Una poesia: “Povera cosa che fu”

Fulmicotone sguardo improvviso e ronzio
accanto a tutto, dolce settembre andare
è stato dolce, dolce. Questo il retaggio..
La carta cerulea che hai addosso
canta. Vedo pleistocene rovesciarsi
in una miriade presente, vedo
flesso il polso e salubre l’aria
che le ventole discretamente emettono riarsa
così secca
la nostra vita flessa tra angoli e fede
in un niente, a credito, le mosche
hanno qui interdetta la presenza.
E si sta. Hanno assunto le forme che potevano
i fogliami, i secoli, le orme e le altezze
sono ancora qui, principati deboli
e lunghe vertigini, acute.
L’acribia è stata discartata,
là uno che non è uno, non più, avanza
dalla vicinanza irretito non più povera cosa che fu
cratere d’occhi, verità
flessa verità.


Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Scopri di più da Giuseppe Genna

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continua a leggere