Umano e Disumano: Homo sapiens e Homo demens per Morin

x.jpgNonostante io desideri perseguire una poetica di mimesi che si autodistorce (il motto popolare che la realtà supera la fantasia), il romanzo, percorrendo i binari della realtà non conduce soltanto a una soglia insuperabile in cui la rappresentazione DEVE arrestarsi (pena: un’esplosione di oscenità che altro non è che l’inveramento del Male propalato), ma porta direttamente a una finzione storica autentica, che è il delirio. Va detto che la Cosa che irradia il Male, per tutto lo svolgimento della sua indegna esistenza, è un atto di finzione dietro l’altro, ma con modalità politiche per cui sappiamo perfettamente come un politico indossi maschere a seconda dei momenti. Qui si tratta tuttavia di una finzione storica estrema, perché espressione di un’eccezione e comunque mirata a un fine che non coincide affatto con le mire delle finzioni stesse operate dal politico, secondo le apparenze. E tuttavia, avvicinandomi alla fine, storicamente, ecco che ravvedo emergere il delirio dell’epilettico. Se alla finzione, assai poco interessante in quanto preventivamente calcolata e quindi pessimamente letteraria, dei discorsi pubblici (la letteratura ad usum del Male: ecco a quale punto si è giunti…) intendevo sostituire una finzione più vera della realtà, mettendo in bocca al posto delle arringhe pubbliche i discorsi privati dello “zero” che fa da protagonista al libro, a un dato momento droghe e nervi contribuiscono all’emersione della veracità degli intenti sepolti e manifesti, trattenuti e trascinati per decenni: le reali intenzioni, che sono il Male, in forma di finzione retorica vera, un paradosso soltanto apparente, poiché si tratta di uno sconfinamento, anche linguistico, in zone di immaginario megalomaniaco e patologico: in delirio veritas.
Si pone, dunque, prima della fine, un nuovo estremo problema, che riguarda questo “zero”. Non potendo farne una deità lovecraftiana, devo comunque rappresentarne il delirio. Prima di quell’istante, il delirio e l’epilessia sono calcolati; nel periodo finale, il delirio è autentico. E dice più verità del delirio attoriale.
morin.jpgSoccorre, per le pratiche retoriche intorno a questo genere di delirio, un saggio di Edgar Morin [a destra], che precisamente va ad appuntarsi sul nesso iniziale e finale di cui il romanzo cerca di tratteggiare la vicenda: si intitola Cultura e barbarie europee (Raffaello Cortina Editore, pagg. 91, 9 euro) e ne riproduco un brano, qui di seguito. E’ un discorso pericoloso, che io utilizzerò ex contrario: esso testimonia il tentativo di fare reggere il principio dell’Umanismo (l’uomo che fa il male crede di fare il bene) che proprio la Cosa del romanzo ha spezzato per l’Occidente industrializzato del suo futuro, che è il nostro presente.

