Mario Benedetti: una poesia del 1988 da “Scarto minimo”

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Nel 1988 il poeta italiano Mario Benedetti pubblicava sulla rivista “Scarto minimo” (codiretta insieme con Stefano Dal Bianco, Fernando Marchiori e Giulio Mozzi) questo testo, che non ha incluso in alcuno dei libri di poesia successivi:

Non gli uomini o non questi, non questo
dell’uomo.
O come fosse la vita eternamente.
Ma è la vita
oscura.
Il viso,
quando mi guardi e sai
che non saremo più,
piccolo e castano nella sua paura.

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Le biciclette rosse degli anni Settanta ne “La vita umana sul pianeta Terra”

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Da La vita umana sul pianeta Terra:

“Volli una volta la bicicletta: rossa scioccante.
Una volta eravamo nelle cantine dei palazzi milanesi, il piccolo androne semibuio prima dei tunnel oscuri spaventosi e brillavano le biciclette rosse modello Graziella, come uno schiocco di labbra bagnate dalle ciliegie, luminosa modello Graziella con le gomme bianche a piccole tacche zigrinate, in un piccolo androne di cantina nella periferia della città Milano, pavimentata di cemento grezzo con una polvere di cemento che scricchiolava sotto le suole di scarpe da ginnastica comperate al mercato rionale tutti, e la polvere contro i topi fluorescente gialla messa nella giunzione tra pavimento e muro, prima del buio delle porte misteriose in legno di vani cantina contenenti tutto, magiche porte chiuse, penetrante al chiuso il puzzo di ammonio e urina di topo e umana anche e che secondo noi era un odore sessuale, davanti al gioiello della Graziella, rossa come una guancia immaginaria, il mondo immaginato è il più intenso réndez-vous, i pedali pesanti di plastica biancastra avevano incastonate fascette in materiale catarifrangente, arancione, ma era di rosso una vernice speciale luminosa verso i miti e le accelerazioni, pomeridiane, la polvere dei giardinetti, noi già diretti verso i soli in esplosione che immaginavamo, fittissimi colloqui nel semibuio dello scantinato usmando il sesso che lì sicuramente era fatto da uno uomo e una donna sconosciuti, e accelerando nella discesa dei giardini impegnandoci tantissimo con i garretti tesi, a riuscire verso i gruppi che tiravano lo stucco con le cerbottane, a volte con aghi dentro lo stucco, nello stupore, evitando il salice piangente colmo di gatte pelose striscianti, urticanti arancioni, e nere, noi, nessuno tanto indigente e figli della separazione, della macula primaria da cui il vuoto si condensa in un universo e crolla verso la fine propria e degli universi tutti, i supereroi americani sbalzati dal sellino in finta pelle beige e chiodato, il manubrio lucidissimo dove ci guardavamo gli occhi specchiandoci distorti, molte Grazielle distanti dalle madri e fuori del controllo, l’influenza di un’infanzia nella latteria dei ghiaccioli contando le cinquanta lire di lega metallica e pedalando in una gioia esterna dove tutto è tutto, la bambina con le labbra a ciliegia che volevamo baciare sotto l’albero del parco distante, le impensabili mille lire e lei che ciondolava sotto il pino verso la Palazzina Liberty e Demetrio Stratos in una voce infinita che ci spaventò, Dario Fo appariva un enorme coniglio che ride e abbaglia, abbastanza stanchi e sudati nella polvere la bicicletta rossa come uno choc ci riportava a casa, eravamo pochi eppure eravamo tutti, lì, con i supereroi della Marvel, nella meraviglia, oro e azzurro dell’estasi in cieli di cembali sonanti e il legame vitale nella mente, la quale si stava producendo come una secrezione, tra screziature scivolando lungo i muri di mattoni delle case popolari verso polvere gialla fosoforo disinfettante contro l’urina dei cani, andando in direzione padre, in direzione madre, tutti, tutto, trasferendo adesivi dall’uno all’altro, i raggi della bicicletta rosso choc ruotavano in un ordine, la catena della bicicletta con i denti perfettamente intinti nell’olio nero del meccanico, avvertivamo l’oscurità di un ordine che fuggiva nella prospettiva alberata verso casa, tra i molti cani, erano anni Settanta o Ottanta, la risolutezza dei ragazzi verso un tossicodipendente dall’eroina, addormentato non del tutto sulla panchina verde smeraldo, verso la fontana verde scuro e il suo rubinetto dorato a forma di testa di drago, un buco superiore sulla nuca per bere verticale tappando quello inferiore nella bocca, acqua che brillava e le pozze nere avevano dentro le siringhe e il sangue dell’eroinomane per un tratto, miriadi di biciclette rosse e alle caviglie le tramature dei calzini del mercato, rionale, che si teneva in quella piazza mercoledì, merci sommesse, chiacchiere di popolo chiamato a raccolta dentro il ventre del Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, sfiorando la sezione del Partito Comunista andavamo veloci incontro alle macchine della Simca e della Fiat, finché uno di noi si lanciò, giù dalle scale, verso le cantine, per otto piani, morendo perché lo voleva e l’accelerazione fu insopportabile e disumana, fummo tutti in un presente statico, grandi, finiti, completati e disegnati dalla storia, nostra e generale, noi non perduti più nei ghiaccioli giallo sole al limone, spalancate le stanze di ognuno di noi entrava il mondo, al funerale ci furono molte persone e la sua bicicletta rossa, un pianto di tutti così, sotto grosse gocce di piovasco e un po’ di fango del prato spelato sulla destra verso via del Turchino, era morto crollando nella sua fine prima di noi e così imparammo la protervia sommaria della fine, di tutto, sotto la casa di cemento e giallo urina, finché fummo lì.”

