Due quadri in morte di Jorge Mario Bergoglio, Papa Francesco – Quadro 2

In occasione della morte del pontefice lunedì 21 aprile e a esequie avvenute oggi, sabato 26 aprile 2025, avendo molto scritto su questo Papa, come del resto circa il suo predecessore, pubblico il secondo di due quadri dal libro “Reality. Cosa è successo”, una narrazione ibrida in forma di apocalisse, che pubblicai per Rizzoli nel 2020 – il diario di una pandemia che sconvolse il mondo intero. Papa Francesco vi appare in due capitoli. Ecco il secondo: in pieno lockdown, creando *l’ultima immagine*, cioè quella che disvela ogni cosa umana e inumana, il pontefice solitario a sera sotto un diluvio nella piazza San Pietro deserta prega per la salvezza di tutte, di tutti. Il testo, sotto il video.

27 marzo – 86.498 contagi – 9.134 morti

Come un cavalluccio marino o una spoletta che tamburella sulla pietra, il Papa si presenta la sera davanti alla città. Come gli pesa girare le pagine delle scritture! Sembrano tavole di selce e i caratteri, incisi così piccoli, deve aggiustare gli occhiali per decifrarli: sono tantissimi.
Indossa la sopravveste di lino bianco direttamente sull’abito talare, le maniche lunghe e strette, lunga fino a mezza gamba, la quale gli pencola quando muove il passo, nemmeno fosse Giacobbe che ha lottato con l’angelo misterioso fino all’aurora. Pigola le parole in un discorso inusuale. Si volta con la sciatica che lo azzoppa di metro in metro, arrivando nei pressi di un crocifisso in legno tarlato, molto magro, e una madonna bizantina, che bacia con le labbra che sporgono insalivate, per via dei molti anni che si porta addosso. Una figurina stilizzata o una statuina di gesso farebbero più timore e impressione. Comunque ci si sente a disagio in una piazza tanto grande e vuota, sbaglierebbe chi sottovalutasse i trucchi di cui quest’uomo è capace. Ha da dire ancora poche parole, insomma: è certamente esatto che la terra produce il nutrimento, ma da dove trae la terra il nostro nutrimento? Ci gira un attimo la testa e siamo un po’ confusi, mentre non riusciamo ad abbozzare una risposta lui se ne sta già andando via, storto e risoluto, tenendosi per sé il suo mistero.
A che punto è la notte? È tenebra fitta. È l’ora in cui tutti i simboli sono diventati veri.
E l’oscurità assoluta è rotta da un minuscolo riflesso bianco. E d’oro. Così noi vediamo l’uomo, solo e zoppicante e luminoso nelle vesti, un povero umano, anziano, che avanza nel vuoto, povera carne umana che va a morire, avanza solitario contro il buio.
Va a chiedere l’intercessione del virus, l’abolizione delle follie, la restaurazione dalle morti. Va a chiedere la pietà e, chiedendola, la concede.
Questa sera ruota la vena dell’universo e lui esce, come vedi, dalla pietra. A pronunciare un poco biascicate e blese le parole scolpite e fronteggiare l’immensa piazza deserta di San Pietro, innaturalmente blu, contro la sera romana, di fosforo per i lampeggianti e la pioggia impegnativa che batte la città e la punisce.
Sembra una stilizzazione di piazza San Pietro. C’è un unico uomo e tace e parla.
Il male spiritualizza il mondo. È giunta l’ora di esserci in modo diverso.
L’ostensorio d’oro viene sollevato contro la città, contro il mondo, in un silenzio che non riescono a dilaniare le sirene oltre le colonne. Milioni di persone si sporgono sugli schermi attonite, molti milioni connessi nel mondo, l’immagine entra in loro e tornano a sentire la storia. Non era, dunque, finita questa inutilità, dimenticata troppo presto: la storia…
C’è questo uomo, non è niente, in mezzo a tutto. È umile? È un uomo. È vecchio. Non ha bisogno di nulla.
Ha sulle spalle il Morto, i morti, i pianeti e il vuoto tra pianeta e pianeta, e la stoffa lo ricopre della materia oscura che sta sotto tutto ciò che sarebbe visibile, prima che qualcosa o qualcuno porti lo sguardo e veda, sconsacrando il tutto.
È vestito di bianco e va verso l’oro nel buio, come non saprei dire: camminando con pena, appoggiandosi a un collaboratore fido, che subito scompare, è cerimoniere e questa non è una cerimonia, gli è a fianco per salire gli ampi gradini a semicerchio, verso la tensostruttura dorata nel blu artificiale della piazza, rari bracieri sotto il colonnato.
In migliaia di anni non abbiamo mai visto questo. Dietro di lui è aperta e vuota la basilica. L’abilità dell’architetto si conosce principalmente nel convertire i difetti del luogo in bellezza.
Quando parla, tace la pioggia. Noi siamo un cielo in ascolto. Fitto di trecce di luce nel buio, ascoltiamo.
Ascoltiamo.
Ascoltiamo e ascoltiamo.
La vista ci sembra venuta meno, lungo l’orizzonte degli eventi non vediamo se non il buio, che da piccini ci spaventava.
Avevamo visto troppo, e male.
L’uomo bianco nella tenebra pronuncia le parole oneste.
Adesso quel corpo anziano, con il talare bianco, nel cerchio dell’abolizione di ogni male ci dice: eravamo malati, avevamo covato il male, il virus mutava nelle nostre vene da molto, molto tempo. I giorni della nostra storia erano fatti di gravi squilibri, di ingiustizia e frode, di prevaricazione, si scatenavano gli appetiti e si scordava ciò che più conta e che nessuno sa cosa sia.
