Miserabile intervista a Sul Romanzo

giuseppe_genna_infante[Già in occasione di uno speciale dedicato a Giulio Mozzi e al suo ultimo libro Sono l’ultimo a scendere (e altre storie credibili) ho segnalato Sul Romanzo, uno dei migliori blog letterari in circolazione sulla rete italiana. Il gestore del sito mi ha chiesto di rispondere alle domande della sua intervista standard (qualcosa che ricorda il questionario proustiano, ma fortemente declinato in senso personale e colloquiale: in pratica, un’occasione per guardarsi dentro e dietro e davanti). Eccone il testo. Non posso mancare di ringraziare l’intervistatore, Radames, soprattutto per la qualità delle cose che pubblica. gg]

Buongiorno, vorrei iniziare chiedendole a quale età si è avvicinato alla scrittura e se è stato o meno un caso fortuito.

Il primo libro che ho letto è stato Papillon di Charrière, a sei anni. Cinque giorni di immersione totale. Poi ho preso dallo scaffale della libreria dei miei Lovecraft (I mostri all’angolo della strada, un’antologia non propriamente filologica, curata da Fruttero e Lucentini). Poi, le poesie di Eugenio Montale. Da lì, non ho più smesso. C’è stato un appannamento quando ho iniziato a lavorare professionalmente a stretto contatto con la poesia mentre facevo l’università, a Milano (studiavo filosofia) – da un lato mi giungeva la nausea derivante dalla conoscenza personale dei poeti contemporanei, mentre dall’altro le bibliografie erano talmente sterminate (il primo esame, Filosofia antica, contava 42 libri da preparare) che non avevo tempo di leggere altro o, se tentavo di farlo, ero preda di abissali sensi di colpa perché non stavo studiando.
In mezzo c’è stato l’incontro, piuttosto precoce, con “Intrapresa” di Gianni Sassi, cooperativa che editava Alfabeta e La Gola, e che poi sarebbe arrivata a organizzare festival letterari leggendari, quali MilanoPoesia. Qui, l’incontro con il poeta Antonio Porta, che poi seguii in un corso di poesia, venendone seguito da lui a mia volta: lo considero, a tutt’oggi, il mio maestro letterario.
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Storia di fantasmi

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Sul blog Il Miserabile, on line su la7.it, un post che è anche una videomeditazione a corollario di Italia De Profundis, sulla narrazione della storia umana (indifferentemente politica e universale) e l’ambiguità dei suoi fantasmi, per evitare il cronachismo e spalancare le porte dell’allegoria:

ITALIA: STORIA DI FANTASMI

storiafantasmiimg.jpgSe si cerca di narrare una storia, accade che si racconti anche la storia che apparentemente è fattuale. Soltanto un presente saccente, quale è il nostro nei suoi aspetti deteriori (per esempio, quello rappresentato dagli intellettuali che continuano a urlare in nome di una tradizione che non hanno minimamente compreso), soltanto un tempo teso a guardarsi dall’esterno e ad autocanonizzarsi può ritenere che la storia politica e sociale che viene narrata sia cronaca. Di fatto, essa è un’allucinazione. Una schiera di fantasmi avanza sempre. Questi fantasmi sono fisicamente figure morte, ma l’arte e la letteratura conferiscono loro una seconda vita da zombie: questa è tutta l’ambiguità e la pericolosità dell’arte. Così Dante rappresenta contemporanei nel suo Inferno, Hugo fa dialogare Robespierre e Marat in Novantatré, Manzoni dà vita al Cardinale Borromeo a una distanza che, per differenza di accelerazioni storiche, corrisponde all’incirca a una narrazione di ciò che è Andreotti in dati romanzi e film. Non si sa nemmeno se Andreotti è Andreotti. Lo vediamo fantasmaticamente. La memoria è un teatro di fantasmi. Questi fantasmi esprimono molto di più di quanto esprimerebbero in un racconto cronachistico. Essi sono figurazioni del Potere. Sia chiaro: l’artista esercita il Potere, ha a che fare col Potere quando crea. Quindi, ogni narrazione apparentemente storica, rimanda a un “io” che è esso stesso fantasma: è una forma di quel Potere. Perciò, esso può assentarsi dalla scena, ma non se ne andrà mai veramente.
Questa è la premessa a una nuova videomeditazione che nasce come corollario a Italia De Profundis. Mentre nel ragionamento per immagini fatto precedentemente l'”io” era esplicitamente parte in causa, qui è tutto apparentemente sociologico, politico, esteriorizzato. Parrebbe cronaca, se non apparissero determinati scarti. Qui non ci si chiede come si racconta la storia, ma si medita su un racconto della storia – quella italiana.

