Il nuovo libro, ora facentesi

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Il nuovo libro, ora facentesi, che sarà mondadoriano, mi sembra assuma i caratteri dell’accelerazione che, soltanto come occasione narrativa, racconta in modo intermittente. L’accelerazione, tecnologica e profondamente antropologica, non è riguardata quale momento faustiano e neppure messa in connessione con eventi o svolte della storia. Per chiarire: ritengo che l’apparizione Hitler abbia determinato una svolta tecnologica imprescindibile, che condiziona i nostri giorni e i decenni recenti che abbiamo trascorso, tutti vissuti sotto il segno di una supposta sconfitta di Hitler stesso. Nel libro nuovo, facentesi, questa è una funzione che non spiego, anzitutto perché non sto scrivendo un saggio. Che mi ponga il problema di come raccontare non elude la questione di cosa racconti. Mi ha fatto riflettere una conversazione con uno scrittore che stimo tanto e che ho incontrato per qualche ora a Milano l’altro giorno. Mentre enunciava che l’autentico scrittore non utilizza la letteratura per indagare o escavare il presente, mi avvertivo in una colpa fetida e in un’insufficienza personale davvero radicale. Inizialmente il nuovo libro, ora facentesi, si sarebbe svolto all’incirca come un “romanzo” che nel frattempo è uscito – ho dovuto mutare tutto. Intendevo occuparmi della smaterializzazione dei canoni, degli immaginari. Volevo raccontare l’inoltramento di noi tutti in una zona esigua e strana, che viene dopo l’umanismo in cui sono cresciuti i pre- o para-digitali, una fascia anagrafica a latitudini geografiche in cui sono cresciuto. Non intendevo ovviamente redigere in tempo reale il digesto di un’epoca storicamente nuova. Mi interessava altro. Mi interessava denudare l’uomo, spiritualmente e fisicamente, denudando i personaggi, mettendoli a contatto con una materia caustica che trascende la storia. Sarebbe come dire, altrimenti, che Burroughs si occupava dei drogati o Dick della telepatia nel futuro. Questo presente è privo di generi, narrativi anzitutto (poco importa che nelle classifiche di lettura trionfino prodotti di genere). Sempre il fenomeno umano ha esplorato la possibilità di non essere fenomeno e, quindi e forse, non essere umano. Il presente è sempre servito come chiave per la penetrazione di questo movimento. Oggi la domanda arriva diretta, proprio dal presente storico, nella sua costumanza mainstream: è fondamentale, per la tecnologia che sta accelerando, la domanda su cosa sia la coscienza. Quella domanda è il filo non tanto rosso di tutto ciò che ho pubblicato (lasciamo perdere il valore eventuale dei miei libri: intendo ravvisare un movimento che c’è nel testo) e quella stessa interrogazione era ricavabile da qualunque presente o passato del quale andavo occupandomi. Il residuo, cioè cosa resta della pagina, era ciò che mi interessava e, per quanto sentivo facendo i testi, si trattava di qualcosa che, pur avendo a che fare con le parole e le frasi e i versi nascosti e i timbri e i ritmi e le vibrazioni foniche, nelle parole non stava. Io tentavo di raccontare quello che nelle parole non stava, poiché faceva le parole stesse. Questa è la materia pura di cui vado a occuparmi nel nuovo libro, facentesi. Non so se sia esotica o letteraria a pieno titolo. Non so se sia appassionante. Mi pare che si ponga in uno svolgimento a iperbole: ogni iperbole inizialmente pare una linea retta, si scosta progressivamente molto poco dall’ascissa – poi all’improvviso, ma in continuità con il percorso antecedente, impenna, va asintoticamente, in convergenza parallela con l’asse delle ordinate. Questo andamento è certamente strutturale tanto quanto storico. Il punto, tuttavia, è cosa sia l’origine da cui emergono ascissa e ordinata. Potevo raccontare con qualunque genere. Potevo studiare l’impossibile, per discostarmi fantasticamente dal fatto avvenuto storicamente, accertato cronachisticamente, registrato da ogni tipo di media. Ho invece preferito partire dalla prima persona, che avrà una sua storia, chissà che gran storia che avrà, vero? L’andamento, inizialmente sembra lento, in realtà è acceleratissimo, ma è trascorso, è passato, e la sedimentazione del passato conferisce un’idea di stabilità e immobilità tipica delle statue più icastiche e sapienziali, che sono mute. Poi la narrazione si scompone, inizia a pullulare di molecole “io”, non sembra esserci un disegno generale. A questo punto inizia una storia, che forse continua ciò che in precedenza si è dato, magari ordina ex post quel movimento disordinato e molecolare che si sviluppava dopo l’esordio. Ecco, all’incirca va così. Siccome temo di perdere la consistenza del me stesso che scrive, siccome il tempo stringe,siccome mi è utile il dialogo tra me e me stesso, magari in forma diaristica pubblica, l’ho scritto qui, l’ho pubblicato qui – sperando di accedere in qualche modo a una dignità anche se sembra che mi occupi del presente e di ciò che sta accadendo, che sta per accadere.
Buonanotte, bambino – buonanotte, Giuseppe.

PS. L’immagine allegata è opera del Professor Bad Trip, cioè Gianluca Lerici, di cui in questi giorni è aperta a Palazzo Velli a Roma una mostra a lui dedicata, a dieci anni dalla sua scomparsa. Gianluca Lerici diede copertina al mio esordio, avvenuto nel 1996 con il fake Luther Blissett e pubblicato negli Oscar Mondadori col titolo “net.gener@ation”.

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