In medias res: l’incipit del romanzo assolverà da subito i due compiti precipui e di sfondo del libro stesso, cioè l’abbattimento del mito e l’entrata dell’umano nell’ambiguità. Sarà, con tutta probabilità, una scena muta. La mitologia umana che va a perdere indipendenza, si ricolloca nell’umano, non invade né spinge all’azione l’umano, bensì lo giustifica e ne è, eventualmente, contenitore della colpa collettiva. L’idea del Male si presenterà di fronte alla Cosa che fa il Male e rinuncerà al proprio statuto: non metastatizza demonicamente nella Cosa e quindi non la “riempie” e, in ultima analisi (qui: la prima tra le analisi) non ne giustificherà la azioni. E’ il primo nemico del libro a venire abbattuto. Secondo avversario da affrontare sarà l’idea della psicostoria: l’ambiente e la formazione come determinanti nello spiegare le azioni postume – e qui si procederà per successivi svuotamenti. L’idea metafisica non può essere espressa nella prima parte del romanzo e risulterà solo all’omaggio verso gli innocenti e all’incapacità della letteratura di riparare la Storia.
Finalmente lo studio centrale della vicenda storica che regge il romanzo verrà terminato (o quasi) entro stamattina. Dopo comincerà la fase molto ardua della “scalettatura” – pratica a cui sono disabituato, non avendo scalettato che una volta soltanto, in occasione del Dies Irae, con l’esito che, appena mi sono messo a scrivere, quella scaletta è saltata dalla prima scena. Nel caso del romanzo, per la delicatezza dei temi, la precisione storica richiesta da una pressione etica irrefutabile e il rispetto verso una santissima umanità, la scaletta deve essere rispettata. Sarà una fase di prescrittura molto puntuale, quasi maniacale, verso la quale mi prende sconforto: e sarà il mio Natale, il mio capodanno, la mia Epifania.
Intanto, ecco la figurazione mitica che, da subito, verrà stracciata di contenuti propri: la sua leggenda, che conduce allo Helter Skelter, cioè all’apocalisse in terra e in cielo, dovrebbe chiarire, a vantaggio di chi ancora non l’avesse intuito, il soggetto al centro del romanzo…
Il lupo Fenrir
Fenrir (in antico norreno noto anche come Fenrisulfr o Fenris; nell’immagine ingrandibile a fianco, tratta da un’antica edizione dell’Edda) è un gigantesco lupo della mitologia norrena, nato dall’unione tra il dio Loki e la gigantessa Angrboða, assieme alla regina degli inferi Hel e al Miðgarðsormr.
Fenrir viene generato nella Járnviðr (“foresta di ferro”), luogo da cui provengono anche i due lupi Sköll e Hati.
Il nome di Fenrir, che significa probabilmente “Lupo della brughiera”, o “Lupo della palude”, è anche usato, in modo metaforico, per indicare i giganti, in diversi testi paragonati ai lupi.
Altri suoi appellativi sono “Vánargandr”, “demone del Ván”, dove questo è il fiume che si crea dalla sua saliva, e “Þjóðvitnir”, “lupo nemico del popolo”.
Il lupo incatenato
Quando gli dei seppero che Fenrir veniva allevato in Jötunheimr, la terra dei giganti, assieme a Hel e il Miðgarðsormr, decisero di farli portare al loro cospetto perché Odino decidesse cosa farne: le profezie dicevano che da simili creature non sarebbero venute che disgrazie. Mentre Hel fu inviata a regnare negli inferi, e il Miðgarðsormr inabissato sul fondo dell’oceano, non sapendo che fare con Fenrir, gli Dèi lo tennero presso di loro.
Ora il lupo cresceva sempre più, sia in ferocia che dimensioni, tanto che solo il dio Týr osava dargli da mangiare. Fu quindi presa la decisione di incatenarlo, ma l’impresa non sembrava facile. Preparono una catena, e proposero al lupo di farsi legare, per misurare la sua forza, se sarebbe stato in grado di romperla. Ma Fenrir la spezzò con facilità, e lo stesso con una seconda catena, maggiormente robusta.
