Non-essere reale

Disse un maestro: “Il mio senso di essere non c’era, è apparso ed è temporaneo. Non ho nessun controllo su di esso. Non posso essere un cliente di ciò che Dio ha da donare, lasciatelo essere grande, io non sonointeressato. La conoscenza non può essere data a tutti. Uno deve perdere interesse. Se perdi interesse anche il mondo arresta la sua esistenza. E’ a causa delle sostanze chimiche che cresce l’entità. Tutte le attività sono meccaniche, così ogni cosa avviene secondo i piani prestabiliti. Parlo in relazione a che cosa? Su che cosa ci si basa? Sul senso di essere. Quando il senso di essere se ne va, vi è il non-essere che è eterno. Non vi è conoscenza, né Dio, né Ishwara. Di cosa posso parlare? Il senso di essere sparirà. Io prevalgo sempre nel non-essere. Dal non-essere il senso di essere appare. Dovrei sapere come è successo. Alcuni mi lodano, io sono come una montagna. So che niente esiste, i nomi e le forme sono categorie. Nulla di buono o di cattivo può succedere a qualcuno. Non è mai successo e mai succederà. Allora perché preoccuparsi? La forma e la conoscenza sono apparse senza saperlo, se no come avrei potuto entrare in un posto così sporco per nove mesi? Anche se il topo è morto, uno scappa. La gente parla di spiritualità, ma nel processo esclude il Sé più profondo. Rimani nel tuo Sé e poi parla. Fai ricerche su di te. L’Assoluto è eterno, uno stato di non-essere,
e reale. L’essere è temporaneo e con esso appaiono i cinque elementi e così via: non-essere – nulla. Niente potrà darvi compagnia in questo mondo su basi permanenti. La gente avrà delle memorie che mi riguardano, alcune gaie alcune tristi, alcune fastidiose, ma su di me l’effetto è nullo”.
(Nisargadatta Maharaj, “Io sono il non nato”, conversazione tenutasi il 1 dicembre 1979)

Prefazione a “Non Dualismo” di Nisargadatta Maharaj

E’ in libreria Non Dualismo di Nisargadatta Maharaj (il Saggiatore), un testo che raccoglie gli ultimi dialoghi del grande maestro advaita. Il volume è corredato da una prefazione a mia firma, che qui riproduco e che dialoga con il saggio Io sono, pubblicato dal medesimo editore.

L’indagine oltre l’io, oltre l’illusione
di Giuseppe Genna

Che cosa si intende per Non Dualismo? E’ un viaggio alla scoperta della natura della mente. E’, questa, una delle molteplici sintesi possibili di una disciplina che soggiace alle filosofie più rigorose e alle pratiche psicologiche più risolutive. Nel caso dell’insegnamento di Nisargadatta Maharaji, una delle personalità più eminenti dell’insegnamento Advaita (la traduzione sanscrita del termine Non Dualismo, appunto), si tratta di una via diretta e operativa a risolvere il perenne conflitto in cui l’umano è inscritto, un conflitto che l’umano soffre e che tuttavia non è reale, laddove la realtà è qualcosa che sta sotto e sostanzia l’apparizione stessa dell’individuo o, più precisamente, dell’entità che da se stessa si ritiene individuo: cioè noi.
Si tratta di una filosofia pratica, il che costituisce un aspetto che la cultura occidentale sembra avere emendato nel corso della sua complessa storia: il Non Dualismo non è un sistema di dispositivi del pensiero desunti dal mondo e al contempo calati in esso, bensì un’indagine reale e diretta al cuore stesso dell’esistenza – una prassi, appunto. Ed è la prassi più centrale, capace di risolvere quello che l’essere umano ritiene essere la vita per come è, un conflitto in mezzo al quale bisogna trovare il senso.
Esistono molte vie preposte alla risoluzione del problema di se stessi: religiose, iniziatiche, esoteriche, metafisiche, esistenziali, psicologiche e, ormai, persino scientifiche (il problema dello statuto della coscienza sta determinando l’attuale epoca delle macchine senzienti e, insieme alla robotica, le neuroscienze). Tutte queste direttrici convergono in un unico punto, che costituisce l’autentico mistero da indagare, ovvero la domanda: che cos’è la coscienza?
Si potrebbe dire che, lungi dall’essere un sistema organizzato in un’unica e irremovibile struttura, il Non Dualismo costituisce il cuore stesso di qualunque ricerca sulla verità e il senso. E’ la fase finale di ogni indagine sulla vita e su quel fenomeno che è la sensazione di essere noi stessi. Potremmo paragonarci a punti su una circonferenza; quelle vie di indagine rappresenterebbero gli infiniti, e infinitamente diversi, raggi del cerchio; e allora il centro risulterebbe essere l’Advaita, ovvero il processo finale di risoluzione del composto fisico e spirituale in cui agiamo e ci agitiamo.
Si potrebbe definire l’Advaita come “scienza dell’essere”: il suo oggetto di ricerca è quale sia la natura dell’essere e si tratta di una ricerca pratica, effettiva, condotta su se stessi, durante la quale si assiste a trasformazioni plurime del rapporto che si intrattiene con le proprie emozioni e i propri pensieri e le proprie percezioni. Siamo portati ad associare al termine “metafisica” un sentimento di astrazione e il significato di qualcosa di distante dalla realtà, di surreale addirittura; invece si tratta di una scienza estremamente pratica, dagli effetti molto concreti.
Il Non Dualismo è il momento in cui, abbandonando le diverse prospettive, ci si accosta al problema della propria identità e si lavora, tra sé e sé, per risolverlo. Non un’identità psicologica o storica o sociale o in qualunque modo qualificata, bensì l’identità in se stessa, il fatto semplice che ci sentiamo qualcuno o qualcosa. L’Advaita costituisce il momento centrale in cui si taglia alla radice il problema del proprio io, al di là dell’uso di qualunque “piattaforma programmatica”. Il Non Dualismo è un invito, è un magnete, è un insieme di facilitazioni, che ha come esito finale la liberazione di se stessi dalle catene del mondo e di quella sterminata legione, instabile e allucinatoria, che ha nome: io.
Indifferente ai tempi e alle condizioni storiche e ambientali, la dottrina Advaita non smette di accadere nella vicenda umana, riportando al suo insegnamento perenne, ovvero il nucleo centrale di qualunque metafisica e di ogni attività realizzativa. Non stupirà quindi che anche nel Novecento, un secolo irrequieto in cui alcuni studiosi di àmbito spirituale lamentavano l’assentarsi definitivo di figure magistrali, la tradizione Advaita abbia espresso interpreti e divulgatori che, a distanza di decenni, si possono riguardare come giganti di un lignaggio che prescinde dai confini e dalle epoche.
Uno di costoro fu senza dubbio Nisargadatta Maharaji. Il suo nome di battesimo era Maruti Kampli. Continua a leggere “Prefazione a “Non Dualismo” di Nisargadatta Maharaj”

