Di Danilo Kiš

danilo_kiscoverDanilo Kiš – Homo poeticus. Saggi e interviste – traduzione di D. Badnjevic – Adelphi – € 30

“Di tutti gli scrittori della sua generazione, francesi e stranieri, che negli anni Ottanta vivevano a Parigi, era forse il più grande. Di certo il più invisibile” scrive Milan Kundera di Danilo Kiš, precisando poi: “La dea chiamata attualità non aveva motivo di puntare i riflettori su di lui. Non ha mai sacrificato i suoi romanzi alla politica. Ha potuto così cogliere quel che vi era di più straziante: i destini dimenticati sin dalla nascita”. Parole che sottolineano, e ammirano, la refrattarietà di Kiš a qualsivoglia appartenenza, anche in momenti e in luoghi in cui certe lusinghiere etichette avrebbero garantito vaste simpatie. Giacché l’unica patria di Kiš è la letteratura, e l’unica sua militanza è quella di “scrittore bastardo venuto dal mondo scomparso dell’Europa centrale”. Di questa irriducibile libertà offre una eloquente testimonianza questa raccolta di saggi e interviste in cui Kiš, applicando il suo genio a un ampio ventaglio di temi, spazia ora nella grande letteratura europea e americana – consegnandoci pagine magistrali su Borges, Flaubert, Nabokov, Sade -, ora nella storia del Novecento. E in ogni pagina rivendica la ricchezza polimorfica e la sostanziale unità della tradizione europea di cui l’anima balcanica è parte insopprimibile, la necessità della riflessione metafisica e, contro la riduzione dell’uomo a “zoon politikon”, le ragioni dell’homo poeticus e in ogni pagina rivendica la ricchezza polimorfica e la sostanziale unità della tradizione europea e il delirio di un secolo.

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danilo_kis0Di Danilo Kiš
di WALTER NARDON
[da Il Margine]

Nel corso del Novecento la dimensione di alcuni eventi storici ha indotto molti a considerare indecoroso assumerne l’esperienza quale tema per opere di finzione: nei romanzi e racconti che affrontano la Seconda guerra mondiale, l’urgenza di testimoniare è sembrata spesso superare le ragioni artistiche, giudicate, a fronte dell’accaduto, quasi indecenti. Ancor più severa considerazione è stata espressa sulle esperienze dell’«universo concentrazionario», sui campi di sterminio. Eppure, la resa dell’immaginario di fronte alla Storia, la riduzione dell’esperienza dell’uomo a referto documentale rischia di cancellare ogni traccia di umanità da quella sofferenza, assimilando nella condanna al silenzio almeno una delle intenzioni dei carnefici: la condanna al silenzio del carattere umano dell’invenzione. Malgrado i risultati, almeno nei princìpi una è la storia, altra la letteratura. Per uno dei molti paradossi di questa, il romanzo, vale a dire il genere letterario meno codificato, al quale non è mai stato affidato il compito di conservare le memorie della comunità, si afferma come arte del concreto, arte capace di «concretizzare la storia», rendendone presente la plurivocità, la pluridiscorsività; rappresentando le vicende in una dimensione dichiaratamente finta nei confronti della quale il lettore può ancora conservare la propria autonomia critica (senza il timore reverenziale che sorge davanti a quello che uno studioso come Bachtin ha chiamato il «passato assoluto» dell’epica). Al romanzo, lo scrittore di lingua serbocroata Danilo Kiš ha dedicato buona parte del suo lavoro, lasciando un’opera che si confronta con lo sviluppo tragico della storia del XX secolo e che si afferma con forza come opera di finzione e grande opera d’arte.

