Da “History”: gli angeli custode

In “History” (Mondadori), verso la fine del libro, è scritto:

«Le nostre fedi cieche negli angeli custode…
Di notte, pensavamo uniti, piegati sulle ginocchia, di notte è risaputo quando sogniamo che ci sono gli angeli custode. Vegliavano, credevamo, su di noi, noi lo sognavamo. Traslucidi e rasserenati, essi trascorrevano una vita di culla, supremamente siamesi, non li avversava mostro alcuno e sempre erano intenti a leggere il libro scritto dal Buon Iddio. Noi dormivamo, gli angeli custode ci vegliavano. Fino all’alba eravamo assopiti, avevamo a che fare con le vastità notturne, con i dragoni, con le maglie vecchie. Questa lana del sogno era un impaccio e stentavamo a cavarcela di dosso perfino al risveglio: tendevamo spropositatamente le nostre leve corporee, distendendo le braccia e le gambe e il cingolo scapolare, allargando il torace in grandi respiri, rattrappivamo i pugni, incerottavamo il volto con cispe e lacrime, andavamo risvegliandoci. Eravamo bambini, dopotutto. Non c’è umano che non sia bambino, dopotutto.
Si discendeva dal letto pensando gli avi, mentre già quegli angeli custode, quei cuori alati dai sembianti pallidi e dagli immacolati riccioli d’oro, si allontanavano diretti a una geografia soltanto a loro nota, e al Buon Iddio, tra armoniche celestiali si involavano, avendo rapito tutti i nostri sogni. Smettevamo di credere al Buon Iddio, ma non cessavamo di essere spaventati dai morti. Vestiti di tutto punto dei nostri mestieri e delle arti apprese, ci facevamo da subito insinceri e con il cuore chiuso, impenetrabile, serrato nel nostro seno senza morbidezza alcuna, ci sviluppavamo abbandonando i giochi e le fantasticherie, un lustro prima che avessero sopravvento il codice civile e il lavoro, il lavoro redento con la durezza e la inflessibilità, dimentichi degli angeli custode e delle fole e cercando un poco di respiro nelle campagne e nelle vergogne…»

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