Fiction e tragedia: “Arnold”

Dialogo finzionale sulla fiction: le disavventure della saga di cui fu protagonista il paffuto Gary Coleman. Grottesche accelerazioni verso la più cupa e scintillante decadenza, massacri morali ed estetici, morti individuali e lasciti patetici. Fenomenologia del disastro spettacolare.

[Questo testo è una campionatura aggiornata da Costantino e l’Impero, finto biopic edito scritto da MIchele Monina e me medesimo, e pubblicato da Marco Tropea nel 2005].

“Fai fiction? Muori.
Ti ammali.
C’è un collasso esistenziale.
Linfoma non Hodgkin.
Tumore epatico.
Rovina economica.
Trasformazione della personalità.
Prendi Arnold”.
“Arnold chi?”
“Arnold, il piccolo negro paffuto”.
“Il protagonista della fiction Il mio amico Arnold”.
“Si chiamava Different Strokes in America”.
“Era un bambino di colore paffuto”.
“Non era un bambino, era un nano, aveva una malattia”.
“L’aveva da prima di girare la fiction”.
“Non importa la malattia, renale. La fiction è fatale. Guarda cosa gli è successo”.
“Aveva un fratello che si chiamava Willis”.
“Dentro la fiction sì, fuori era figlio unico”.
“Arnold aveva la faccia comica arrabbiata quando diceva sempre sempre: Che cavolo stai dicendo, Willis?”
“Era il tormentone della serie”.
“E’ stata eletta in America tra le dieci migliori battute della televisione di sempre”.
“Erano stati adottati dal signor Drummond, un mezzo miliardario bianco rimasto vedovo, che aveva una figlia anche lei bianca, Kimberly, una stronza”.
“Me la ricordo. Col fiocco. Pallida. Razzista”.
“Nessuno se le ricorda più queste cose, eppure è storia”.
“Vivevano in un attico davanti alle Torri Gemelle”.
“Già questo porta sfiga, guarda cosa è successo nel giro di vent’anni”.
“Arnold e Willis erano un problema per Kimberly che era una stronza e una razzista”.
“Andava capita, due fratellastri negri le capitano all’improvviso nella casa”.
“Il signor Drummond non aveva polso, era un debole”.
“Kimberly tormentava i due fratellastri negri. Il telefilm intendeva dire che non bisogna mai essere razzisti”.
“Anche che i negri possono essere adottati. Intendeva un modello di civiltà, la fiction”.
“Intende sempre una civiltà, sotto, la fiction”.
“Arnold, Il mio amico Arnold”.
“Arnold era un bambino simpatico agli imbecilli. Fatto sta che non era un bambino. E’ rimasto per sempre così come lo si è visto”.
“Si chiamava Gary Coleman”.
“Quando ha iniziato a girare Arnold, era già affetto da questa malattia”.
“Si chiama lupus nephritis, un disguido del sistema immunitario, comporta una forma di nanismo che ti mantiene sempre con l’aspetto di uno di dieci anni!”
“Ascolta: all’apice del successo di Arnold, Arnold guadagnava settantamila dollari alla settimana”.
“L’America impazziva per lui”.
“Appena finisce Arnold, Arnold crolla. I suoi genitori sperperano in un anno tutti i guadagni del figlio nano, cioè quattro milioni di dollari. Il nano fa causa ai genitori”.
“Ha avuto coraggio”.
“Ha i coglioni, il nano. Ma ormai la fiction l’ha fatta: è segnato”.
“Arnold vince la causa coi suoi genitori e si ritrova malato e povero”.
“Si indebita e va in rosso di settantaduemila dollari”.
“Le cure sono costose”.
“No: ha contratto una dipendenza da modellini di treni”.
“Ne compra a centinaia, per indebitarsi a quel modo”.
“Tutta la sua casa è invasa da binari che si intersecano, scambi ferroviari in miniatura. Lui ha un trenino della sua taglia, ci sale, si veste da capotreno americano, gira per le stanze”.
