Trump e le foto che non cambiano la Storia

Potremmo chiedere se, pietosamente, esistendo un dio delle illusioni o un piccolo amico in cielo, può piovere sul pianeta la grazia di vivere tempi meno interessanti? Sistole e diastole della storia umana, in questo passaggio di era, stanno mandando in fibrillazione l’intero organismo che è la specie.
E’ pressapoco dalla crisi dei mutui subprime, ormai quindici anni orsono, che la storia dà colpi potenti di giorno in giorno. Lo ha sempre fatto, del resto. Solo che il sistema nervoso del pianeta era più disteso e meno comunicativo. E il tempo accadeva realmente e non in tempo reale. Elettrificato, il network di sinapsi mondiali vede l’informazione e istantaneamente la condivide. Tale condivisione isterizza la reazione e anche il contenuto si adegua all’enfasi istantanea, diviene enfasi della storia, qualcosa di urlato o insopprimibile al momento, per incidere in una memoria che non c’è più come prima.
Tutto questo avviene nella civiltà dei big data, con gusti da big data, economie da big data e, ça va sans dire, futuro da big data. Ciò significa: allontanamento dell’umano metropolitano dal preumano che era, a partire dalla connessione con il proprio comparto emotivo, fino a un rapporto a dire poco equivoco e certamente aumentato dal punto di vista cognitivo. Perché parlare di “umano metropolitano”? Le proiezioni più recenti stimano che circa il 70% della popolazione mondiale sarà concentrata in spazi urbani da qui al 2050. Cioè, quasi sette miliardi dei quasi dieci miliardi di umani sul pianeta vivranno in megalopoli e città sovraffollate. Nel frattempo saranno intervenuti rivoluzioni digitali e protesiche, nanotecnologie e AI e genetica a permutare praticamente ogni aspetto della vita umana sul pianeta Terra e non solo (non solo umana e non solo pianeta Terra), includendo pure la possibilità di ulteriori avanzamenti nella crisi climatica e ambientale, oltreché di incidenti bellici di portata nucleare.
Questo, lo stato delle cose. Lo stato dell’arte.
Nella messa in moto dell’immane meccanismo appena accennato sopra, questi ultimi quindici anni di banda larga hanno segnato la storia ma non la memoria collettiva. La più grande crisi finanziaria dell’intero occidente (in un tempo in cui questo sostantivo non si sa bene cosa significhi), le prime dimissioni di un pontefice che sopravvive alla sua carica per molto tempo, la rottura dell’Inghilterra con l’Europa, la pandemia di un virus vissuto in diretta mondiale su tutto il pianeta, un tentato golpe negli Stati Uniti con gli sciamani armati a Capitol Hill, la folla di bolsonaristi che invade il parlamento a Brasilia, il cruento e intollerabile conflitto mosso dalla Russia sotto autocrazia contro l’Ucraina, il rischio ogni giorno che venga bombardata a Zaporizhzhia la centrale nucleare più grande d’Europa, una risposta inimmaginabile per tragedia ed estensione di Israele ad attacchi terroristici palestinesi con conseguente devastazione dell’ordine del Medioriente, l’onda nera europea e la certezza smentita all’ultimo che i fascisti avrebbero preso il potere in Francia, le elezioni americane con una campagna elettorale angosciante e la più grande shitstorm che un presidente si sia preso da media e alleati dai tempi di Nixon solo perché è anziano.
Certo, la storia è sempre stata questo. E’ un massacro infinito, una distrazione infinita. Chi in Italia sentiva il dramma siriano solo qualche anno fa? Si sta dunque trattando qui di prospettiva europea e italiana, in effetti. Luoghi di avanguardia della storia? Nemmeno questo è certo. Tuttavia si parla da una piattaforma al centro del mondo, per dirla letterariamente.
Da questa penisola, che non è solo l’Italia ma tutta l’Europa che si inoltra nell’oceano della storia.
Dalla prora spunta un’ulteriore polluzione notturna, che è l’attentato a Donald Trump. E’ qualcosa di inedito? No. Si è sempre attentato alla vita a re e principi, in America in special modo in età contemporanea. Il candidato dem dell’Alabama Wallace perse nel 1972 contro McGovern le primarie perché, colpito quasi a morte da tale Bremer, rimase paralizzato. La memoria collettiva stenta a ricordare l’attentato a Reagan. Ha del tutto cancellato quello a Bush (nel 2005 il presidente George W. Bush a Tbilisi in Georgia teneva un comizio, quando gli fu lanciata addosso una bomba a mano, ma la granata non esplose).
L’enfasi e l’isterizzazione, a cui va acclusa l’idea che il presente momento è l’unico momento, pronunciano una sentenza imbelle a proposito del segno lasciato dal tentativo di omicidio del ventenne Crooks a Butler, Pennsylvania. Il segno sarebbe non tanto la conseguenza politica, che è tutta da soppesare e commisurare a un’elezione mai vista prima (il presidente USA potrebbe ritirarsi dalla corsa da un momento all’altro, l’antagonista vittima dell’attentato è per sua stessa ammissione un golpista, nel senso che ha promesso di essere dittatore dal giorno uno della sua prossima eventuale presidenza) – quel segno sarebbe l’immagine storica, scattata quando Trump viene rialzato e a pugno alzato urla di continuare a combattere. L’immagine storica è ciò di cui sono nostalgici operatori culturali e mediatori commentatori giornalisti scrittori inviati analisti geopolitologi esperti. L’immagine per costoro è ovviamente iconica. Non sono invece nostalgici, ma impegnatissimi a secernere parole su parole, complottismi su complottismi, preghiere su preghiere, sviste su sviste, i protagonisti anonimi che popolano la sconfinata folla on line dei big data parlanti su social.
Nel vorticare di sconcezze e futilità, che fanno il senso del tempo, recupero qui sotto, un’immagine generata da AI, a cui è stato chiesto di elaborare il momento di un attentato a Butler in Pennsylvania a Trump, ferito all’orecchio mentre teneva un comizio su un palco.

