Vorrei esprimere la mia stima assoluta, la mia ammirazione totale, la mia gratitudine più intensa a Giorgio Falco, l’autore del “romanzo” LA GEMELLA H (Einaudi), probabilmente uno dei testi memorabili (“storici) di questi anni smemorati e smemorabili, ma che stanno dimostrando lo stato di salute eccellente della narrativa italiana. Quella di Giorgio Falco non è narrativa: è una narrazione condotta con i metri della poesia e l’ingaggio rivoluzionario di un genio linguistico che ha abbattuto tutto l’abbattibile del romanzo novecentesco, in un manoscritto prezioso e pluristratificato che, per essere pienamente compreso e penetrato da me, richiederà più letture. Ciò non spaventi i lettori e le lettrici: *sembra* un romanzo di formazione, *sembra* un romanzo storico, *sembra* un romanzo epico (finché siete d’accordo con me che “Il mulino del Po” è un romanzo epico). Avete problemi con l’idea di illeggibilità? Allora sarete carezzati da una vicenda corale e singolare, che attraversa il secolo XX e arriva a noi, e ci sono un sacco di cose da raccontare e godere, un bel diorama impegnativo: prima di Hitler, sotto Hitler, dopo Hitler, le migrazioni, i nomadismi, i ritorni. In realtà, la realtà è che non è così. Giorgio Falco ha scritto un libro cosmico-storico che scaraventa la nozione di Storia nelle gattabuie più profonde riservate alla nascita della coscienza. La trama potete visionarla qui e convincervi che sono soldi molto ben spesi: lo comprate, questo libro, lo leggete, vi fa pensare, vi carezza col ricordo di scene decisive e vaste o molto compatte e secche. Potete ben immaginare cosa significhi affrontare un romanzo in cui una neonata di poche settimane, che ha accanto la gemella, osservi che “appare la parola Hitler”. E’ un momento strepitoso della narrazione italiana: a parlare, dal momento in cui la S/storia inizia ad accadere, e cioè uscendo dall’utero e dalla fusione con la madre e la sorella omozigote, che resta sola “per 180 secondi” uscendo per prima alla luce – a parlare, dicevo, è una delle due gemelle, che usa indifferentemente la prima persona singolare e plurale, con una precisione che ghiaccia il sangue del lettore e scavalca l’angoscia d’influenza di un caso specifico, quello di Agotha Kristof nel “Grande Quaderno”. E questa voce si scioglie e si rapprende, diventa descrizione in cui è impossibile distinguere interno ed esterno, con la fenomenologia narrante, di specie realistico-storica e ucronica, che rappresenta l’inaugurazione della Autobahn tedesca qualche anno prima che essa venisse effettivamente costruita. Si scavalca la dinastia in cui va a incastonarsi la voce della gemella H che è Hilde Hinner e la cui sorella è un’altra gemella H, Helga Hinner. Siamo ad altezza Kafka, anche se ad alcuni sembrerà che siamo ad altezza di un altro Novecento: siamo a Kafka contro Proust sotto il nazismo. E’ un turbinìo storico che coincide a volte e a volte violentemente si distacca dallo stato di allerta in cui sta la coscienza. Il fenomeno storico contro il fenomeno coscienziale: questo massimalismo, questo universalismo è l’asticella regolata da Giorgio Falco con una consapevolezza che mi lascia attonito. Vorrei abbracciare questo scrittore, scuoterlo ringraziandolo, poiché egli mi ha scosso. Come lo ha fatto? Con una lingua semplicemente mai vista, mai letta. Saltano i dialoghi, tutto accelera in avanti o retrocede con un ralenti onirico e nitido. E’ un incalzare della voce, la quale è la voce della gemella H oppure della natura oppure della S/storia oppure della famiglia oppure della nazione oppure della merce etc. Tanto sorvegliata, fino a raggiungere una solidità però cristallina, era la lingua de “L’ubicazione del bene” (sempre Einaudi – uno dei libri italiani più importanti di questi anni), quanto ne “La gemella H” la lingua è parossitona per accumulo, streaming lirico che è realistico, sorvegliatissimo dispositivo in cui una furia (che canale di questa furia sia l’autore o il/la parlante poco importa) e una fantasmagoria inesauste hanno sfogo, disegnando un nuovo letto per il fiume del romanzo. Poi c’è da discutere la narrazione della Storia, appunto: non mi pare che però sia necessario concentrarsi unicamente su come e perché venga affrontato e rappresentato il fenomeno umano in conflitto e identità con il fenomeno Hitler. Certo, è di fatto *il fondamento* di questa narrazione e, pertanto, non è questa la sede per affrontarlo. Qui desidero soltanto esprimere tutto il mio amore per questa narrazione e tutto l’affetto che porto al suo miracolante autore, che mi sta cartavetrando in una lettura che resta, anche se probabilmente il canone storico non sarà mai più come lo abbiamo conosciuto proprio in quel Novecento che viene qui a sciabordare, immensa onda che non è più anomala e non riuscirà mai più a intaccare le nostre coste e minacciare le nostre esistenze, poiché ci siamo trasferiti in un altro continente: del quale Giorgio Falco è il primo cantore epico e, per me, già adesso abbastanza leggendario.
Ad usum idiotae, visti i tempi e gli sgherri che girano, sia chiaro che quanto ho sopra scritto non costituisce un articolo critico. E’ un post di Facebook ed è impressionistico. Eventualmente torno sull’argomento, armandomi di quella strumentazione teorica e critica che è concessa a uno come me, che critico non è. Qui intendevo solo esprimere emotività, stupore e amore, per il libro e per l’autore.
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