Un destino comune
danilo_kis2Tre libri dello scrittore, Giardino, cenere(1965), Dolori precoci (1969) e Clessidra (1972), raccontano il destino di una famiglia dell’Europa centrale in tempo di guerra. Di quale guerra si tratti, non è specificato, quasi a sottolineare l’intenzione di cogliere l’essenziale dell’esistenza di una famiglia che viva in quel tempo; tuttavia ben presto si riconosce la Seconda guerra mondiale, come pure si riconosce il campo di sterminio di Clessidra, dove muore Eduard Sam, il padre della finzione, che come il padre di Kiš scompare ad Auschwitz. I dettagli concreti, i particolari sono precisi, l’orrore del racconto, comico e tragico, sorge attraverso il «procedimento indiziario» con il quale l’autore muove la narrazione fra gli scarti infinitesimi del quotidiano.
Nella bufera i componenti della famiglia Sam conservano in un primo momento parte dei sogni e dei desideri dell’uomo davanti al futuro. Il ragazzo, Andreas Sam – protagonista e narratore in Giardino, cenere, e Dolori precoci – prefigura lo scrittore Kiš, procede con il tono del narratore d’avventure (i romanzi preferiti) senza però risparmiare alcun elemento della storia: la miseria, la vergogna per la propria inadeguatezza, l’angoscia, il pogrom. Ma più ancora di lui, quel che in un primo tempo sembra colmare il divario fra la tragedia incombente e l’ancor viva dimensione interiore dell’invenzione e del sogno è il personaggio del padre: ferroviere sospeso dal servizio, artista, affabulatore, bevitore formidabile, filosofo, profeta, naturalista, autore di un Orario jugoslavo ed internazionale delle comunicazioni tranviarie, navali, ferroviarie ed aeree che nella sua seconda edizione tenterà di estendere all’intero globo ed alle sue discipline. Eduard Sam sostiene in maniera confusa, fantasiosa ed improbabile la forza della parola e dell’immaginario davanti alla violenza della storia, violenza che improvvisamente si incarna in Giardino, cenere in una folla di contadini che vuole linciarlo e davanti alla quale si trae d’impaccio chiamando a raccolta tutte le risorse della retorica.
Eppure, anche le sue doti si rivelano insufficienti. Clessidra, il terzo romanzo, registra in un tono misurato, di cronaca, in una forma che fa di Kiš un grande artista della composizione romanzesca, il progressivo abbandono della condizione umana di questo personaggio, ora designato soltanto con le iniziali «E.S.». Nessuna fiaba o fantasticheria lo salva. Gettato nell’angolo di una baracca si riduce a controllare le condizioni di ogni parte del suo corpo devastato, finché non scompare. Di lui rimane l’ultima lettera indirizzata alla sorella, riguardante la propria famiglia e le proprie disavventure. Un foglio che reca ancora tracce del suo temperamento.
danilo_kisA casa la madre, che insegna ad Andreas ed alla sorella a rievocare il passato, lavora a maglia con arte mirabile: «Il segreto dell’arte di mia madre era semplice: non si ripeteva mai» (Dolori precoci, p. 91). Pagine di lana, maglioni innumerevoli, una serie irripetibile di variazioni su di un tema. Le donne del villaggio, dopo un momento di ammirazione, piene d’invidia cominciano ad imitarla. Lei tenta di cambiare stile, la sua scrittura si fa ostica, virtuosistica, ma la corsa all’imitazione non cessa. Opta allora per uno stile disadorno, inserendo però un motivo, una piccola rosa, «l’impronta dell’ispirazione». Viene imitata anche in questo. Priva di ordinazioni, è costretta a tornare nei campi a spigolare.
Il giovane Andreas cresce studiando ed accudendo le mucche del Signor Berki, dal quale riceve in custodia il cane Dingo. Nell’immaginazione il ragazzo ed il cane «parlante» vivono avventure felici; ma quando, una notte, Andreas è svegliato dallo spasimante di sua sorella Anna che suona una serenata, il primo pensiero che gli corre alla mente è che siano venuti ad ammazzare suo padre.