Immagine generata da AI con questo prompt: “Failed attempt to Trump in Butler, Pennsylvania. He’s wounded at his right hear at the stage of a public speech. There is sun and the pic is in colours”.


Ciò che è accaduto è storia? E’ Storia, con la maiuscola rievocata come in una seduta medianica? Ricorderemo? Ricorderanno?
L’analisi estetica della fotografia già la dice lunga. Si pensa all’immagine come a un veicolo comunicativo, una sorta di elettrico influencer né organico né inorganico che determinerà il futuro. La si mette in relazione con altre immagini, le quali non sprofondano mai in un passato realmente storico, ma si relativizzano in un passato prossimo, che qualche figlio del boom o figlio di figli del boom vagamente ricorda. Altrimenti è tutto tra ieri e oggi (Paolo Giordano commenta a partire dal film di Garland, “Civil War”, uscito quest’anno).
La fotografia, immagine fatta di storia e strappata alla storia, mostra l’anima del tempo? Mostra l’anima di ciò che la fotografia è: sottrazione d’anima per esposizione della medesima. L’ipervisibilità ha determinato una progrediente anestesia nei confronti sia del memorabile sia del significativo sia del bello. Il crollo del principio di realtà, nella sua realazione parentale con il crollo del principio di non contraddizione, fa sì che si intensifichi la corrente di simboli non più simbolici e di memorie non più ricordate e di elementi significativi che non sono più né elementi né portatori di significato. Un Papa che è un Papa che non è più un Papa ed è un Papa ma solo emerito, oppure un virus planetario che il pianeta si scorda nel giro di 12 mesi o una centrale nucleare che sta per esplodere e nessuno ci bada: elementi non elementali e memorie rievocabili sì, ma scordabili un secondo dopo l’evocazione. L’impero delle fake news, di cui il monarca comunicativo è colui a cui hanno sparato nel ridente stato pennsylvano, è sintomatico di una profusione di informazioni (parole, immagini, tonalità, acronimi tipo OMG o LOL, meme, cateratte televisive e digitali), in cui non c’entra più lo scambio di ruolo tra vero e falso, perché ormai bisogna solo osservare attentamente cosa è tollerato da un sistema nervoso umano non aumentato e cosa invece viene vissuto per essere all’istante vaporizzato in un oblio leggero e inconsapevole.
Hanno sparato al candidato alla presidenza. Cioè a un condannato per stupro sotto indagine per golpe, che nonostante questo è sconvolgentemente in testa ai sondaggi. Il suo antagonista è un presidente anziano che in tre anni ha ribaltato economia e società, aggiungendovi prosperità, e viene assaltato dai media e da qualsiasi parlante in tutto il mondo perché biascica, mentre il mentitore condannato e candidato non viene smentito e si permette di dire che non c’entra nulla con un manuale per un perfetto golpe scritto e pubblicato da 140 partecipanti del suo staff e sei suoi ex ministri. I fatti sono questi. Ed è storia: non segno, non simbolo.
Questo è il tempo del nonostante questo.
La memoria è in transizione verso un ricordo totale, ubiquo, akashico, quando sarà digitalmente aumentata all’interno dell’organismo umano telepate, un wikipedia a disposizione sempre, come un navigatore della storia e dei saperi. Allora cambierà anche la sostanza di ciò che oggi è un quesito: cambierà cioè la domanda in sé. La mutazione della memoria e dell’interrogativo, che diventerà una interrogazione processata in un sistema più o meno neurale, renderà l’estetica big data qualcosa di inimmaginabile o, come abbiamo visto soltanto ieri, immaginabilissima. L’immagine sarà questo neologismo: un’immaginabilissima.


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