Un’analisi effettuata ai tempi di History (Mondadori, 2017 – per chi fosse interessat*: leggere qui) e ben prima dello hype su ChatGPT, Grok, Sora e Midjourney: dall’ambiente algoritmico, in piena sovrappopolazione planetaria, deflagra la dissociazione collettiva, il definitivo trionfo del falso, la terza guerra mondiale a segmenti come esito inevitabile. [Versione inglese del testo sotto l’intervento in italiano]

di GIUSEPPE GENNA
[agosto 2017 – anno 1 del primo mandato presidenziale di Donald Trump negli USA]
Sto scrivendo sull’intelligenza artificiale e il punto mi sembra questo: al di là dell’avvento effettivo degli algoritmi, che determinerà una configurazione sociale tutta da decifrare e in qualunque senso inedita, viviamo – e ci apprestiamo a vivere sempre di più – un momento politico che è determinato dall’accesso alle tecnologie e che progressivamente risulta un accesso di noi nell’enviroment digitale, almeno tanto quanto l’ambiente digitale sta avvicinandosi ed entrando in noi. Questa fase si caratterizza in termini di delirio clinico, con l’emersione anzitutto di un narcisismo di base assai potente, che è appunto delirante perché si smaterializza il principio di realtà, lo scontro effettivo con la presenza fisica dell’altro, che impone paura e traduzioni culturali della medesima. La riserva di paura dell’esistere, che è un dato costante del fenomeno umano, si traduce in una tipologia arcaica della collocazione rispetto al mondo – anzitutto veteroidentitaria e securitaria. Ciò determina una dissociazione a bassa intensità che oserei dire collettiva, prima che individuale. E’ una postura schizoide, in cui l’argomentazione, la riflessione e ogni tipo di “secondarismo” non trovano appiglio, non conducono verità al soggetto, sia personale sia comunitario. La cultura che fa da tampone, da cache, da spazio di decompressione, insomma, ripristina moduli che la vita urbana e occidentale, nel secolo scorso, riteneva di avere debellato. Questa cultura è anzitutto fascista, nel senso più propriamente antropologico e metastorico, se mi è permesso di forzare un fenomeno storicamente determinato, in una direzione più lata e propriamente meno individuata. Emergono canoni collettivi istantanei, in piena armonia con il caos che un tempo si poteva pensare di recludere nelle sentine soggettuali. E’ una transitoria mente bicamerale che si delinea nello spazio e nell’arco breve di un tempo così limitato, da apparire impossibile per il manifestarsi di istanze tanto enormi. E’ in questo nesso tra algoritmo che si avvicina e attività onirica di veglia, che io ravvedo il brutalizzarsi della condizione umana delle popolazioni ricche. Già la dispercezione, di cui gli italiani sono preda, sentendosi depauperati e quindi poveri tout court, è indicativa del grado di delirio a 40 watt che prende le genti benestanti – poiché noi siamo una comunità benestante, basilarmente e piuttosto definitivamente. L’esasperazione come forma di espressione della dissociazione: ecco lo snodo, in cui l’illuminismo algoritmico non prevedeva di ritrovarsi, di generare, di esporre un’umanità alienata ad attendere una risoluzione esteriore e mai interiore. In tutta questa deriva, infatti, il lavoro sull’io appare piùdifficoltoso di sempre, rispetto agli ultimi decenni – e non è un caso che siano i paradigmi psicologici e psicodinamici a crollare. Si vive nel segno di una possibile abolizione del principio di non contraddizione aristotelico, uno dei cardini della via occidentale al mondo. A ciascuno il suo hater e il suo *hate* quotidiano. Per rimediare a questa situazione di generalità, servirebbe una terapia, probabilmente a base di miti, nel tempo in cui l’appercezione mitica è minata o inefficace. Resta la militanza a favore di ciò che è angelico nell’umano, esattamente come avevano previsto le metafisiche applicate all’ordine della vita comune. Ogni gesto sarà eminentemente politico, al termine del viaggio politico dell’umano nel mondo.
English version provided by ChatGPT
Planetary Algorithmic Fascism
An analysis conducted during the time of History (Mondadori, 2017—for those interested: read here) and well before the hype surrounding ChatGPT, Grok, Sora, and Midjourney: from the algorithmic environment, amidst global overpopulation, emerges collective dissociation, the definitive triumph of falsehood, and the segmented Third World War as an inevitable outcome.
By GIUSEPPE GENNA
[August 2017—Year 1 of Donald Trump’s first presidential term in the USA]
I am writing about artificial intelligence, and the core of the issue seems to me this: beyond the actual advent of algorithms, which will shape a social configuration entirely to be deciphered and unprecedented in every sense, we are living—and increasingly preparing to live—a political moment determined by access to technologies. This access progressively places us within the digital environment, just as much as the digital environment is approaching and entering us.
This phase is characterized in terms of clinical delirium, marked above all by the emergence of a profoundly powerful base narcissism. It is a form of delirium because the principle of reality dissolves, along with the actual confrontation with the physical presence of others—confrontations that impose fear and necessitate cultural translations of the same. The underlying existential fear, a constant aspect of the human phenomenon, translates into an archaic typology of positioning oneself in the world—primarily old-school identity-based and security-focused.
This gives rise to a low-intensity dissociation that I dare to describe as collective before being individual. It is a schizoid posture in which argumentation, reflection, and any form of “secondary thought” find no foothold and fail to deliver truth to either personal or communal subjects. The culture that serves as a buffer, a cache, a decompression space, ultimately restores patterns that urban and Western life in the last century believed to have eradicated.
This culture is, above all, fascist in the most anthropological and meta-historical sense, if I may stretch a historically specific phenomenon into a broader, less distinct direction. Instant collective canons emerge in full harmony with the chaos that was once thought to be confined within subjective bilges. A transitory bicameral mind is shaping itself in space and within a time so brief as to make the emergence of such vast phenomena seem impossible.
It is in this nexus between the approaching algorithm and wakeful dream activity that I perceive the brutalization of the human condition in affluent populations. Already the misperception plaguing Italians, who feel impoverished and thus entirely poor, indicates the level of 40-watt delirium gripping well-off communities—for we are, fundamentally and definitively, a wealthy community.
Exasperation as an expression of dissociation: this is the crux where algorithmic enlightenment did not expect to find itself, to generate, or to expose an alienated humanity waiting for external, never internal, resolution. In this entire drift, the work on the self has become more challenging than ever compared to recent decades—and it is no coincidence that psychological and psychodynamic paradigms are collapsing.
We live under the sign of a possible abolition of the Aristotelian principle of non-contradiction, one of the cornerstones of the Western approach to the world. To each their hater and their daily hate. To address this general situation, a therapy might be necessary, perhaps rooted in myths, at a time when mythical perception is undermined or ineffective.
What remains is the advocacy for what is angelic in humanity, exactly as foreseen by metaphysics applied to the order of communal life. Every gesture will be eminently political at the end of humanity’s political journey in the world.
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