Italia De Profundis in libreria – Un brano inedito

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Il romanzo Italia De Profundis (minimum fax, € 15) è finalmente acquistabile in tutte le librerie e anche on line. Ne riproduco un brano che non è inserito né nel sito ufficiale né nella pagina di minimum fax. Si tratta di una parte del quarto capitolo, che ha per titolo il medesimo del libro, e descrive la scena italiana, prima di una traduzione della stessa in termini narrativi secondo prosa poetica

«Era, dunque, l’estate improduttiva e faticosa del 2007, ma già da due anni io sto male, da due anni io non mi riposo, non ci sono vacanze, ma soggiorni nella calura brevi, inappaganti.
Ci avviciniamo al luogo del racconto.
Stanno fondando un nuovo partito.
I periodi glaciali che non conducono a nulla di nuovo spaventano. Gli italiani appaiono indifferenti al clima psichico. Da vent’anni la loro collettività è entomologica, termitica.
Questo nuovo partito sostituisce i rimasugli rosastri del fu Partito Comunista Italiano, un terzo della nazione lo votava, ci credeva, veniva ripagato con un’educazione chiesastica ma colma di senso di contenzione, se non di contrizione.
Io sprofondo, parallelo ai miei concittadini, in un altro genere di disperazione: sconosciuta. Dapprima è un nucleo lontano, interno, una fusione fredda che osservo con stupore glaciale. I periodi glaciali conducono sempre a novità inattese: fenditure improvvise nel pack, sprofondamenti nel dramma, repentine ritirate delle nevi, discioglimento delle vedrette, spalancamenti di abissi impensati.
La disperazione cresce, si allarga, mangia spazio e ossigeno in me.
Gli italiani stanno raggiungendo il culmine dell’idiozia. Concionano. Berciano contro le tasse. Non si smuovono. Non intuiscono la crepa. L’orizzonte di deflazione psichica a cui stanno correndo incontro, con gioiosa incoscienza. Nemmeno la morbosità, nemmeno la rassegnazione, nemmeno l’indignazione hanno più presa su questo popolo diviso in due caste sommarie, la ricca e la povera che vive nella finzione di una ricchezza elusiva, l’agio ostentato a spese di una povertà occulta ritmata dal pagamento delle cambiali: debiti contratti per andare in vacanza in luoghi di culto estivo per vip e segnalati come costanti del desiderio dai magazine del gossip, questa stampa non patinata, in carta a bassissima grammatura e inchiostrata male, che viene sfogliata avidamente da due terzi del Paese.
Sono raddoppiate le procedure di pignoramento.
Sta incombendo, sulla nazione che utilizza il bene rifugio del mattone, la bolla speculativa edilizia, un tumore che partirà entro un decennio dall’area angloamericana e investirà come un tornado gli italiani, i proprietari di case, gli scopritori delle bellezze rumene della multiproprietà sul Mar Nero e sul Mar Caspio, i detentori di mutui trentennali, difficoltosi da ottenere dalle banche, codici proibitivi che richiedono un esame spettrografico condotto attraverso una miriade incontenibile di appretti cartacei, autocertificazioni complesse, impegni che rasentano il giogo dell’usura.
La spesa per la telefonia cellulare è la più alta del continente.
I SUV hanno invaso le metropoli, inutili abbozzi di Transformers»…