Nel frattempo Fenrir continuava a crescere. Allora gli Dèi mandarono Skirnir, servitore di Freyr, nello Svartálfaheimr, il regno degli elfi scuri, perché chiedesse a certi nani di preparare una catena magica. La catena magica, chiamata Gleipnir (forse legata al verbo gleipa: “spalancare la bocca”; quindi, o “che deride”, o “che divora”), fu costruita con questi elementi: rumore del passo del gatto, barba di donna, radici di montagna, tendini d’orso, respiro di pesce, saliva di uccello (secondo altre fonti: latte d’uccello); alla vista e al tatto sembrava un nastro di seta, ma in realtà nessuno avrebbe potuto spezzarla.
Gli Dèi andarono quindi su un’isola di nome Lyngvi, sul lago Ámsvartnir, e lì convocarono Fenrir.
Ma il lupo, al vedere quella catena dall’aspetto tanto fragile, si fece sospettoso, perché temeva un qualche incantesimo, o un inganno. Dopo una discussione si convenne che Fenrir sarebbe stato legato con Gleipnir, ma il dio Týr avrebbe dovuto porre la sua mano tra le fauci della bestia, come garanzia [nell’immagine ingrandibile a destra]. Týr, pur sapendo che così la sua mano sarebbe stata quasi sicuramente sacrificata, accettò. Ed effettivamente Fenrir, nonostante impegnasse tutta la sua tremenda forza, non riuscì a liberarsi dalla catena magica, tanto che tutti gli Dèi scoppiarono a ridere… tranne Týr, cui Fenrir mozzò all’istante la mano, non appena si rese conto di essere stato battuto. Fu quindi presa l’estremità della catena e fissata al suolo con due massi, di nome Gjöll (forse “largo” o forse “tagliente”) e Þviti (“pietra infissa a terra”). Durante questa operazione Fenrir tentò a più riprese di azzannare i suoi carcerieri, tanto che gli infilarono una spada tra le due mascelle, in modo che non riuscì più a chiuderle. Da allora Fenrir rimane incatenato sull’isola, e così dovrà rimanere sino alla fine del mondo. Folle di rabbia, il grande lupo ulula e sbava, tanto che dalla sua saliva si è formato un fiume, di nome Ván (letteralmente “attesa”).
Il lupo scatenato
Quando giungerà la fine del mondo, il Ragnarök, in cui tutti i legami saranno spezzati, persino la magica catena che lega Fenrir si scioglierà. Il lupo, nuovamente libero, attaccherà gli Dèi, assieme alla altre forze del disordine e dell’oscurità. Sarà tanto grande, e spalancherà la bocca con tanta ferocia, che la mascella inferiore toccherà il suolo e quella superiore il cielo: ma se ci fosse altro spazio, la spalancherebbe ancora di più.
Fenrir divorerà Odino, la suprema tra le divinità. Quindi ingaggerà lotta mortale con Víðarr, figlio di Odino, destinato a vendicare il padre. Víðarr fermerà la mascella inferiore di Fenrir con un piede, e quella superiore con una mano, spezzandogliele. Quindi lo ucciderà, con un colpo di spada al cuore.
La figura di Fenrir compare nelle principali fonti della mitologia norrena: l’Edda in poesia e l’Edda in prosa.
Il Ragnarök
Il Ragnarök (o ragnarøkkr) indica, nella mitologia norrena, la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle della tenebra e del caos, in seguito alla quale l’intero mondo verrà distrutto e quindi rigenerato.
Significato del termine e fonti scritte
Il nome è composto da ragna, il genitivo plurale di regin (“dèi-poteri organizzati”) e rök (f”ato-destino-meraviglie”), poi confuso con røkkr (“crepuscolo”).
Il termine probabilmente più antico è ragnarök, che significa “fato degli dèi”. Ragnarøkkr significa invece “crepuscolo degli dèi”, ed è quest’ultima la denominazione più celebre del Ragnarök, grazie anche all’opera di Richard Wagner (Götterdämmerung).
Il Ragnarok ci è noto principalmente da tre fonti:
Völuspá (Profezia della veggente)
Vafþrúðnismál
Gylfaginning (Inganno di Gylfi)
Svolgimento del Ragnarök
Le fonti sul Ragnarök, come quasi tutte quelle sulla mitologia norrena, sono frammentarie, confuse, contraddittorie, ricche di riferimenti criptici e spesso quasi incomprensibili nella loro laconicità.
