
Impressionante la coincidenza tra gioco, nazione, antropologia e *sistema*, che uno o una, capitato o capitata davanti a uno schermo televisivo, ha potuto rilevare dall’apocalittica inconsistenza della squadra di football italiana, impegnata a perdere gli ottavi di finale dell’Europeo 2024, in quel di Berlino. Laddove peraltro aveva vinto una coppa mondiale che già non disponeva più del lucore e del territorio del mito, perché dal 1982 al 2006 erano successe tante cose: era accaduta l’Italia, anzitutto, da De Mita a Berlusconi, passando per il suicidio di Gardini.
Cosa è dunque capitato? Niente. E’ capitato il niente. Come quei teologi à la von Balthasar, che temono in perpetuo che l’inferno sia un luogo essenzialmente e sempiternamente vuoto, al niente si è assistito in campo e si è dunque portata assistenza al niente. Il niente era visibilissimo, come sempre è, nel match con la compagine rappresentante la Svizzera, nazione che non lo è mai del tutto, poiché divisa in tre sistemi linguistici i più diverse e conciliabili solo con l’ispessimento gutturale e la pesantezza idiolettica, a comporsi in unità ammirevolmente neutrale e bancaria tra ventisei aree definite cantoni, essi cantoni dai nomi che paiono usciti dalle fantasie chimiche di un Bassotto in delirio ecstatico in quel di Topolinia, visto che si va dall’Argovia a Soletta, dalla Turgovia a Svitto, verso Glarona, sopra Nidvaldo e Obvaldo. Sic stantibus rebus, come è giusto che sia in questo passaggio storico che sta facendoci fuoriuscire da qualsiasi quadro storico, non c’era né sic né stantibus né rebus. C’era la Svizzera e basta: e abbiamo detto tutto.
Tra le varie e molte cifre della nostra contemporaneità, che sono molto più che ventisei, ovvero il numero dei cantoni confederati elvetici, tra i quali Appenzello Esterno e Appenzello Interno, possiamo annoverare un violento e completo collasso del principio di realtà, nelle sue vesti di principio di non contraddizione. L’implosione aristotelica non è sostituita ancora da un principio guida, sia pure random, come il quantismo, nella nebula dell’oggi che segue le prime dimissioni papali nella storia moderna e la prima pandemia vissuta nel pianeta unito e consapevole di ciò che succedeva in tempo reale su tutta la sua superficie e infine lo scatto ben oltre il crepuscolo da parte del dominio internazionale americano e della civiltà moderna europea.
Certo, era soltanto una partita di pallone. Però qualche suggestione psicosociale se ne potrà trarre. A partire dallo spot tv di un concorrente sul canale che trasmetteva, una pubblicità con una vestita da capitano Nelson, con dei labbroni tali che non voglio manco sapere chi sia, la quale si mette a osservare un assedio per mare tipo Lepanto, con le galere e le fregate dalle vele istoriate con i colori sociali delle squadre italiane che partecipano alla prossima Champions – e lo slogan che vanta che ci saranno più squadre di prima, quindi più partite di prima, quindi più spettacolo, più gioco, più divertimento. Il principio inflativo non dovrebbe mai essere ignorato, ma qui siamo all’abbecedario bellamente ignorato. Non c’è più gioco, ci sono solo più partite, lo spettacolo non si sa più cosa sia, la memorabilità va in soffitta da mo’. Era sufficiente questo sketch tra Trafalgar e l’Isola dei Pirati, per morire dolcemente dell’eutanasia a cui si sta destinando la società democratica e liberale, con le sue ipermasse frustrate senza ragione se non quella materiale, che è certamente abbastanza, ma non propriamente tutto e alla quale reagisce priva di regista e di movimenti organizzati e di sistema di gioco, come direbbe quell’eversore linguistico che è Antonio De Gennaro, ammesso che ancora qualcuno possa essere linguistico e anche qualcosa abbia la capacità per diventarlo. Quanto agli eversori, sono tutti al potere o stanno per andarci (mentre si scrivono queste parole, alle ore 12, già più di un quarto dei francesi si è recato alle urne per le legislative e sappiamo tutti a votare chi e cosa).
L’andamento lento non era un andamento. Lele Adani non è un’entità retorica e tantomeno scenica. Stramaccioni vale il cognome. Luciano Spalletti non indossava a bordo campo quella giacchettina di Armani che non lo è (non è giacca, in quanto Armani continua a essere Armani, non è Doppelganger). Nessuno spinterogeno e nessun midollo, non un’idea, non un’organizzazione. Nemmeno il novissimo “calcio fluido” o “relazionale”, quello di Thiago Motta per intenderci, allenatore che ha fatto evolvere a Bologna ben tre elementi della nazionale elvetica, che infatti hanno distrutto le linee, i vuoti, i tagli e le posizioni canoniche. L’informale al potere.