“Sta male”.
“E’ il potere della fiction. Fuma erba come un disperato. Assicura che è per lenire i problemi di salute, i dolori: una cazzata. A un certo punto, Arnold deve trovarsi un lavoro, altrimenti è il fallimento. Diventa guardia giurata”.
“E’ la rovina”.
“Più di quanto ci si immagini. Sta facendo sorveglianza in un grande magazzino, una cicciona lo nota, lo riconosce, gli chiede un autografo, Arnold firma un foglio, lei pretende una dedica, Gary Coleman dice che basta così, lei lo mette all’angolo, lui la insulta, la cicciona lo schiaccia contro una parete, è enorme questa cicciona, Arnold soffoca, allora le tira un pugno in un occhio”.
“Lo ha denunciato”.
“Per oltraggio e violenza. Va a processo. Lo condannano, deve pagare circa duemila dollari e frequentare un corso di elaborazione della rabbia per persone violente: Arnold”.
“E’ alto uno e quaranta e frequenta un corso insieme a personaggi che hanno preso a pugni moglie e figli”.
“Puoi controllare: è tutta storia. Ci sono le prove, non mi invento niente. Inventare è da idioti: c’è già la realtà”.
“Non finisce qui”.
“La fiction comporta una forma che non finisce mai. Nel 1999 Arnold rilascia un’intervista alla rivista Us, sostenendo di essere ancora vergine a trentuno anni”.
“Si mette a fare il venditore di auto”.
“Promo tv con lui nano in piedi su un cofano di Corvette rossa”.
“Improvvisamente si candida per una carica politica”.
“La fiction lo comporta”.
“A governatore della California”.
“Deve affrontare un altro Arnold”.
“Schwarzenegger”.
“Un nano contro un colosso”.
“Fiction seriale contro action movie”.
“E’ il 7 ottobre 2003, quando la CNN annuncia che Schwarzy ha vinto con quattro milioni e mezzo di voti. Ad Arnold ne sono andati quattordicimila”.
“A questo punto muore”.
“La fiction lo porta alla morte a quarantadue anni, cadendo dalle scale, batte la testa, muore in un lago di sangue, è impressionante, si era nel frattempo sposato”.
“Celebre la telefonata della moglie ai soccorsi”.
“La moglie Shannon. Urlava che era in un lago di sangue e che non sapeva gestire la situazione”.
“Lo hanno ricoverato ed era in coma e Shannon ha detto di staccare le macchine”.
“Non ha atteso un secondo”.
“A casa aveva messo sul letto Arnold sanguinante morente, gli aveva fatto le foto. Dopo la morte di Arnold, le ha vendute”.
“E’ una saga tragica greca”.
“Darebbe ragione agli imbecilli che sostenevano in quegli anni che l’America era l’erede della Grecia classica. Perché la saga è saga, va oltre Arnold”.
“Coinvolge tutta la scena, come ogni tragedia esige”.
“Prendi la sorellastra bianca di Arnold”.
“Kimberly”.
“La figlia del signor Drummond”.
“La interpretava l’attrice Dana Plato”.
“Carina, sempre col fiocchetto, la gonna scozzese. Molto pulita, bianca, disciplinata. La perfetta ragazza della porta accanto”.
“Solo verso la fine della serie tv era un poco ingrassata, niente di che”.
“Non era ingrassata: era incinta. Si era sposata di nascosto con il rocker Lenny Lambert e di lì a poco era rimasta gravida. Quelli di Arnold l’hanno licenziata subito”.
“Di lì, una tragedia senza fine”.
“Appena le nasce il bambino, lei torna a bussare alle porte di Arnold. Il produttore si convince e la riassume”.
“Il ritorno di Kimberly vale un salto di audience”.
“Non funziona. La serie viene chiusa di lì a poco”.
“La rovina approfondisce la crepa”.
“Passa un anno e l’amatissima mamma di Dana Plato muore di leucemia”.
