Un racconto: “Andreotti”

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di GIUSEPPE GENNA

Io vidi quel signore alto e gobbo dentro Montecitorio

Andreotti era un signore alto con le spalle molto distanti e lo sterno incavato e piccolissimo, come un trapezio all’incontrario, le orecchie si allargavano come gli occhi a fessure, senza figli, uccideva sempre tutti mi ricordo piccolissimo.
E’ in un video ora il ricordo di lui altissimo che parla in un palcoscenico al Bagaglino con Oreste Lionello che fa lui e lo intervista vestito da pagliaccio il noto comico Pippo Franco, fa molto ridere tutta la platea, che coglie le allusioni di quel tempo ormai perduto dove loro erano tutto: Andreotti Nicolazzi Craxi e molti altri ancora, vestiti con la grisaglia di Forlani e montature spesse davanti a un video in bianco e nero a rispondere a domande di Jader Jacobelli: questa è stata la nostra infanzia.
E’ la storia che ci contiene tutti, che ci abbraccia tutti, indelebilmente, il giorno in cui vedemmo da bambini quel cadavere chiamato Pecorelli.
Sussurrava nelle mandibole quadrate enormi, le lenti quadrate a schermo, dalla masticazione invertita e accennata, ci conteneva, alla televisione; lo faceva benissimo Alighiero Noschese anche, poi si suicidò il giorno stesso nella stessa clinica in cui Andreotti fece la cistifellea, era nella stessa loggia P2 insieme a lui: prese la rincorsa, tese il braccio e in vestaglia si sparò in un parco di quella clinica privata.
Era bellissimo quel grigio andare nelle nuvole dell’etere statale, stupendamente azzurri non rasentando i suoli e concedendo le grazie dell’approvvigionamento se andavi cliente da lui, il sabato mattina a Roma, dentro al suo appartamento studio, ritirando il biglietto della fila come poi al salumiere.
Era la nostra immaginazione dentro i dialoghi concussi dalla bocca di Berlinguer alla sua. Almirante da terzo incomodo parlava molto bene.
Morivano eroicamente sulle barricate anonime, dai morti di Reggio Emilia a quelli del DC9 a Ustica, c’era sempre lui, nel cielo di Sigonella o con i terroristi al telefono, aggeggio pesante e grigio della Sip con la ghiera circolare per i numeri e la cornetta di una plastica anormale.
Quando le Brigate Rosse annunciarono di esistere tramite Moro, era il Papa a intervenire, Paolo VI, un fuscello piegato da un dolore grande, mentre Giulio Andreotti non diceva niente e sorrideva dietro gli schermi degli occhiali.
Più tardi ammazzavano Salvo Lima e lui capì che non era il tempo, quello, suo e se ne andò con un silenzio di anzianità e dovere.
Riapparendo da Paola Perego oramai anziano rimase fermo in estasi per un ictus alla domanda su il futuro dei giovani e poi tornò a parlare, mandarono la pubblicità. In quei giorni Franco Scoglio, che allenava sempre il Genoa, piegò la testa all’indietro e morì davanti a tutti con un infarto. La lezione che ci impartiva era a 360° come diceva sempre.
In quella biblioteca diceva che stava a fare una tesi sopra il diritto della Marina, lo notò un amico di De Gasperi ed ebbe inizio questa vita straordinaria.
Tutti noi ci siamo amati sotto Andreotti e l’ombra di noi in fuga del passato che non ritorna è riparata ancora sotto quella coperta verde marcio, a fiori, dove stava sul letto steso, abito blu, mani conserte e un rosario tra le dita livide senza vita, impiegati e bancari, colletti bianchi, con Luciano Lama dentro il disco solare al compromesso rideva di speranza socialista con la pipa.
No. Come diceva Breznev, a Ginevra, una politica più ampia, non si ricorda degli Euromissili e di Nixon contestato fuori a Roma.
Quindi cadavere impossibile inimmaginabile lo portarono tutti insieme scordandoselo ovunque in questa Italia.

Almirante su Facebook ha cambiato sesso e sito

Se c’è una cosa italiana che non ho mai tollerato, sono quelli di sinistra o di centro – ma non missini – che ti dicono a un certo punto di una discussione politica: “Ah, Almirante però era un grande oratore”. Ciò non ha nulla a che vedere col fatto che quest’anno, alle elezioni, io voti Sinistra e Libertà ed espressamente Michele Dalai. Ha invece a che fare con una deriva, iniziata tantissimo tempo fa, che è risultata condurre all’oblio, incomprensibile e scandaloso, del reato di apologia di fascismo, che tuttora e motivatamente vige in Italia. Queste cazzate sono certamente tali, ma si sviluppano poi secondo storie e narrazioni che si fanno socialmente estese – vengono giù per li rami. Mi fa dunque molto piacere che si sommino due cazzate di questo tipo: il momentaneo successo mediatico e sociale di Facebook insieme con la presenza carsica di Giorgio Almirante, repubblichino, fascista, per nulla annoverabile tra i padri della patria (peraltro, una patria inesistente). Poiché il risultato che viene fuori da una simile grottesca osmosi è questo (cliccare l’immagine per una visione 1:1):

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Che accada di leggere su Facebook che Giorgio Almirante non ha amici (una cazzata lessicale tipica del social network) bensì tifosi, fa il paio che automaticamente risulti (testuale) che

“Giorgio Almirante ha cambiato Sito Web, Sesso e Data di nascita.”

Se Almirante non è più un azzimato signore coi baffi che combattè per Mussolini, ma un transgender che si è rifatto l’anagrafe, beh, allora a qualcosa mi pare che la tecnologia serva, no? Perché a me questo fa più ridere di una celeberrima gag di Roberto Benigni, recentemente denunciato postumo dalla consorte di chi ha mutato sesso, e quindi evidentemente dal marito di Almirante, che però non può essere Giorgio Almirante, in quanto è morto e, quindi, qui non stiamo affatto parlando di Giorgio Almirante, che al di fuori delle cazzate tecnologiche era in effetti un grande oratore, uno che ha portato il fascismo all’interno di una logica democratica ed è riuscito a evitare una deriva terroristica della destra estrema (ancor più devastante di quella realizzatasi). Così disse Benigni (sotto il file audio, il testo della filastrocca del comico toscano):

Maledetta l’ora
il giorno il secondo, toh,
in cui du’ merdaioli
ti misero al mondo.

Maledetta l’ora
il giorno e l’annata
che la tu mamma ti dette
la su prima poppata.

Maledetta l’ora buia
ancor di più la notte cupa
che un finocchio ti convinse
a esser figlio della lupa

Se dovessi maledirti
poi non saprei come finirla,
maledetto sia quel giorno
che ti fecero balilla.

Maledetta l’ora
e tutto il calendario
in cui mille finocchi
ti fecero segretario.

Maledetta la persona,
che stesse sempre male,
che ti parlò per la prima volta
della Destra Nazionale.

S’aprisse la porta,
senza tu te ne sia accorto,
entrassero le mogli
di ogni partigiano morto.

Poi t’aprissero la bocca
e da maggio a carnevale
ti facessero be’ le cose
e cantar l’Internazionale.

Poi arrivasse, come si chiama,
Terracini, no, Paietta, Natta e Ingrao
ti cacassero sugl’occhi
mentre cantan “Bella Ciao”.

Alla fine vanno via,
finalmente sei contento,
ma ti piscia addosso Lama
mentre canta “Fischia il vento”.

Ti venisse un colpo,
ti venisse un accidente,
gli uomini son tutti uguali,
ma te tu sei differente.

Ti scoppiasse la vescica (tum!),
ti scoppiassero i coglion (tum tum!)
ti scoppiassero in un mese
trentatrè rivoluzioni.

Ti venisse la febbre,
ti venisse un ascesso,
ti scoppiassero in culo
tutte le bome che tu ha messo.

Ti chiavassero la moglie (ah!)
tutti i morti delle guerre,
e ti nascesse un figliolo
che assomiglia a Berlinguerre.