Su fReAkS: messa in discussione della non-persona nel romanzo Hitler

hitlercovermedia.jpgRiporto il post che il blog fReAkS ha dedicato al romanzo Hitler. Lo riporto perché, oltre ai complimenti di cui ringrazio, l’autore, con lo pseudo di Mario Attilio Jebba, compie un lavoro di interpretazione che è centrale per la comprensione del libro: mette in dubbio l’efficacia morale e rappresentativa della nozione di “non-persona”, desunta da Fest e applicata a Hitler. Non solo: compie un rilievo circa la mia scrittura, asserendo di non riuscire a seguirla fino in fondo, fino alle possibili conseguenze ultime. Comincio rispondendo, dalla mia prospettiva, a quest’ultimo rilievo. Il tentativo, abbastanza esplicito in Hitler, è quello di annullare la lingua di superficie. Nonostante certe critiche, non esiste né paratassi né ipotassi, la mimesi della voce di hitler che copre il nulla dietro la sua maschera non è mimesi e l’intervento di quello che sembra il mio “io” non è tale. Se aggiungiamo il perno fondamentale del libro (sempre per quanto concerne la mia prospettiva), che è Apocalisse con figure, i registri linguistici raggiungono un alto grado di ambiguità. Io tento la scrittura senza conseguenze estreme. Ciò ha una funzione: confondere l’istinto algebrico che cerca una soluzione, una risposta, e così facendo evita di farsi la domanda. Accetta, cioè, che la domanda sia fatta dal libro, ma questa domanda non si interiorizza. Io tento con la scrittura una nube purpurea: non so se ci riesco, l’esito può essere errato o grossolano, ma il tentativo è consapevole. Quanto alle osservazioni sulla “non-persona” devo rimandare alle elaborazioni teoriche dell’officina aperta durante la preparazione, la stesura e l’attesa dell’uscita di Hitler. “Non-persona” non significa che Hitler è un alieno, non implica che egli sia fuori dal cerchio umano. Implica che in lui è del vuoto inumano. Siamo abituati ad attribuire a questo vuoto caratteri di anaffettività: si gioca tutto sull’emotivo, oggi. Il vuoto a cui faccio riferimento è invece tumorale, cioè metastatico: “esorbita” (di qui l’insistenza del verbo nella prosa del libro) e contagia. Questo vuoto non ha nulla di emotivo: è assenza di empatia. Se non fosse vuoto, esso sarebbe il luogo in cui l’empatia avviene e, dunque, sì che si proverebbero emozioni, identificazione e condivisione con l’altro. L’esorbitare della non-persona riguarda il futuro di Hitler: cioè, secondo una prospettiva non solo mia, riguarda l’oggi. E’ ben vero che anche io, scrivendo, ho pensato al monolite nero di Kubrick – ma solo quando c’era da afrontare il congelamento, il vuoto. Per il resto, Hitler è un uomo. Dire che è una non-persona implica che sia una persona. Nulla della sua responsabilità viene levato dalla storia tragica che ha imposto a milioni di persone. Io non dico: “Questo non è un uomo”; io chiedo: “Considerate se questo è un uomo”. E’ il lettore che ha in mano il pallino: ce lo ha coscienzialmente.
Un’ultima osservazione, prima di riprodurre l’intervento apparso su fReAkS. L’autore dell’intervento esprime perplessità motivate fenomenologicamente e teoreticamente. Ciò dimostra che il dialogo è possibile, anche se non si raggiunge un’osmosi nel giudizio e nella cellula mitocondriale che è un testo. E’ questo a impedire il vuoto, a impedire vittorie postume di Hitler: questa ambiguità tra consentire e dissentire, questa motivata e sentita possibilità di dire no – all’autore, al testo stesso. A mio avviso,
questa è la critica di cui gli autori e i lettori, che sono la medesima cosa, hanno bisogno oggi. Quindi ringrazio profondamente Mario di fReAkS, e invito a leggere attentamente i suoi disinibiti e rivelativi post.

Giuseppe Genna: Hitler

di MARIO ATTILIO JABBA
Genna e‘un talento letterario nutrito dall’alimento imprescindibile di ogni grande scrittore: la sofferenza.
Che lo sguardo di Giuseppe Genna si sia posato sulla vicenda di Adolf Hitler, colui che è stato fonte di oscena sofferenza per decine di milioni di individui è quindi cosa giusta.
Genna racconta la vita di un uomo incomprensibile scegliendo la strada di non cercare di capirlo.
Chiude idealmente il cerchio narrativo aperto da Primo Levi con la sua domanda: questo è un uomo?
Trasforma la domanda in una constatazione riferita non più alla vittima, ma al carnefice. Questo non è un uomo.
Perchè Genna rifiuta di affrontare il viaggio alla scoperta delle radici del male?
Perchè individuare una o più cause della Cattiveria di Hitler, della sua capacità di irradiare Male, sarebbe un atto deresponsabilizzante nei confronti dell’uomo e degli uomini.
Perchè cercare di capire vorrebbe dire giustificare, reperire tracce di comprensibilità negli atti compiuti da Hitler, riconoscere un’umanità che ad Hitler deve essere eticamente negata.


Hitler è quindi descritto come una non-persona.
Nulla di ciò che fa, di ciò che scatena, delle reazioni che innesca in coloro che lo circondano, del circuito perverso che si forma intorno alla sua esistenza è spiegabile o giustificabile.
Non vi è sofferenza personale o nazionale che possa essere individuata come la Causa dei suoi comportamenti.
In uno degli interventi pubblicati sul suo sito, Genna confessa poi l’irritazione che gli suscita ogni tentativo di “spiegare il nazismo alla luce delle tenebre” liquidando con ciò la cosiddetta componente esoterica coltivata dalle gerarchie naziste.
L’Hitler di Genna è come il monolite nero che appare in “2001”.
E’ pietra fredda che incombe sulla scena e che modifica il corso degli eventi.
Mi sono domandato più volte, leggendo Hitler, quanto condividessi l’impostazione narrativa di un libro che mi ha avvinto dalla prima all’ultima pagina e che, come sempre mi capita quando leggo Genna, ha smosso in me zolle di terra profonde.
Non ho una risposta certa anche perchè la complessità della scrittura di Genna mi lascia sempre la sensazione di non averlo compreso fino in fondo.
Diciamo allora che condivido i presupposti della sua scelta, ma non riesco a seguirla fino alle sue conseguenze ultime.
E’ vero, non si può esprimere l’inesprimibile ed è possibile che nelle spiegazioni del nazismo fornite da storici e romanzieri aleggi una inadeguatezza di fondo: il “solito” cocktail micidiale composto da follia, crisi economica, frustrazione-umiliazione-rivincita, banalità del male, evocazione esoterica di forze maligne.
Ma cosa rimane della vicenda di Hitler una volta accertata l’insufficienza di queste risposte?
Cosa rimane se ci neghiamo la possibilità di domandare il perchè?
Rimane il Monolite Nero. La sua apparizione inspiegabile sulla scena.
Rimane il Dogma del Male.
Rimane la concentrazione del Male e della sua responsabilità in un’Unica Fonte . Un unico, assurdo, Raggio della Morte.
Che non è una spiegazione esoterica, ma che attiene comunque ad una dimensione altra che – in quanto tale – a mio avviso non può bastare all’individuo nè tantomeno allo scrittore che deve comunque cercare l’uomo.
Anzi, deve cercare gli uomini, perchè un Male di queste dimensioni, il Male Nazista, è il Male di un popolo, di una società intera.
Mi viene in mente un romanzo dello scrittore danese Christian Jungersen: L’Eccezione, un thriller che si svolge nell’ambiente evoluto, intellettuale ed impegnato di un centro di documentazione sui genocidi.
Un luogo di tolleranza e riflessione nel quale si innestano meccanismi di esclusione e di avversione quasi impercettibili, sempre – tutto sommato – giustificati/giustificabili nell’economia degli equilibri personali, ed in fondo comprensibili perchè praticati da tutti (chi più chi meno) nella routine di tutti i giorni.
Piccoli scivolamenti che rappresentano però altrettanti progressivi ed inesorabili avvicinamenti verso il Male e la Tragedia.
Certo, in quel caso non si parla di una tragedia delle dimensioni di un genocidio.
Ma la strada imboccata da Jurgensen non mi sembra affatto peregrina.
Il meccanismo individuato è plausibile.
La differenza sta nella scala di riproduzione di questi comportamenti.
Ne l’Eccezione vi è una rappresentazione della caduta nel Male che non è “giustificativa” e che non toglie una virgola alla responsabilità dell’individuo, anzi la enfatizza.
Il viaggio verso il Male nasce e si consuma all’interno di una delle opzioni date agli esseri umani: quella di scegliere consapevolmente l’insensibilità verso i propri simili.
Per realizzarsi, il Gioco al Massacro ha bisogno di esseri umani.
Uomini insensibili e predisposti all’auto-assoluzione.
Questo non significa abbracciare totalmente l’idea di un Male banale (Arendt) praticato da mediocri travet superficiali e irriflessivi.
Significa individuare l’origine del Male in comportamenti quotidiani, egoistici e apparentemente di basso profilo, la cui sommatoria, la cui interazione sinaptica, può convergere tettonicamente verso la Tragedia.
Significa porre l’accento sulla responsabilità etica di ogni singola scelta,anche la più banale,e renderla espressione di una lotta fra il Bene e il Male.
Un Monolite Nero, una Non-Persona, rischia, forse,di essere un’altra spiegazione de-responsabilizzante dell’Olocausto, tragedia creata dalla persona Adolf Hitler con la collaborazione attiva di diversi milioni di altri esseri umani.
E’ l’unico dubbio che mi ha colto leggendo questo libro bellissimo, che consiglio vivamente a chi passasse per questo blog.


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