Sette capitoli di una stessa storia (I leoni meccanici)
Pian piano, una stagione si chiude. Procedendo attraverso i tre libri il tono del personaggio-narratore si congeda progressivamente dall’infanzia e dalla sua disposizione lirica, si fa sempre più sobrio, accorto. Il disegno compositivo diventa più complesso, in Clessidra accoglie numerose forme: descrizione di viaggio, procedimento istruttorio, interrogatorio, appunto di diario, lettera. La voce di E.S. viene isolata in tutti i frangenti in cui compare nell’ultimo periodo della sua esistenza, dal soliloquio interiore riversato negli «appunti di un folle», al verbale dell’interrogatorio. Viene isolata nel suo procedere divagante, ingegnoso, stretta nella morsa meccanica della violenza totalitaria.
kis3Non si deve però credere che Kiš operi, per così dire, soltanto in presa diretta: i diversi generi che vengono accolti nel romanzo sono ordinati secondo un’unità compositiva precisa e consapevole; ogni abbandono lirico è in realtà sorvegliatissimo, come sempre negli esempi migliori dell’arte del romanzo. Le espressioni dirette dei generi semiletterari vengono utilizzate dallo scrittore come elementi per una composizione di secondo grado. Di qui l’ampiezza di respiro della narrazione, la varietà dei punti di vista che la scrittura presenta.
Nei libri che ripercorrono la storia della famiglia di Kiš, i personaggi ritengono la libertà della dimensione interiore, ma anche quella dell’espressione, importanti più di qualsiasi posizione ideologica. Vivono guardando il mondo con profonda compassione e con fiducia, nonostante tutto, nell’avvenire dell’uomo. L’annichilimento di E.S. risulta spaventoso.
Nell’opera successiva Una tomba per Boris Davidovic. Sette capitoli di una stessa storia (1976), Kiš narra invece sette vicende di individui fortemente implicati in un contesto ideologico, individui che pur con varie esitazioni pongono la propria vita al servizio di un progetto rivoluzionario. Anche in questo caso il contesto generale non è del tutto precisato, lo è soltanto al punto da lasciar intravedere l’epoca staliniana. A differenza di quanto visto nei libri precedenti, però, l’autore si serve di un nutrito apparato documentario: i racconti poggiano sempre su basi documentali, oggettive o pseudo-oggettive. Benché si tratti di un’opera di finzione, in misura maggiore o minore le storie narrate sono realmente accadute.
L’ambientazione è varia, lo sfondo storico pure; tuttavia nella maggior parte dei casi qualche personaggio incontrato ricompare al centro od al margine della vicenda in un altro «capitolo», creando un ulteriore legame, in aggiunta a quello tematico.
Sono dunque sette capitoli di una stessa storia, e tutti e sette si chiudono nel segno della sconfitta dell’uomo nei confronti di un progetto ideologico che egli ha contribuito a perfezionare: una sconfitta che sopraggiunge perché l’efficienza di un apparato totalitario, assoggettando alla propria necessità di funzionamento le esigenze di chiunque non ne possa diventare una componente essenziale, produce da sé il proprio fine, che è appunto quello di perdurare indefinitamente in quello stato. Un po’ come nel racconto Nella colonia penale di Kafka, ma in modo storicamente più comune, perché in questo caso l’ufficiale non immola se stesso per perpetuare il funzionamento del meccanismo, ma si serve incessantemente delle vite altrui. La storia che dà il titolo al libro racconta dello sforzo di Boris nel tentativo di conservare davanti all’inquirente la memoria della propria dignità, affinché le generazioni future possano riconoscere almeno la condotta disinteressata che in vita ha sempre tenuto. La polizia comunista, adottando di volta in volta modalità psicologiche estreme – davvero il racconto vale alcune pagine di Dostoevskij – vorrebbe indurlo a riconoscere la necessità di immedesimarsi nel cammino rivoluzionario in modo da comprendere l’esigenza del suo sacrificio per il progresso della Causa.

Tutta una vita
kis4L’ultima opera di Kiš, Enciclopedia dei morti (1983), è una raccolta di racconti, quasi un romanzo in forma di variazioni sul tema della morte. La prosa ormai è del tutto distaccata, uno strumento anch’essa, che si adegua al disegno della composizione.
Ogni racconto si sviluppa in una forma diversa dagli altri (lettera, memoria, leggenda, narrazione in terza persona, saggio di ricerca) e pone in luce uno dei vari aspetti del tema. Soggetto è la dignità, il dolore dell’uomo di fronte alla morte: da quello della compagna di Simon Mago a quello che affiora nel ricordo di un marinaio per una prostituta. Il dolore dell’amante e musa sconosciuta del grande autore defunto, quello dell’intelletto e di un popolo di fronte alla macchinazione dei «Protocolli dei savi Anziani di Sion» (titolo mai menzionato nel testo).
In posizione centrale nella studiata architettura dell’opera, si colloca il racconto da cui il libro prende il titolo. Una donna scrive di aver potuto consultare nella Biblioteca Centrale di Stoccolma l’Enciclopedia dei morti, la compilazione che raccoglie le biografie di tutti coloro i quali non compaiono in alcun’altra enciclopedia, un’opera che presenta in ciascuna voce tutto ciò di cui nella vita di un uomo non resta traccia se non nella memoria. La donna scrive di aver letto la voce riguardante suo padre, dove è riportato il clima della di lui giovinezza, le rappresentazioni teatrali cui assisté, il primo disegno dei suoi baffi, l’elenco dei film e delle partite che vide, i titoli dei libri preferiti, i matrimoni ed i funerali cui partecipò. Il giorno in cui accese la sua prima sigaretta e chi lo indusse a farlo; il servizio militare, i nomi degli ufficiali, dei compagni di camerata, gli itinerari di marcia della divisione di fanteria, la qualità del vitto e della mensa, il locale dove fece baldoria. Una somma di particolari, la vita intera in una voce d’enciclopedia: il matrimonio, le malattie infettive dei figli, i prezzi del pane, della carne, dello strutto, del pollame, dell’acquavite, le notizie del giornale che il padre lesse in un determinato momento. «Giacché ogni avvenimento, come ho detto, è legato al suo [del padre] destino personale, ogni bombardamento di Belgrado, ogni avanzata delle truppe tedesche verso oriente, ogni loro ritirata, tutto è presentato secondo il suo punto di vista e in rapporto con la sua vita.» (Enciclopedia dei morti, p. 58). E così per le altre voci delle centinaia di migliaia di volumi.
I maestri compilatori dell’Enciclopedia insistono sui particolari perché per loro «ogni cosa umana è sacra». «Gli stati d’animo dell’uomo, la sua concezione del mondo, di Dio, i suoi dubbi circa l’esistenza dell’aldilà, le sue norme morali» (Enciclopedia dei morti, p. 62).