I RAPPORTI FRA L’HOMO «SAPIENS» E QUELLO «DEMENS», DUE CATEGORIE CHE SEMBRANO CONTRAPPOSTE MA SPESSO COINCIDONO
di Edgar Morin
8860300614g.jpgNel corso dei miei lavori ho cercato di mostrare che le idee di Homo sapiens, di Homo faber e di Homo economicus erano insufficienti: Homo sapiens, dalla mente razionale, può, allo stesso tempo, essere Homo demens, capace di delirio, di demenza. Homo faber, che sa fabbricare e utilizzare attrezzi, è anche capace, fin dai primordi dell’umanità, di produrre innumerevoli miti. Homo economicus, che si determina in funzione del proprio interesse, è anche Homo ludens, del quale ha trattato qualche decennio fa Huizinga, cioè l’uomo del gioco, del consumo, dello sperpero. Dobbiamo integrare e legare questi tratti contraddittori. All’origine di ciò che andremo a considerare come la barbarie umana, si trova certamente questo aspetto «demens», produttore di delirio, di odio, di disprezzo e di ciò che i Greci chiamavano hybris, la dismisura.
Si potrebbe pensare che l’antidoto a «demens» si trovi in «sapiens», nella ragione, ma la razionalità non può definirsi in maniera univoca. Spesso crediamo di essere nella razionalità mentre siamo nella razionalizzazione, un sistema assolutamente logico ma che manca della base empirica che permette di giustificarlo. E sappiamo che la razionalizzazione può servire la passione, se non condurre al delirio. Esiste un delirio della razionalità chiusa. Homo faber, l’uomo fabbricatore, crea anche miti deliranti. Dà vita a degli dei feroci e crudeli che commettono atti barbari. Ho ripreso da Teilhard de Chardin il termine «noosfera», che nella mia concezione designa il mondo delle idee, delle menti, degli dei prodotti dagli esseri umani in seno alla loro cultura. Sebbene siano prodotti dalla mente umana, gli dei acquisiscono una vita propria e il potere di dominare sulle menti. Così la barbarie umana genera degli dei crudeli che, a loro volta, incitano gli esseri umani alla barbarie. Noi plasmiamo degli dei che ci plasmano. Ma non possiamo ridurre questa possessione da parte delle idee religiose al solo aspetto barbaro. Gli dèi che possiedono i credenti possono ottenere da loro non solo gli atti più orribili, ma anche i più sublimi.
Come le idee, le tecniche nate dall’umano gli si ritorcono contro. I tempi attuali ci mostrano una tecnica che si scatena sfuggendo all’umanità che l’ha prodotta. Ci comportiamo come apprendisti stregoni. Inoltre, la tecnica porta essa stessa la sua barbarie, una barbarie del calcolo puro, fredda, glaciale, che ignora le realtà affettive propriamente umane.
Quanto a Homo ludens, possiamo notare che ha dei giochi crudeli, come il gioco del circo o la tauromachia, sebbene innumerevoli giochi non abbiano un carattere barbaro. Infine, Homo economicus, che mette l’interesse economico al di sopra di ogni cosa, tende ad adottare condotte egocentriche, che ignorano l’altro e che, per ciò stesso, sviluppano la loro propria barbarie. Così noi vediamo le potenzialità, le virtualità di barbarie apparire in tutti i tratti caratteristici della nostra specie umana.
La barbarie non è solo un elemento che accompagna la civiltà, ma ne fa parte integrante. La civiltà produce barbarie, in modo particolare quelle della conquista e del dominio. La conquista romana, per esempio, fu una delle più barbare di tutta l’Antichità: il saccheggio di Corinto in Grecia, l’assedio di Numanzia in Spagna, l’annientamento di Cartagine ecc. Tuttavia, la cultura greca si è infiltrata all’interno del mondo romano divenuto impero. Da qui la famosa frase del poeta latino: «La Grecia vinta ha vinto il suo feroce vincitore». La barbarie ha così prodotto la civiltà. La conquista barbara dei Romani ha portato a una grande civiltà. Nel 212, l’editto di Caracalla attribuisce la cittadinanza romana a tutti i membri di questo vasto impero che copre l’Africa del Nord, gran parte dell’Europa dell’Est e l’Inghilterra.
Se posso permettermi una parentesi – dato che non mi attengo qui a un discorso lineare, ma invito a riflettere su dei momenti storici – vorrei ricordare che Simone Weil, in un articolo dei Nouveaux Cahiers apparso alla vigilia della Seconda guerra mondiale, prediceva che sarebbe accaduta la stessa cosa dell’Impero europeo dopo la conquista nazista. Prevedeva una vittoria della Germania e, nel giro di due secoli, uno svilupparsi di civiltà, sul modello di quelle che Roma aveva prodotto. Questo non le ha impedito di impegnarsi con convinzione nella Resistenza, come sapete. Ciò non toglie che questa idea abbia ispirato alcuni socialisti e pacifisti, divenuti collaboratori proprio all’inizio della guerra, nel momento in cui non era ancora mondiale, ma in cui si pensava che la Germania nazista avrebbe stabilmente dominato l’Europa. Molti pensavano, tragicamente, che contribuendo alla Germania hitleriana avrebbero in effetti contribuito a un’Europa socialista.
Faccio riferimento a questo articolo, poiché mi ha anche influenzato per ciò che concerne non la Germania nazista, ma l’Unione Sovietica. Nel 1942, a ventun anni, avevo già conosciuto i peggiori aspetti dell’Urss, non avevo dimenticato i processi di Mosca, avevo letto Trotzkij e Souvarine. La mia idea era che la vittoria dell’Unione Sovietica avrebbe permesso ai germi contenuti nell’ideologia socialista, ideologia comunitaria, egualitaria, libertaria, di svilupparsi in un’era meravigliosa di armonia sociale. Ho cominciato a perdere l’illusione con la guerra fredda e il ritorno alla glaciazione staliniana. Oggi non posso scartare l’idea che l’Unione Sovietica, forse, avrebbe potuto sviluppare, con il tempo, gli ideali e i fermenti di civiltà che la sua barbarie ha soffocato all’origine. Le conquiste barbare possono sfociare nello sviluppo di una civiltà, senza che per questo le barbarie originarie debbano essere retrospettivamente giustificate. Né nascoste dall’oblio.


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