cui lavorerò sarò qualcosa di dimile a “Dies Irae”, facendo perno su un fatto di sconcertante cronaca nera di questi anni, ma inserendo un elemento vetusto in un protocollo così novecentesco: c’è dell’Ottocento da tradurre in questa nebula astratta e drammatica che si vive, tempo digitale in cui la cosalità, anziché darsi a scomparsa (e sta effettivamente scomparendo, perlomeno nei canoni con cui era dato percepire la cosalità), ricompare dura, metallica, chiama in correo, spinge a un progresso che desidera annullare la propria cecità. Un racconto morale? Una varianza hugoliana in pieno presente e in quasi futuro? Chi saranno i personaggi che in una simile costellazione fanno da astri o da asteroidi? Mi perdonerete se non avrò il successo che molti altri scrittori sortiscono con i loro testi?

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