Come già per altri scrittori, per Kiš il romanzo, che è arte del concreto, dovrebbe integrare la storia, intervenire con il suo tono per cogliere l’uomo attraverso un procedimento fondato sui particolari: dare alle persone sconosciute travolte dal corso degli eventi un volto, riconoscerne la vicenda, la dignità individuale, recuperare ciò di cui non resta traccia, perché nessun momento della vita di un uomo è mai inutile. Narrare l’estorsione – ai danni di alcuni, ai danni di una moltitudine il furto – dell’interiorità, della speranza ed infine della vita stessa da parte dei regimi totalitari. Tutto ciò in un’opera di finzione, confidando pienamente nelle forze dell’arte, anzi, avendo avanti a sé per unico intento quello artistico, la letteratura come forma di riflessione sull’esistenza.

Nota biobibliografica
Danilo Kiš nacque a Subotica nel febbraio del 1935 da padre ebreo ungherese e madre montenegrina. Nel 1942, dopo le persecuzioni e i massacri di Novi Sad, la famiglia cercò scampo in Ungheria e si stabilì a Kerkabarabas. Le condizioni di vita erano critiche. Il padre fu deportato, morì ad Auschwitz. Conclusa la guerra, la famiglia venne rimpatriata a Cetinje in Montenegro dalla Croce rossa internazionale. Kiš, aiutato da uno zio materno, frequentò il liceo. Completati gli studi secondari, si iscrisse all’Università di Belgrado, dove si laureò in Letteratura comparata. Si trasferì in Francia, come lettore e quindi docente di letteratura serbocroata nelle Università di Strasburgo, Bordeaux, Lille. Gli ultimi dieci anni li trascorse per lo più a Parigi, dove morì il 15 ottobre 1989.
L’opera di Kiš è tradotta in una quindicina di lingue. In italiano sono disponibili, pubblicati da Adelphi i tre romanzi del «Cirque de famille»: Giardino, cenere; Dolori precoci; Clessidra, tradotti da Lionello Costantini. Feltrinelli ha pubblicato col titolo de I leoni meccanici. Sette capitoli di una stessa storia il libro di Kiš che nell’originale ed in varie traduzioni è intitolato Una tomba per Boris Davidovic. Sette capitoli di una stessa storia. Adelphi ha quindi pubblicato l’ultimo libro di questo autore, la raccolta di racconti (o romanzo in forma di variazioni su un tema) Enciclopedia dei morti, che valse allo scrittore il premio Ivo Andric. La sua importante produzione saggistica e i suoi primi due romanzi non sono ancora stati tradotti in italiano. L’opera di Kiš è conosciuta e particolarmente apprezzata in Francia, dove fra l’altro lo scrittore in vita vinse un premio letterario prestigioso e fu nominato Cavaliere delle Arti e delle Lettere. La rivista letteraria parigina «L’Atelier du roman» gli ha dedicato il numero monografico Danilo Kiš, romancier européen («L’Atelier du roman», n. 8, 1996), cui si rimanda per un approfondimento. Poco prima del decennale della scomparsa, il 12 ottobre 1989 sono apparsi su «La Repubblica» (pp. 46-47), gli articoli di Milan Kundera, Danilo Kiš, uno scrittore grande e invisibile, e di Massimo Rizzante, Ha narrato i drammi cruciali del secolo. Le brevi citazioni del testo fanno riferimento alle traduzioni menzionate.


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