“Una settimana dopo la morte della mamma, il marito di Kimberly la molla e sparisce”.
“Mettiti nei suoi panni, la fiction lo esige”.
“Anche la tragedia”
“E’ sola e povera e ha il figlio a carico. Dana Plato accetta di esibirsi nuda su Playboy. La mossa non si rivela azzeccata: la sua carriera langue”.
“Nessuno la chiama più”.
“Viene arrestata nel corso di una rapina a mano armata in un videostore. Viene condannata a cinque anni di prigione, glieli abbonano, il suo caso commuove il cantante crooner di Las Vegas Wayne Newton, che le regala tredicimila dollari”.
“Wayne Newton lo si vede nel film Ocean’s Eleven, con Clooney e Pitt. Si tratta di un emulo di Sinatra che soffre di una forte dipendenza da operazioni di chirurgia plastica. I capelli sono neroblu, impiantati, materiale organico. I denti sono falsi. Dodici operazioni di chirurgia estetica”.
“La rovina di Dana Plato, però, non si ferma davanti a nulla. Anzi: accelera. Viene arrestata per contraffazione di una ricetta medica che prescrive Valium”.
“Pensa: vieni arrestato per del Tavor”.
“E’ accusata poi per violazione di libertà condizionale, e si fa trenta giorni di galera. Esce di prigione e frequenta una comunità per tossicodipendenti”.
“C’è un altro tipo di tossicodipenza da cui non riesce a liberarsi: la tv”.
“Recita in B-movie televisivi come Bikini Beach Race”.
“Appare in un videogioco”.
“Partecipa a film a luci rosse”.
“Diventa lesbica”.
“Fa outing sulla rivista di orgoglio saffico Girlfriends”.
“Partecipa a una parodia softcore di Arnold”.
“Si fa fotografare mostrando i buchi da eroina all’avambraccio”.
“Si suicida con un’overdose in una roulotte l’8 maggio 1999”.
“Suo figlio e il suo ultimo convivente si sono disputati la proprietà della roulotte in tribunale”.
“Anche suo figlio è morto suicida. Nel 2010. Non si è mai liberato del ricordo della madre, stava male”.
“Resta Willis”.
“Anche Willis, il fratello nella fiction di Arnold”.
“Un martirio”.
“L’attore che faceva la parte di Willis si chiama Todd Bridges. A sei anni vede alla tv la fiction Sanford & Son e decide che sfonderà in tv”.
“Una serie girata nell’officina di un rottamatore”.
“Il protagonista era un caratterista noto nel panorama televisivo americano, Red Foxx. E’ morto di multinfarto tra atroci dolori, solo e disperato”,
“Todd Bridges interpreta Willis e di colpo diventa miliardario”.
“Tocca l’apice con la partecipazione straordinaria a una puntata di Love Boat, per cui lo strapagano”.
“Da qui, la caduta”.
“Prima che Arnold finisca, Todd Bridges, che ha iniziato a farsi le canne da un paio di anni, denuncia la polizia di Los Angeles per molestie. Da questo momento inizia ad avere problemi di ordine automobilistico: viene accusato di estorsione a un venditore d’auto; viene arrestato per guida senza patente; viene sorpreso mentre cerca di rubare una macchina; viene denunciato per non avere pagato il conto di una compravendita di un’automobile”.
“Lo accusano di rapina a mano armata, ma se la cava”.
“Abusa di una convivente”.
“Viene arrestato per possesso di droga”.
“Torna ad avere problemi con le auto: usa la macchina prestatagli di un amico per sfondare un videostore dopo un alterco. Poi fa retromarcia. Poi ingrana la prima e rientra nel videostore”.
“Carcere”.
“Quando esce, l’illuminazione: diventa il conduttore di una trasmissione televisiva evangelico-cristiana, sulla rete TBN, Trinity Broadcast Network”.
“E’ come risorgere in vita”.
“Superare la morte nella fiction, sì”.