Ora, che il principio inflativo determini una svalutazione del gioco, ci sta. Che non si veda invece che il gioco è ormai degiochizzato, e che coerentemente con se stessa l’Italia sia all’avanguardia di questo processo, è grave e in linea con un tempo che sta trascendendo la possibilità stessa di esistenza di ogni canone. Nel gioco alberga e incombe non la morte del canone gioco, la quale non avviene mai (dopo una partita, ce ne è sempre un’altra, dopo un torneo un altro), ma l’urgenza stessa, purgatoriale ed estranea addirittura a ogni estremo, di uno stato anodino e impotenziale, in cui il gioco di sospende. Un’aura azzurrina ha il purgatorio e noi appunto siamo gli azzurri. Simili a cianotici e azzurrognoli cadaveri semoventi e dunque in piena coerenza con il fantasy zombie che ha conquistato le dieci generazioni più recenti (una generazione vale tre anni), pallidi come l’incarnato di Fagioli (regista titolare dopo sette mesi di squalifica per ludopatia e tre o quattro partite giocate prima della fine del campionato, in quella propaggine avanzatissima nel regno della sospensione del gioco che è stata la Juventus di Massimiliano Allegri, vera profetessa di tutto l’universo mondo del fùtbol), subornati da un’onomastica indicativa (Scamacca, Zaccagni, Cristante, ma già eravamo passati un tempo per Faloppa e Paròlo), moltiplicati gli schemi a prescindere non solo dagli uomini ma dagli schemi stessi, noi abbiamo assistito all’unica occasione di assistere: ciò che non avevamo mai visto era la sospensione del vedere, cioè il continuare a vedere qualcosa che si vede e però non si vede nulla, tutto grigiazzurro appunto, tutto al di sotto degli standard elvetici, che non dobbiamo scordare costituire la più antica democrazia moderna in Europa e non solo, ma nemmeno dimenticare che come eroe nazionale ha uno che tira una fraccia con la balestra sulla testa di suo figlio, come una specie di Isacco che nessuna mano divina ferma (non esiste uno Javeh svizzero) o di Newton che si fa cadere apposta la mela sulla nuca.
Il volto del presidente della federazione giuoco calcio Gravina, aggettivo perfetto per la situazione, la dice lunga da molto tempo. Quello che ha combinato con la Juventus a campionato in corso l’anno passato è emblematico dell’inesistenza del gioco del calcio in epoca contemporanea, quando diventa battaglia legale e questione di fondi dietro a fondi che vendono a fondi e sta per essere sostituito dall’e-sport corrispondente (ormai i droni in campo restituiscono riprese imitate dalla Play, così come le mossette di festeggiamento dei calciatori simulano quelle dei pixel e financo le loro magliettine slim fit multicromo tra il tragico e il grottesco).
Le conferenze stampa di Luciano Spalletti aggiungono poco a ciò che già si sa: il niente è in grado di emettere sillabe attraverso la Pizia o di bussare a un tavolino a mezzo medium, figuriamoci un ct cosa può antevedere sporgendosi sulla prora italica. Al termine della più importante, tutto rimane come era, il progetto è pluriennale, nessuno va a casa, la casa non c’è più e anche nessuno scopre di essere quello che è: nessuno.
Gli italici abitanti dell’italica pensiola, primi a inventare il fascismo, primi ad avere un partito ortodossamente comunista votato da un terzo della nazione, primi a sfasciare una classe politica intera tranne i comunisti alla caduta del comunismo, primi a mettere al potere un tycoon barzellettiere, a sdoganare il fascismo senza nemmeno chiedergli un plisset repubblicano, a portare al governo non uno bensì due movimenti populisti, a vedersi esplodere nella produttiva Padania il virus che in occidente ancora non era deflagrato, a ospitare un’intelligence nemica durante una pandemia, ad attendere che altri fascismi raggiungano il nostro e ne corroborino il passo sulle vie della provvidenza che vede e pare non provvedere – noi, gli italici, i figli e sudditi del Turno di turno, in eterna attesa che arrivi il proprio turno, risultiamo storicamente primi di nuovo, una volta di più, mimetici di noi stessi, in questa antropologia di avanguardia pressoché infinita ed eterna (sia l’antropologia sia l’avanguardia), raggiungendo vertici calcistici e inumani che si sporgono nel vuoto cosmico, nell’inesistenza non degli infiniti mondi, che pure teorizzammo sempre noi italici ma mettendo al rogo quello di noi che li teorizzò, bensì di nessun mondo all’orizzonte, anzi nessun orizzonte all’orizzonte, privi di lingua e capaci dell’ultima nefandezza: non esserci, per continuare a essere.
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