Lynch: INLAND EMPIRE

Lynch: INLAND EMPIRE

AVVERTENZA: PRIMA CHE SI INIZI QUESTO RESOCONTO NARRATIVO, VA SPECIFICATO CHE TRA LE SUE RIGHE SONO NASCOSTE FORMULE DESUNTE DA GRIMORI E TESTI ALCHEMICI CHE, AL DI LÀ DI OGNI SCETTICISMO, COMPIONO IL LORO LAVORO SUBLIMINALMENTE, ANCHE ATTRAVERSO LA LETTURA MENTALE. CHI NON DESIDERASSE ESSERE ESPOSTO A QUESTA IRRADIAZIONE, CHE SI AVVICINA ALLA MAGIA ESORCISTICA, È CONSIGLIATO DI SALTARE LA LETTURA DEL TESTO.

E’ nero. E’ tutto nero.
Scrisse Jean-Jacques Rousseau: "Non adottiamo quegli spettacoli che rinchiudono tristemente poche persone in un centro oscuro, tenendole timorose e immobili nel silenzio e nell’inerzia". E io sono qui: chiuso in un centro oscuro. E vedo.
Vedo INLAND EMPIRE, è la prima volta che il mondo lo vede: è la proiezione alla Mostra di Venezia, hanno appena consegnato il Leone d’Oro alla Carriera a David Lynch, vestito di nero, la chioma ormai quasi del tutto bianca, pallido, gigantesco e piccolissimo nella distanza dal palco della Giuria, la camicia abbagliante, il colletto alla cinese, e sorrideva e non desiderava sorridere – fingeva di sorridere a nostro favore.
Fingere a favore di qualcuno. Dove sei mentre fingi? Sei ancora umano?
L’umana finzione. La madre di tutte le finzioni "io".
Io so dove sono ma non so cosa sono mentre la sigla di apertura di INLAND EMPIRE parte: un 33 giri, il fruscìo grattato del vinile antico, parole sussurrate in polacco, una stanza povera di Lodz, una donna vessata e distrutta e violata e umiliata da un uomo misterioso che parla polacco, e il disco ruota, nerissimo, mentre ruota abbaglianti riverberi colpiscono la vista.
Non è questione di capire, di comprendere. La mente è in continuo mutamento. Chiedetevi: quale mutamento? Tra un pensiero e il successivo io osservo uno spazio: è nero. Io sono lì? Cos’è quello spazio nero? Lo allargo, tento di allargarlo…

Allucinazione Smaila: la tre giorni a Poltu Quatu

Inizio in medias res, con un video: tanto non supera l’allucinazione continuativa che ho sperimentato in una tre giorni a Poltu Quatu, accanto a Porto Cervo, in piena Costa Smeralda, sorta di luogo-residence dove l’imperatore Umberto Smaila invita amici vip o comunque sagome paraumane gossippate. L’effetto è che i turisti si affollano sull’unica via esistente, cioè la banchina che dà sull’attracco dei molti yacht, onde riprendere e fotografare e spedire mms con le supposte icone incontrate a tu per tu, alla distanza cautelativa di una decina di metri. Nel video, riconosco con precisione le colonne e l’angolo che ho visto dal vivo, se si può definire "vivo" lo stato catatonico in cui versavo per sovraesposizione agli astri di un a galassia improbabile, ma divenuta probabilissima. Qui, in questo angolino pittoresco di Poltu Quatu, che somiglia al patio di una villetta della Brianza, Smaila si esibisce al semiaperto e si organizzano concorsi di varia fatta, che nemmeno la fantasia di Filini avrebbe partorito. In questo preciso caso, Smail passa da una parodia lirica a una versione finto-techno di Celentano. Il suo istrionismo è debordante, quasi quanto lui stesso. La ripresa è di un privato, il che è l’esito preciso che si propone l’intero sistema Poltu Quatu.
Il video, dunque (se non lo visualizzate, cliccate qui).