Dies Irae: la recensione del Corriere della Sera

• RITRATTO DI UN NARRATORE RISORTO DOPO VENT’ANNI DI APOCALISSE
di ERMANNO PACCAGNINI

gennamedia.jpgCi son praticamente tutti, in questa summa narrativa di Genna che prende le mosse dalla presunta disgrazia (tale anche per il giudice Armati) di Alfredino Rampi a Vermicino, eletta a perno narrativo sia come aspetto realistico-romanzesco leggendola quale operazione di depistaggio mediatico da quanto di losco sta accadendo in Italia voluta dai Servizi, sia per la metafora del Bambino, a meglio sottolineare virtualità e però anche realtà del mistero quotidiano in cui viviamo. C’è dunque il periodo 1981-2006, percorso sia diacronicamente che per salti e intrecci quale melmosa condizione riletta nei suoi tratti umani, economici, sociali, politici e culturali degradati, passando per Tangentopoli, Moana, i Mondiali di Pertini, il Cossiga «impazzito», P2, crack finanziari, Duran Duran, Milano 3, la Berlino del Muro e dello Zoo.


276.jpgCongegni psicofonici per captare voci dall’aldilà e altro ancora: l’Italia delle copertine e quella celata tra le pieghe delle notizie. E c’è soprattutto Giuseppe Genna: uomo, prima che scrittore, sdoppiato tra osservatore-scrittore e personaggio, che fa impietosamente i conti con se stesso: come uomo, figlio, cittadino, scrittore (dense le pagine sulla letteratura, il suo ruolo, «una scrittura che sfonda la poetica dei generi», con conseguente abbandono del coattivo modulo thriller). E che, per farlo, assume un’opzione stilistica lontanissima dalla sua passata dizione franta, a lungo andare persino stucchevole: per una lingua, un periodare, un dire di volta in volta mobilissimo, da flusso narrativo continuo pronto a tradursi in ritmo spezzato come in flusso di coscienza; e neppur tanto pel suo piegarsi sulle cose da dire, quanto piuttosto perché sollecitato dal di dentro di quelle stesse cose. Certo, non sempre facile da gestire (penso a frenanti inserti storico-saggistici o da regesto), tanto più che vi entrano pure articoli di giornale e brani ripresi da un impubblicabile faldone parafantascientifico dall’apocalittico titolo Dies irae che guarda all’oggi dal domani, e che per gran parte non mi convincono né mi si spiegano, ma non prive di momenti di grande forza (l’espulsione del feto).
Difficile riassumere una materia tanto magmatica che per associazione m’ha richiamato un altro libro, grande pur con tutte le sue imperfezioni: Poema osceno di Ottiero Ottieri, romanzo in versi su realtà, trame e follia che ha richiesto una lingua tutta propria. Una materia dentro la quale scorrono – gestite in modo narrativamente omogeneo, dopo un inizio in verità spiazzante, nei loro percorsi singoli, attraversando vari aspetti del male privato e pubblico, ma convergenti verso la fine – anche storie private: dello stesso Genna, di Monica B e Paola C (quest’ultima, a tratti, speculare a quella dell’autore-personaggio). Attraverso le quali s’affaccia, grazie anche alla metafora del pozzo, il buco nero interiore, quell’universo della degradazione che non dismette però il volto della pietas e della speranza, stante la capacità di soffrire affrontando col massimo di dolore la propria Caina interiore, per tutti e tre coinvolgenti la figura paterna (stupro infantile per Paola; famiglia e marito disinteressati a lei per Monica; follia suicidi alcoolismi familiari per Genna). Per poi risorgere.


Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere