Sono reduce dalla visione di “Camille Claudel 1915” di Bruno Dumont. Questo regista, già autore di quello che considero un capolavoro cinematografico del mio tempo, e cioè “Hors Satan”, muta radicalmente forma e apparentemente anche tematica, sospendendo in un momento assoluto la vicenda drammatica, terribile di Camille Claudel reclusa in manicomio nel Vaucluse, una specie di accenno subito gelato di biopic, che non c’entra nulla con la biografia e nemmeno con il racconto storico. E’ impressionante questo Bosch freddo che ne fuoriesce, grazie al genio stilistico e visivo di un autentico artista che vive nel tempo in cui vivo. E’ impressionante l’interpretazione di Juliette Binoche, che ha partecipato a un’opera completamente fuori dai regimi estetici e antiumanistici trionfanti nel presente occidentale, che è anche cinese e coreano, ovviamente. Tuttavia, senza un regista di quella caratura, non avrebbe fatto nulla, Binoche. Le rade desertificazioni della natura scabra, questa selva presente nel claustrum, sottoposta a un rigore dei venti convulso e selvaggio, nell’interdizione alla solitudine per via delle reiterate apparizioni di mostri umani che nulla hanno dei freaks, è una delle rappresentazioni più accecanti dell’avvenimento umano su questo pianeta che il tempo in cui vivo abbia espresso. Sono felice, poiché numi tutelari del presente, né paterni né fraterni ma “altri”, che mi spostano, incominciano a contarsi in gran numero: Lynch, Refn, Dumont, Carax, Manuli…
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