e decaddero dallo stato naturale, o si corruppero. Dunque l’aprir gli occhi, dunque il conoscere fu lo stesso che decadere o corrompersi; dunque questa decadenza fu decadenza di natura, non di ragione o di cognizione.
E non apro gli occhi.
I testimoni riferiscono che
E andiamo, io e te, andiamo dove l’aratura è secca, la terra è disseccata, il ceppo d’albero affiora lontano, è scavato all’interno, la miriade armillare di noduli in legno, e potrebbero rinverdirsi di colpo, germogliare, oh astri!, terra disseccata, dove sono lontane le due sagome incarbonite, e non è sole, non è sole nero, non è vero, la verità è un battito cardiaco che si controlla a mezzo di esercizi a esso fine preposti, e potrebbero germogliare. Sporgi la mano nel cavo buio del ceppo vuoto, pura corteccia, fattasi minerale. Incàva. Quei noduli sono età passate, soli condensati, collassati, non preziosi, senza diamante al fine del proprio processo di consunzione e questo sono io.
Andiamo dove la polvere bianca impolvera. Andiamo dove è morta una persona, io cieco. Controlliamola. Tastiamola. Riconosciamola. E’ la madre. E’ il padre. Sono io. Sei tu. Un corpo disteso, teste dentro teste, la cecità è un’ipnosi che inserisce in altre anime, una interna all’altra, una statua interna all’altra, un volto di gesso dentro l’altro, il più interno ha la bocca spalancata per divorare il successivo, il successivo sta serrando le mascelle, il successivo le chiude, l’ultimo volto ha labbra serrate, lingua nera, una fabbrica di insetti nella tempia destra, una pupilla d’oro, un campione di straccio povero, il filo di ferro attorno al collo prima che la botola si apra.
Andiamo prima che la botola si apra.
Corpo di cera, disteso, a due teste, su letto di lapis nero. Teste coronate, corpo che tasto senza definire.
Sto così.
Palo di metallo piantato.
Ho fatto quanto ho fatto e ancora non sono inutile.
Macchina del corpo, tronco che pena e sente. Prima pena, quindi sente.
Oro, miraggio, spazio estragalattico, sottomanto alluminosiliceo, fuoco in pira spiraloidale, nevi intatte, crepe di spaziotempo, punti di discontinuità dove affonda tutto, riuscendo stellare, inversione cromatica – ecco i sogni.
E sono qui compresso.
Sono qui compreso.
Solo, innestato in me, te premente, te pressa, te falce, te arrecante, te innevata in calore di fiato dolce, te fiori che odii, te appassita come me.
Aiutami, scusami.
Provatevi a separare i gemelli siamesi. Sìam dei prodigi, terra dei banjan sotto i quali all’ombra sto, riparato dal sole, leggendo il verso: “Per la gran parte della notte leggo, d’inverno vado nel sud”.
La mia pelle è pergamena, la mappa indica i gorghi, evidenzia le secche. Sono geografia. Si innalza lo sguardo sull’intera geografia, ogni geografia posso vedere se.
Tu del se.
Tu del credo.
Tu della speranza che non violenta.
Il corpo si avvicina all’altro: oh, sororale
Oh sororale astro
E in campi diversi ho ricevuto una trasmissione diretta
Fonte di questo lavoro è stata la creazione degli attori: da dove? Il loro annullamento
Si può leggere nei testi antichi Noi siamo due. L’uccello che becca e l’uccello che guarda. Uno morirà, uno vivrà
Tu, che non becchi e guardi e vivi. Io, il morto: la persona di pietrisco, la persona di porfido, composto, letamato, scomparso. Oh, fosse così, così che…
Cito: “Tra l’uomo interiore e l’uomo esteriore c’è la stessa differenza infinita che fra il cielo e la terra”.
Se rientro, questo sfondamento è più nobile della mia uscita fluendo.
Quando arrivo là nessuno mi domanda da dove vengo né dove sono stato: là sono quello che ero, non è nessuno.
Te nessuno. Amore eterico per te nessuno.
Cresci in dolcezza, decresco in nobiltà.
Non cresco e non diminuisco, perché sono: imparalo non con gli occhi, imparalo non con gli orecchi, imparalo non con il cuore.
Imparalo con il punto che sei, non visibile, non visto, che vede te ed è te.
Sepàrati da te, Giuseppe Genna. Nel regno dei secondi apprendi il coro ripetuto di questo esicasmo, ricercato nell’esistenza densa tua. Così densa, così impiombata…
Impara: sepàrati da te, da questa pena della sera che macina le stelle, le annulla in polvere di carbonio, chiude il manto su di te che sei quanto non sei.
Tu che sei quanto non sei.
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