L’estate di quest’anno, la rovinosa estate 2007, mi ha condotto a sperimentare premesse personali che poi ho visto, con allibimento, realizzarsi collettivamente, in accelerazione temporale pressoché insostenibile, nei mesi successivi. Il fallimento dell’estate 2007 è stato intimo, ma preludeva a un fallimento sociale – generalizzato. Ho goduto di pochi giorni pacifici. A dire il vero, nemmeno di quelli. In quelli è nata un’urgenza, ovverosia la scrittura totalmente libera da condizionamenti, di un libro che non è un romanzo, non è un insieme di racconti, non è una serie di installazioni, non è una struttura a capitoli di prosa poetica, non è un saggio – eppure è un libro, cioè è un oggetto interrogante. Il libro deve ancora concludersi, devo lavorarci sopra, manca il racconto definitivo, avrebbe da raccontare la cosa che il libro stesso continua a dilazionare, una cosa che non è una storia, ma è tutto il presente italiano, raggrumato in una bolla spaziotemporale inattesa ma scontata. Non dirò il titolo di questo libro (che non so neppure se mai pubblicherò e che nulla ha a che vedere col nuovo
romanzo in uscita a gennaio per Mondaori e che sta per essere presentato a Francoforte, agli editori stranieri: il momento in cui svelerò la natura del soggetto, dopo tanti ragionamenti e pesanti cautele mostrate nell’officina allestita qui). Tuttavia, mi sembra opportuno pubblicare l’incipit (che si intitola, per l’appunto, L’Acida Musa): preso da sé solo può non significare nulla oppure, per qualche sguardo, può molto significare.
Eccolo.