Amazon mi ha appena recapitato in casa editrice la copia ambitissima di “Satantango”, uno dei capolavori dello scrittore ungherese László Krasznahorkai, da cui il genio cinematografico di Béla Tarr trasse un lungometraggio leggendario. Lo pubblica Bompiani, a cui va tutta la mia gratitudine. Provai a leggerne la traduzione inglese, vincitrice del Man Booker 2015, ma rimbalzai, per la difficoltà implicata dalla mobilitazione stratosferica del lessico e per i giri di frase, così complessi e così toccanti. Scrittura poetica, pittorica, filosofica, la prosa di Krasznahorkai è un unicum contemporaneo, che mi pare imprescindibile. Siamo al cospetto di uno dei grandi autori del nostro tempo. La sua narrazione sghemba e trascendentale definisce il nostro tempo, collocandolo in un’universalità che sembra mancare alla gran parte della letteratura contemporanea. Danzate il tango, accedete al regno dei fantasmi più fangosi e macellati dalla storia che siano apparsi nel nostro presente, il quale è lungo decenni e nel corso di questi seppe dimostrare che era finito, ogni Novecento era finito, io sono cresciuto in questo.