Ho appena toccato la metà precisa della stesura del nuovo libro. A differenza del metodo di lavoro impiegato solitamente, il romanzo imporrà una seconda stesura. I motivi risiedono nel fatto che il libro si rivolta contro l’autore. Rappresentante di una storia ben precisa, e cioè quella dell’estremità del Male irradiata dallo zero umano, esso rifugge alla narrazione in quanto invenzione. Non è possibile fingere, come avevo previsto, non è possibile deviare attraverso la retorica dell’ucronia, dell’inserzione di personaggi fittizi.
Ciò che accade è che il romanzo si rivolta e vuole essere romanzo: un autentico romanzo storico, in cui, accanto ai fatti, di supporto avviene la storia inventata. Il romanzo sente la mancanza della carne, che del resto è totalmente assente accanto al protagonista. Questa impressionante assenza e questo isolamento che non permette, se non a prezzo di oscenità, la collocazione dell’invenzione, coniuga il romanzo alle narrazioni antiche: quando il fatto storico veniva gonfiato e distorto, ma rimaneva il fatto reale. Si era ben lontani dal genere romanzesco, millenni dovevano trascorrere prima che si arrivasse a questo artificio narrativo. Sarò quindi costretto a rivedere, in un secondo tempo, il percorso, i momenti, le singole metope che disegnano questa vicenda. Dovrò enfatizzare alcuni aspetti, alcuni volti, alcune figure reali, climatiche, storiche, senza che ciò sia di detrimento alla rappresentazione naturalista e sperimentale che è la quintessenza del romanzo.
E’ una fatica titanica e io sono stravolto.
Ciò che determina la difficoltà, infine, è la persistenza del non-umano all’interno di un quadro che, essendo storico, è anche morale. Ogni approccio umanistico è reso vano dalla figura intorno a cui il libro fa perno. La psicologia esistenzialista e fenomenologica, oggi in gran voga, per esempio, crolla di fronte a questa impresa. Pubblico, per verifica di quest’impossibilità, un intervento di Piero Paolicchi, che riassume l’approccio psiconarrativo con cui si crede oggi di potere osservare l’uomo, attraverso il potere dell’autonarrazione.
Lo zero che irradia il Male mette in crisi la narrazione: questa verità avevo intuito, questa verità sto subendo, in un confronto all’ultima parola con l’impenetrabile che è il non-umano.
LA COSTRUZIONE SOCIALE DEL BENE E DEL MALE
di Piero Paolicchi
Un filone parallelo e non meno importante si era andato d’altronde sviluppando sulla linea della fondamentale definizione formulata dalla scuola intrapsichica che va da Vigotsky ad Arieti [nella foto], degli esseri umani come “agenti mediante strumenti culturali”. Ad essa si rifanno alcuni dei più importanti contributi in psicologia negli anni a cavallo tra i due secoli e nel momento attuale. In tale prospettiva si colloca la linea di ricerca più specifica della “psicologia narrativa” che vede l’essere umano come animato soprattutto dalla “ricerca del significato”, e la cultura come luogo di creazione e ricreazione continua di significati (Bruner, 1990). La cultura e la ricerca del significato sono considerate le vere cause che determinano l’azione dell’uomo. Diventa quindi fondamentale lo studio di quei processi mediante i quali ogni essere umano ‘costruisce’ e ‘rappresenta’ il mondo entro il quale agisce e le ragioni che lo spingono ad operare in esso. “Con la costruzione di storie, fino dall’infanzia, all’entusiasmante esperienza del disporre liberamente di materiali per creare si aggiunge così quella dell’affermare la propria identità e autonomia”. Ciò significa essere responsabili delle proprie azioni e delle esperienze che vanno a costituire una “vita narrabile”. D’altronde, in generale, nelle narrazioni è sempre presente una dimensione morale, implicita o esplicita che sia: attraverso le narrazioni vengono trasmessi non soltanto contenuti e competenze per l’azione, ma anche orientamenti e motivi per agire.
Sviluppo morale e sviluppo dell’identità in questo modo appaiono non solo interconnessi, ma entrambi aperti, anzi particolarmente adeguati, all’impiego di una prospettiva narrativa in cui tale sviluppo sia appunto affidato alla specifica capacità del pensiero narrativo di fondere insieme sentimenti, pensieri ed azioni, per comprendere i fatti umani. E’ infatti in termini narrativi che gli uomini danno senso alla propria vita: essi riferiscono ciò che accade intorno a loro e ricostruiscono ciò che è già accaduto esattamente nei termini di eventi intesi come storie (Paolicchi, 1994). Come ogni altra esperienza, anche le decisioni e le azioni morali sono strutturate e riferite primariamente in forma narrativa. Ciò che appare indubbio, anche osservando gli avvenimenti del secolo scorso e le cronache attuali, è che la razionalità umana non elimina la problematicità delle questioni morali e le conseguenti possibilità di conflitto. Qualsiasi decisione non può essere il risultato di scelte automatiche ed assolute, ma richiede la definizione e applicazione di criteri di priorità tra molteplici possibilità, per la stessa complessità del sistema motivazionale umano. La separazione tra processi cognitivi e affettivi diviene in questo quadro insostenibile: pensiero ed affettività si intrecciano in modo inestricabile influendo entrambi sulle scelte e sulla vita degli esseri umani. Per capire e spiegare il giudizio e l’agire morale quindi “appare necessaria una diversa e più complessa immagine degli esseri umani, per i quali la distinzione netta fra fatto e valore, soggettivo ed oggettivo, assoluto e relativo, conoscenza e affetto, tende a ridursi e scomparire nel quadro dei significati che essi producono per convivere con se stessi e con gli altri” (Paolicchi,1994, p. 162). L’azione morale, come qualsiasi altro atto umano, si iscrive infatti in una rete di relazioni col mondo e con gli altri che non è solo una rete di rimandi a principi, definizioni, calcoli di conseguenze oggettivi e astratti, ma una complessa struttura narrativa che, muovendo da una concreta situazione presente, da questa va verso il passato e verso il futuro personali, per tornare sul presente a cui dà un senso e una direzione. Quando un persona si trova davanti un ‘dilemma’ morale che richiede una scelta o un’azione morale, ciò che pensa, ciò che sente e ciò che fa, sono aspetti intimamente legati, tutti indispensabili per capire sia la scelta compiuta sia la sua narrazione in un momento successivo. La vita morale può essere compresa solo facendo riferimento ai comportamenti che scaturiscono dall’esperienza reale, e non a risposte verbali a dilemmi immaginari; le risposte morali riflettono il carattere di una persona e la particolare situazione in cui si trova ad agire, che non possono essere ridotte a semplici proposizioni astratte. Il contesto di esperienze comuni significative è ciò che produce il tipo di moralità espressa dai membri non tanto nelle discussioniastratte, ma nella presa di decisioni e nella loro attuazione. Per questa via si torna alla questionedell’universalità o relatività dei valori, e del loro possibile conflitto, che anima drammaticament eanche il dibattito attuale.
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