L’altro giorno ero nella galleria Vittorio Emanuele, incongruamente, a prendere il primo aperitivo della mia vita nella galleria Vittorio Emanuele, in compagnia di un mio amico che stimo tantissimo, sotto ogni punto di vista, un intellettuale e una persona vibrante, un’umanità profonda messa al servizio dell’intuizione, soprattutto dell’intuizione di un Paese, il nostro, dalle passioni intense e dalle fragili strutture, ma anche dalle passioni repentine e dalle perenni strutture. Si parlava dell’invenzione. Questo mio amico è autore di un testo pazzesco, dove l’invenzione sembra non avere asilo, semplicemente perché è sostituita dalla perforazione della verità, che è il fondo del lavoro letterario. “Cosa contraddistingue lo scrittore?” gli chiedevo e lui: “Il vedere”. Quanto ha ragione l’amico, nel tempo in cui le storie entrano in crisi per sovrappiù di nonsenso e di produzione degli storytelling, dei plot, delle esercitazioni di genere? E’ un tempo in cui la cosiddetta creatività, che è un sostantivo da cui vorrei prendere le distanze da e per sempre, è spesa al servizio non del progetto e nemmeno della multidisciplinarietà, bensì del soddisfacimento istantaneo, uno sfregamento di mucose tra istrici. Non è questione tra realtà e finzione: è questione di verità o assenza di verità. Il progetto è una tensione al senso, un campo di forze in cui la casualità, lo scherzo, il gioco e soprattutto l’errore svolgono un ruolo imprescindibile e determinante. Questo mio amico non sa e non concepisce il fatto di essere al momento uno dei migliori scrittori della nazione, ma tant’è: perché perfora il vero e manda ad abissalità tutto l’esistente, a partire dalla memoria e dal cuore, che sono peraltro emblemi uno della finzione e l’altro dell’autenticità. Che si possa ancora dire tutto ciò, che lo sguardo ancora sia considerato un’opzione possibile e che la parola scritta si connetta per via di verità alle scritture più sacre – non è soltanto una consolazione: è anche questa una verità, che non smette di lavorare le teste umane, le pance umane, l’apparato circolatorio e nervoso degli umani, queste bambole fatte di angelo e di demone, questi ossimori su due gambe, queste oscenità tenerissime, queste sconfortanti irrealtà, che, come diceva Rino Formica (!!!) della politica, sono sangue e merda. E’ un tempo cupo e splendido, un’apertura sconvolgente di orizzonti che soltanto i cretinetti dell’usuale ritenevano e ritengono impensabili. Così palpita l’amore e il vero secondo il tempo insincero e feroce. E’ vita, è letteratura. Annuncio così il mio nuovo libro.