
Io al cuore del secolo, non è chiara la strada
e il tempo allontana la meta –
e lo stanco frassino del bordone
e la miserabile fioritura del rame.
14 dicembre 1936
***
Sta inattivo l’idolo dentro la montagna
nei suoi cauti riposi felici e sconfinati
e dal collo gli cola grasso di collana
proteggendo i flussi e riflussi del sonno.
Quand’era bambino e con lui giocava il pavone,
lo nutrivano con l’arcobaleno indiano,
gli davano latte di argille rosate
e non risparmiavano cocciniglie.
Osso assopito e annodato,
mani, spalle, ginocchia umanizzate,
sorride con la sua bocca silenziosa
pensa con l’osso e sente con la fronte
e si sforza di ricordare il suo aspetto di uomo.
10-26 dicembre 1936
***
Questa regione in acquascura –
abissi di grano, tempeste a dirotto,
non una tenuta nobiliare –
un nucleo d’oceano.
Amo il suo profilo,
somiglia all’Africa.
Fate luce – non riesco a contare
i buchi trasparenti del compensato.
– Anna, Rossoš’ e Gremjač e –
ripeto i loro nomi,
bianco di anitra delle nevi
dal finestrino del vagone.
Giravo per i campi dei sovchoz –
la bocca era piena d’aria,
dritto negli occhi la rivoluzione
dei terribili soli del girasole.
Sono arrivato di notte a Tambov,
guanto bruciante di neve,
vedevo il manto bianco, bianco
dello Cna, fiume comune.
Ho imparato per sempre il turno
di lavoro del territorio conosciuto,
non dimenticherò mai il comitato
provinciale di Vorob’evo.
Dove sono? Che mi succede?
Senza inverno la steppa è nuda.
E’ la matrigna di Kol’cov,
scherzi: la patria del cardellino!
Solo un’occhiata alla città
muta nella gelata,
solo il parlare fra sé e sé
di una teiera notturna…
il chiamarsi dei treni
nel folto dell’aria della steppa,
e l’accento ucraino
dei loro fischi filati.
23-27 dicembre 1936
***
Come un dono tardivo
sento l’inverno:
amo il suo slancio
dapprima incerto.
E’ bello e terrorizza
come l’inizio di cose terribili –
davanti a tutto il cerchio senz’alberi
anche il corvo si è intimidito.
Ma più forte di tutto
l’azzurro che sporge debolmente –
alle tempie il ghiaccio a semicerchio
dei ruscelli, che senza sonno mormorano…
29-30 dicembre 1936
***
Sorridi, agnello sdegnato, dalla tela di Raffaello…
sulla tela le labbra dell’universo, ma non è più quello:
nell’aria leggera della siringa sciogli il dolore delle perle,
nell’azzurro, nell’azzurro dei lillà è entrato il sale dell’oceano.
Colore dei banditi dell’aria e del fitto della caverna,
pieghe di riposo impetuoso sparse sulle ginocchia.
Sullo scoglio, più raffermo del pane, le canne di giovani boschetti,
e va per gli angoli del cielo l’incantevole potenza.
9 gennaio 1937
Le poesie Osip Ėmil’evič Mandel’štam, nell’eccezionale traduzione di Maurizia Calusio, che firma anche l’apparato di note, sono tratte dai “Quaderni di Voronež” in edizione Arnoldo Mondadori, nella collana I classici dello Specchio, anno di pubblicazione 1995, con presentazione di Ermanno Krumm.
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