Tu, o città, ti fidavi della tua malizia e dicevi: «Nessuno mi vede». La tua saggezza e la tua scienza ti hanno sviata e tu confessavi in cuore tuo: «Io, e nessun altro fuori di me». Ma un male non poteva che venire sopra di te, che non saprai come scongiurare; una calamità ti piombava addosso, che non puoi allontanare con alcuna espiazione:
ti cadrà addosso all’improvviso una rovina imprevedibile.
Città, cosa hai compiuto, prima di questa dannazione, che ti ha prostrato, e muori di ora in ora soffocando? Tutti voi, cosa avete fatto? Hai voluto stare con i tuoi incantesimi e con i tuoi numerosi sortilegi, nei quali ti sei affaticata fin dalla tua giovinezza. Forse da essi potrai trarre profitto e incutere terrore. Ma ora tu sei stanca di tutte le tue consultazioni. Si alzino dunque quelli che misurano il cielo, che osservano le stelle, che calcolano pronostici a ogni novilunio: ti salvino loro dalle cose che ti piombano addosso! Ecco, tutto ciò che era prima brucia come stoppia; il fuoco lo consuma; nessuno dei profittatori salverà la propria vita dalla violenza della fiamma; non ne rimarrà brace a cui scaldarsi, né fuoco davanti al quale sedersi.
Così sarà la sorte del tuo affaticarti…
L’uomo in bianco si volta verso il portale, come un annegato che cammina.
Passo per passo le sue parole si disnodano, lente deflagrano in noi e si estendono dentro di noi, come funghi nucleari magri e scolpiti, di fumo denso ai limiti della consistenza delle rocce.
Come ritorna il dio! Come è facile che dispieghi la mano e la sua potenza…
Bastava un granello di materia virale a restaurare la necessità che l’invisibile ci parlasse e noi potessimo tornare a parlare all’invisibile. Lo avevamo rimosso, ci eravamo concessi questa follia, che l’umanità ha praticato ignorandone il prezzo, il salario del peccato, che è la morte. A cui risponde l’uomo anziano e curvo, che pare una molecola di luce nella tenebra. Bisogna riflettere su questa sproporzione tra totale oscurità e minima luce: in una stanza buia, se accendiamo anche solo uno zolfanello, il buio stesso non è più tale. Il buio sconfitto.
Abbiamo osservato nei giorni del contagio, e nei progressi della morte e dell’isolamento, i tormenti della carne e le rivelazioni spirituali di questo uomo venuto dalla fine del mondo, scelto dai suoi fratelli e capace di chiedere fin da subito che si pregasse per lui. A dicembre, di fronte alla curia romana, aveva ammonito con la sua voce, chioccia e solenne: «Non siamo più nella cristianità, non più!». Ed erano parole pari soltanto al gesto del suo predecessore dimissionario. Il predecessore, che con gravità aveva sibilato nel microfono la dura verità: tutto è entrato in un’età più grave, perfino dio è invecchiato pesantemente, il mondo, la Chiesa, io stesso… E se n’era andato e ora è riassunto qui, dove si svuota e si spiritualizza tutto, davanti allo sguardo ferito di ogni vivente.
L’uomo bianco si muove essenziale, per geometrie scabre.
Scosta quelle acque nere, le attraversa, sul selciato, anziano ma compatto, la cifosi gli incurva l’arcata spallare, le braccia esanimi lungo i fianchi, i passi in qualche modo vigorosi e incauti, dove l’acqua piovana fa i rivoli, nell’aria stranita e infettiva. Non pronuncia più parola, ha già detto tutto il dicibile.
Bianco, immenso, piccolino, sale i gradini verso l’altare sotto la tenda, zoppicando all’anca, come se avesse lottato fino allo spuntare dell’aurora, colpito all’articolazione del femore, che si è slogato. In questa lotta di Giacobbe la tenebra notturna sposa la luce dell’alba, il mistero si fonde alla rivelazione, lo scontro è l’abbraccio, la paura è speranza, il perdono è ustione. Qualunque scrittura culmina qui, quando indistinguibile è la parola dal silenzio. Quanto dovremmo dire sotto il manto oscuro del cielo che ci piove addosso?
Ma non va detto nulla, la scrittura diminuisce quel momento, se si distende con i suoi effetti, con le retoriche prive di preghiera. La letteratura è uccisa dagli scrittori, ma lo spirito non è ucciso dagli spirituali.
L’uomo spirituale incede, piegando ancora di più le spalle sotto il peso della responsabilità di rappresentare

tutti gli umani presso dio e dio presso tutti gli umani. È un fulcro, un perno. Un occhio nel ciclone: calmo, perché trasfigurato. Diranno: è nel vuoto – però quel vuoto è la principale cattedrale della cristianità. Diranno: ha parlato a nessuno in quel deserto – ma lo ha ascoltato mezzo mondo. Diranno: ha parlato delle fitte tenebre – tuttavia le illuminava.
Che cos’era questo che ha fatto? Qua la storia ha trovato una sua immagine? L’ha perduta, finalmente. Questo momento lungo, quest’ora di pena e di traversamento del guado nero, è il gorgo di ogni immagine, di ogni parola. Non resta nulla.
Qui brucia la storia un uomo minimo, fisso dentro il buio. Poi torna a casa, ha le scarpe ortopediche…


Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere