In occasione della morte del pontefice lunedì 21 aprile e in attesa delle sue esequie sabato 26 aprile 2025, avendo molto scritto su questo Papa, come del resto circa il suo predecessore, pubblico due quadri da “Reality. Cosa è successo”, una narrazione ibrida in forma di apocalisse, che pubblicai per Rizzoli nel 2020 – il diario di una pandemia che sconvolse il mondo intero. Papa Francesco vi appare in due capitoli. Ecco il primo: in pieno lockdown il pontefice esce e cammina nel vuoto irreale di Roma desertificata. Sotto il video di quel momento, il testo.
15 marzo – 24.747 contagi – 1.809 morti
All’improvviso appare il Papa.
Da ora non smette più di apparire.
Guardàtelo: è bianco.
Restiamo attoniti a vederlo. Ci rappresenta tutti, lanciandoci nel vuoto, opponendo la sua presenza contro di noi, la sua fronte bombata e non ancora perfettamente anziana contro di noi, il volto che cade compassato, meditabondo in una concezione per noi, contro di noi.
È lunedì a Roma verso il crepuscolo in attesa del bollettino dei contagiati, dei morti, degli ascessi e questo uomo cammina solitario e semplice, vestito di bianco, è un passante ma non è anonimo, passa ma è stabile, fermo, si scolpisce, in una bolla di aria romana né supplice né senziente (Roma non è mai senziente), guardato a vista da agenti della scorta, privi di nome e inutilmente prodighi. Non c’è nessuno.
Quante molecole virali nell’aria di via del Corso vanno verso di lui?, spezzandosi contro il suo vestimento bianco, cittadino come un altro il vescovo di Roma e vibrano le pietre sotto i suoi passi un poco obliqui, nella zoppia che gli danneggia l’anca, è un’ostia, il corpo di Cristo vivente, vicario dell’assoluto che simbolizza nella carne qui, nel tempo devastato e vile.
È l’uomo spirituale nel mondo contenuto, fuoriesce nella chiusura totale di tutto a tutti, Roma è una città muta di pietre silenti e caricate di energia, di sole, di pioggia che dilava ogni cosa, ma non il nucleo solido delle memorie rese pietra. Quante epidemie, quante unzioni, quanti sguardi hanno sopportato quei massi, spostandosi un poco di millennio in millennio, dai fori, verso i casamenti cinquecenteschi, verso i prati e gli armenti che non ci sono più…
Cammina silente come una pietra viva, mangia il pane, il corpo, beve il sangue, si nutre in nome dell’altezza dei cieli qua in basso tra di noi. Io non gli credo.
Ha da rovesciare, in modo apocalittico, la Chiesa e il suo popolo, le gerarchie, i fedeli, le greggi che odorano forte di selvatico e zoccolano nella fanghiglia.
È un uomo venuto dalla fine del mondo, da subito lo ha detto: il vescovo di Roma sembra che i suoi fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. E diceva: «Ma siamo qui…». È qui lui, siamo qui tutti.
Nel vuoto non ci siamo e ci richiama qui.
Nemmeno una settimana fa era apparso per la preghiera domenicale negli schermi in streaming, nella diretta impensabile, distante dal mondo e dai viventi, chiuso in Vaticano, forse voleva rimarcare l’inarrivabilità di un principio maschile di assolutismo papalino; ma non era così, aveva chiuso un’epoca, ne apriva un’altra, spalancava il volto nell’obbiettivo invertendo i canoni, entrava nella storia.
Appariva in quello streaming ingobbito, sequestrato, a disagio nella grande libreria vaticana, nella luce marrone dei luoghi istituzionali, dove l’uomo è chiamato a incarnare una trascendenza, a diventare più di se stesso, laico o religioso che sia, deve uscire dal guscio di carne, dalla carne cotta che si porta addosso e sporgersi verso il mondo delle energie, delle grandi correnti magnetiche, parlando all’universo. E così aveva parlato, iniziando l’Angelus, aveva esordito a braccio: «È un po’ strana questa preghiera dell’Angelus di oggi, col Papa ingabbiato nella biblioteca. Ma io vi vedo. Vi sono vicino».
Pensavamo di vederlo e invece era lui che ci guardava. Guardandoci, era vicino, ci toccava, forse.
Assistevamo da spettatori e il primo spettatore era lui. La cosa vista guardava. L’immagine ci osservava. Il percepito ci percepiva. Lo spettacolo era terminato, in un collasso, in un risucchio verso un luogo profondo e altissimo, privo di immagine ma non di luce, privo di parola ma non di mistero e senso.
L’intera civiltà dello spettacolo terminava qui, tra le parole arrotate di questo uomo, non più semplice uomo, con il suo accento sudamericano e la veste fossile che si accendeva, un bianco inimmaginabile, attivato, non immagine ma colore – un colore che superava lo spettro, non più cromatico, stagliato ovunque la tenebra avesse avanzato le proprie ragioni. Padre di chiunque, figlio di uno solo, spirito che mediante la luce riempie la tenebra, riempie tutto ed è vuoto.
Ne rimasi accecato, stordendomi.
Chi scrive non è battezzato.
La carne del Cristo di che materia è fatta? Una carne compatta ma priva di ossa, solida ma senza muscoli, sanguinante ma senza sangue, vestita ma senza tunica, affamata ma senza fame, che mangiava ma senza denti, che parlava ma senza lingua e con una fantasmatica parvenza di voce…
Tra uomo e fantasma si pone il Papa, il maestro.
Un uomo anziano che cammina nel deserto dei padri: la città era dunque il deserto. Il deserto era dentro le mura e qui avveniva l’esodo. E lo percorre con quella cifosi da san Francesco, Giotto dipingeva il santo cifotico, le braccia rilasciate sui fianchi, come se non ci fosse difesa, ogni aggressione è possibile: cancellarlo, umiliarlo, danneggiare il suo contegno argentino. Un uomo che per un caso complesso, ai limiti del complotto e coincidente con il destino, per i labirinti del tempo e le piste del mondo è giunto qui, a incedere nella città eternamente vuota, prestando la propria carne al Cristo, radicandolo nelle fibre e nelle arterie che gli pulsano in evidenza sulla tempia.
Chi lo ha scambiato per un ingenuo? La sua bonarietà era affilata fin da subito. Il giorno dopo l’elezione aveva camminato da Santa Marta verso San Pietro, i fedeli lo attendevano e lo festeggiavano ai margini e lui notò un ragazzo spastico e si avvicinò a quella carrozzina dove si agitava il giovane e gli impose le mani sulla fronte, era un caso di indemoniato e il Papa compiva un esorcismo alla luce del sole. Poche settimane prima si era dimesso il suo predecessore e lui ne continuava l’opera: dimissionare se stesso, la cristianità, la Chiesa, la storia. Un pontefice che carezza il vuoto, definendolo pieno, e proclama la luce dei popoli, definendoli orfani. Mostrandosi solo e vulnerabile, inarrivabile e vicinissimo, privo di scena e mirabile, nelle dimissioni del sistema e dell’umanità avanza tra i sampietrini nell’aria sospesa della primavera imminente e sgraziata a Roma, per andare a baciare i piedi di un crocifisso ligneo, che cinquecento anni prima aveva vinto la peste nella città.
Così Edipo disse ai supplici che morivano a Tebe nella pestilenza: «Non invierò nessun legato, nessun messaggero. Vengo io da voi in prima persona. Eccomi».
Eccolo. Cammina e giunge le mani, roteando il bacino male, l’anca è danneggiata e zoppica, e prega, se si può definire preghiera questa, priva di parole, centrata nell’abissale fondo interno, sprofondata in sé, che non chiede niente, un granello di luce nelle tenebre fitte, un campione di più nella schiera degli uomini santi.
Gli uomini santi sono le stazioni della memoria qui, nel tempo che va. Quanto fu grande l’ardore di questi uomini di dio, quando diede inizio alle loro istituzioni. Quale devozione nella preghiera, quale slancio nella vita, quale rigore in esso vigoreggiò; quanto rispetto e quanta docilità sotto la regola del maestro fiorì in loro. Restano ancora certi ruderi abbandonati, ad attestare che furono davvero uomini santi e perfetti, costoro, che con una strenua lotta schiacciarono il mondo. Oggi, invece, già uno è ritenuto buono se non tradisce la fede e riesce a sopportare con pazienza quel che gli tocca. Tale è la nostra attuale condizione di negligente tiepidezza, che ben presto cadiamo nel fervore iniziale; pigri e stanchi, già ci viene a noia la vita.
Voglia il cielo che in te non si vada spegnendo del tutto l’avanzamento nelle virtù, in te, venuto quasi dalla fine del mondo e che di frequente hai avuto sotto gli occhi gli esempi dei santi.
E l’anziano cammina nella strada romana centrale, infinitamente sembra, sotto il peso di una radianza, quasi bisbiglia tra sé e sé nella mente meditativa: «Ogni volta che andai tra gli uomini ne ritornai meno uomo di prima, più dio di prima…».
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