Ascesa e catabasi alla Donna

ff.jpgQuanto è d’oro è d’oro, quanto è d’oro è nero.
Estimo delle Tue, Donna, comprensioni, delle Tue nescienze.
Formidabile sia la spinta cardiaca, formidabile è il tacere di un tratto, sotto il cipresso, piedi nudi pallidissimi nell’erba rasata bene, verso l’albero non secolare, controcielo testa china, il lungo collo che simula l’animale dolce, non domesticabile, passo dopo passo pensando in ritenzione, in ritegno.
Come esplodono i fulmini nel loro iniziale diramarsi? In germine, prima della diramazione, come scossa l’arco elettrico, donde accade?, sospeso nel cielo accalorato, elettrostatico.
Voi mi dite, voi mi consolate, voi siete le sorelle con la parola dolce come l’ostia che adoro e l’ostia è il corpo di donna che, non incarnato, stampa orme luminose sulle piastre in peltro della mia casa cava.
Casa cava buia, casa interiore.
Che è d’oro è d’oro se è d’oro ed è nero. Quindi albeggia.
Alba, bianca, lontana, che con mano comune sfioriamo. Oh, tocco dell’indice al Tuo indice, in assenza di cielo, qui e ora, il punto che non reclama e regge. Qui, ora: tocco.
Teste entrambe immerse nell’orizzonte, tubolare, del tempo che collassa nei suoi parietali.
Culto incrociato.
Voce che indistinta ripete le vergogne di un tempo disciolto, che tarda a sciogliersi, duro, respingente. Vedi Tu, dai sopori che salgono dal lago alle tue spalle, dove canoe bianche infilano le linee in traiettoria, si annuncia un affioramento: alghe, corpi disciolti, le fosse comuni lituane sotto pochi centimetri di neve, larghe, impensabili, ai soldati di ritorno e che non sanno, l’uomo che si accorge di fare perno con il piede destro su poca terra e un lascito di gomito lo regge. Crani liquefatti, membrane sporgenti. “Erano diecimila circa. Avevamo fatto questo?”
Che è nero quanto sia d’oro, all’alba. Di nero e oro parla.
Libro muto che non scriviamo, non io, non Tu, avanzi dal buio e riesci nel cerchio di luce, nuda, pronunci parole che hanno detto addio alle sorelle parole.
Sorelle parole: addio.


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