
I funerali di Stato a Milano.
La mattina è umida, polvere di pioggia, il grigio cupo.
Il Duomo è squallido.
Sono quasi le nove e mezzo, la celebrazione sta per avere inizio.
Piazza del Duomo: una folla compatta, silenziosa, ombrelli aperti, non molti, il selciato è umido e scivoloso.
Ventimila persone circa.
Hanno dovuto superare, dalle sei del mattino, i controlli del cordone di sicurezza: una per una perquisite.
La piazza è un tappeto umano di teste, vista dalle guglie della cattedrale.
In chiesa, non c’è nessuno.
Il Duomo è stipato soltanto di morti.
Milleottantasette bare, di cui duecento circa occupate dai corpi interi di cadaveri recuperati tra le macerie del Palazzo di Giustizia, e circa cento ospitano resti semplici, brandelli.
Le restanti ottocento bare: sono vuote.
Su ciascuna: un nome scomparso, polverizzato, evaporato nell’esplosione, che non sarà mai rappresentato da carne morta, ritrovata.
Dall’altare all’ingresso, nelle navate, ovunque, stese, orizzontali, le bare in legno pregiato, acquistate e donate dalla città alle sue vittime.
I vivi sono fuori.
Tra i morti nel Duomo e i vivi in piedi nella piazza: sul sagrato, i celebranti.
Hanno allestito nottetempo un palco rosso.
Sopra la finestra centrale della facciata che dedica a Santa Maria Nascente, hanno sistemato il maxischermo. L’inizio della celebrazione funebre sarà: un messaggio del Papa, trasmesso sullo schermo.
Inizio della celebrazione funebre.
I milanesi assiepati: sono silenziosi.
Le casse sonore ai lati del Duomo irradiano fruscìo.
Ecco il Papa.
L’immagine è molto sgranata, molto opaca, perché trasmessa alla luce naturale.
Il Papa è seduto, su un seggio, e legge il messaggio.
E’ piegato a novanta gradi in avanti.
Trema.
E’ l’ombra bianca dell’uomo vigoroso che fu.
Quando sciava. Quando nuotava. Quando incedeva energetico.
E’ lì, l’icona tremula trema per il Parkinson.
Guardate come vibra il foglio del messaggio nella sua mano.
E’ pallido. La bocca è storta. Forse perde saliva da un angolo.
La zucchetta bianca non aderisce bene ai capelli biancoargento.
Gli occhi sono fessure in una pelle pachidermica. Un occhio è più schiacciato dell’altro.
La bocca parla, storta, si apre soltanto a sinistra.
La voce biascica.
Trema, è ansiogena, fa fatica, non ha respiro, è sfiatata.
Il Papa fatica intento, lo sguardo mai in camera, fisso soltanto sul foglio che trema.
Non si distingue sillaba da sillaba, è un continuo tremulo, angosciante, non si capisce niente, è un tremito di voce che continua, perfino le pause per il respiro sembrano scosse, non ce la fa.
Si sente soltanto, modulata, alta e bassa, la litania.
Quando termina è un sollievo.
Alza la mano incerta, benedice.
Dietro di lui: il prossimo Papa. E’ pronto.
Lo schermo si fa nero.
Sul sagrato, davanti al palco: le autorità tutte sedute.
I volti contratti.
Qualcuno lacrima, altri hanno gli occhi arrossati, nei cappotti scuri.
Le telecamere, moltissime, li riprendono. Il nostro presidente che sembra ottocentesco, la sua signora a fianco, che piange. Il premier. I ministri. Gli ospiti stranieri: pochi. Hanno fiutato il rischio. Hanno inviato i messaggi di partecipazione e cordoglio. Hanno paura della strage: non quella che si celebra, ma quella che sta per celebrarsi. Hanno avuto allucinazioni: sangue dappertutto, sul sagrato, nella piazza, corpi cancellati dall’esplosione immane. Un aereo abbattutosi sul Duomo di Milano. Il Palazzo reale che esplode. Gli ospiti stranieri hanno disertato, inviando i telegrammi di cordoglio.
C’è cordite nell’aria, ancora si percepisce l’aroma dell’esplosione.
C’è tensione.
I milanesi hanno paura.
Chi è venuto ha sfidato la paura di un nuovo attentato.
E’ chiaro che i terroristi colpiranno oggi, qui: forse.
Salgono i tre officianti.
Celebrano in tre.
Il cardinale richiamato da Gerusalemme, amatissimo da Milano, suo arcivescovo per anni. Il nuovo cardinale, che lo ha sostituito. Il monsignore biblista.
Stendono le mani.
Aprono il Libro.
Cominciano.
CNN trasmette in diretta, con traduzione simultanea, il funerale di Milano.
Più trascorrono i minuti e più intensa e diffusa si fa l’ansia silenziosa.
Si attendono tutti qualcosa.
Al termine della messa, gli omaggi della società civile.
Sale sul palco, prescelto per rappresentare la città, dopo i brevi omaggi del presidente e del premier, il calciatore Paolo Maldini e legge alcuni versi da Gibran.
Inizia l’esodo dalla chiesa delle bare.
Le portano fuori gli addetti. Le sollevano, sulle spalle le trasportano.
Saranno seppelliti nella nuova ala del Monumentale.
La folla applaude. E’ un applauso triste, metodico, continuo.
Escono e sfilano le milleottantasette bare.
Verso l’Arengario, i camion e le autopompe dei vigili del fuoco. Molti sono allineati in piedi sui tetti delle autoclavi. Di colpo si accendono a morto le sirene: è un lamento potente, evocativo.
Non è ancora accaduto niente.
Elicotteri incrociano sulla città.
No, non è accaduto niente.
Grande Madre Rossa non ha fatto quanto aveva detto avrebbe fatto.
Allora era un bluff. Era tutto falso. Era soltanto una bomba psichica, l’esplosione televisiva dell’insicurezza generalizzata. Però, tra gli uomini della sicurezza, la tensione persiste. Hanno paura. Non è detto che Grande Madre Rossa non esista. Potrebbero comunque colpire.
Infatti colpiscono.