Il Ragnarök verrà preceduto dal Fimbulvetr, un inverno terribile della durata di tre anni, in seguito al quale avverrà la sfascio dei legami sociali e familiari, in un vortice di sangue e violenza al di là di ogni legge e regola.
Spariranno quindi il Sole e la Luna: i due lupi (Sköll e Hati) che, nel corso del tempo, perennemente inseguivano i due astri finalmente li raggiungeranno, divorandoli, e privando il mondo della luce naturale. Anche le stelle si spegneranno.
Yggdrasill, l’albero cosmico, si scuoterà, e tutti i confini saranno sciolti: terremoti, alluvioni e catastrofi naturali.
Le creature del caos attaccheranno il mondo: Fenrir il lupo verrà liberato dalla sua catena, mentre il Miðgarðsormr emergerà dalle profondità delle acque. La nave infernale Naglfar leverà le ancore per trasportare le potenze della distruzione alla battaglia, al timone il gigante Hrymr.
I misteriosi Múspellsmegir cavalcheranno su Bifröst, il ponte dell’arcobaleno, facendolo crollare. Heimdallr, il bianco dio guardiano, soffierà nel suo corno, il Gjallarhorn, per chiamare allo scontro finale Odino, le altre divinità, e i guerrieri della Valhalla.
Nel grande combattimento finale ogni divinità si scontrerà con la propria nemesi, in una distruzione reciproca. Il lupo Fenrir divorerà Odino, che quindi sarà vendicato da suo figlio Víðarr. Thor e il Miðgarðsormr si uccideranno a vicenda, e così Týr e il cane infernale Garmr. Surtr abbatterà Freyr.
L’ultimo duello sarà tra Heimdallr e Loki, quindi il gigante del fuoco Surtr, proveniente da Múspellheimr, darà il mondo alle fiamme con la sua spada di fuoco.
Di seguito, dalle ceneri, il mondo risorgerà. I figli di Odino, Víðarr e Váli, e i figli di Thor, Móði e Magni, erediteranno i poteri dei padri. Baldr, il dio della speranza e Höðr suo fratello, torneranno da Hel, il regno della morte. Troveranno, nell’erba dei nuovi prati, le pedine degli scacchi con cui giocavano gli dèi scomparsi. La stirpe umana verrà rigenerata da una nuova coppia originaria, Líf e Lífþrasir, sopravvissuti nascondendosi nel bosco di Hoddmímir.
La rinascita del mondo è tuttavia adombrata dal volo, alto nel cielo, di Níðhöggr, il serpe di Niðafjoll, misteriosa creatura tra le cui piume porterà dei cadaveri.
Interpretazioni del Ragnarök
L’assenza di paralleli corrispettivi escatologici nelle altre mitologie europee, cioè la mancanza di narrazioni sulla fine del mondo, ad esempio, in ambiente greco o romano, ha portato diversi studiosi a ipotizzare influssi più o meno decisi, nel Ragnarök, dell’immaginario cristiano, in particolare dall’Apocalisse di Giovanni. L’ipotesi sarebbe corroborata dal fatto che la mitologia norrena sia stata codificata quasi interamente in seguito all’arrivo del cristianesimo nell’Europa settentrionale. Tuttavia, anche e proprio per questo motivo, l’ipotesi rimane tale e priva di una qualunque verifica.
Da parte sua, Georges Dumézil, studioso francese dei miti, ha messo in luce le forti somiglianze tra il Ragnarök e, nella mitologia hindu, la battaglia tra Pāndava e Kaurava, così com’è narrata nel Mahābhārata. Così come il Ragnarök sarebbe posto nel futuro, l’analoga battaglia epocale del Mahābhārata si trova nel passato.
È forse dunque possibile come corrispettivo del Ragnarök in area mediterranea la gigantomachia o la titanomachia, che vedono contrapposti gli dèi olimpici guidati da Zeus contro creature deformi e caotiche.
[fonte: Wikipedia]
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