Marco Belpoliti su tuttoLibri: su “Io sono”

Una lavagna nera perla critica della ragion impura di Genna

di MARCO BELPOLITI
[La Stampa, ttL, 30 maggio 2015]

Senza-titolo-1-e1424533197642La copertina è fustellata in modo che si apra una «finestra» quadrata. Dentro c’è un’immagine: un riquadro nero racchiuso da una cornice, su cui è scritto «Et sic in infinitum». Si tratta di un dettaglio della pagina nera di Robert Fludd, tratta da un’opera intitolata: Utriusque cosmi maioris scilicet et minoris metaphysica,physica atque technica historia, e pubblicata da Oppenheim nel 1617. Nessuna immagine definisce meglio l’opera di Giuseppe Genna, sia questa su cui compare (Io sono), sia la sua opera narrativa in generale. Genna è un discendente di Fludd, medico teosofo e alchimista, vissuto nel corso del Rinascimento e l’inizio dell’età barocca. E alchimista è anche Giuseppe Genna, che prova qui a fondare una teoria e una pratica della coscienza.
Cosa sia Io sono non è facile da dire. Un libro di filosofia, un’autobiografia in forma di pensiero, un manuale di terapia della coscienza, uno studio sulle origini della medesima, un saggio letterario, un’esperienza estatica in forma di riflessione, una pratica di ricomposizione del trauma?
Tutto questo, ma anche un saggio di epistemologia condotto da un autore coltissimo e insieme meravigliosamente dilettante, quel dilettantismo che è proprio solo dei poeti e degli scrittori che prescindono da tutto e tutto affrontano. Io sono è un modo per scagliare il proprio Io al di là del muro del narcisismo corrente, elevarlo nel Regno che si apre oltre le identificazioni personali. Si tratta senza dubbio di uno scritto terapeutico, un gigantesco sforzo d’ingaggiare un confronto-scontro con le proprie pulsioni più profonde. Incanalate nelle elucubrazioni di quest’opera singolare, le parole di Genna costituiscono un viaggio dentro la mente estatica, uno dei pochi viaggi oggi possibili ai lettori in lingua italiana. L’estenuazione filosofica degli «istanti coscienziali», opera dell’autore di Fine impero (minimum fax), è perfettamente rappresentata dalla copertina: la «lavagna nera» di Fludd.
Scrivendo la sua «critica della ragion impura», Genna ha cancellato sulla superficie della sua mente tutto quello che c’era prima, e vi ha inscritto un nuovo segno calligrafico, in verticale e in orizzontale: cardo e decumano del suo pensiero zizzagante. Sul fondo bianco elegantissimo della collana «La Cultura» dell’editore il Saggiatore, la «lavagna» di Fludd appare come uno spazio altro, remoto e insieme vicino, dove «io sono». Per sempre, e al nero.

Giuseppe Genna
«Io sono»
il Saggiatore, pp. 326, € 18

Nisargadatta Maharaj: “L’Illuminazione non esiste”

nisargadattada Nessuno nasce, nessuno muore. Insegnamenti di Nisargadatta Maharaj a cura di Ramesh Balsekar – Edizioni Il punto d’incontro, 1992

Maharaj dice spesso che pochissimi di coloro che vengono da lui sono novizi nel campo della conoscenza spirituale. Generalmente sono persone che hanno viaggiato in lungo ed in largo in cerca della conoscenza, che hanno letto molti libri, incontrato molti Guru e che hanno una certa idea del tutto, ma raramente una chiara visione di ciò che hanno cercato.
Molti di essi non esitano a riconoscere che tutti i loro sforzi si sono dimostrati vani e che si sentono frustrati e delusi. Ci sono alcuni che si chiedono persino se hanno rincorso una semplice illusione. Comunque, a dispetto di tutta la loro frustrazione e depressione, sembra che sappiano che la vita ha un significato ultimo.
Maharaj è profondamente interessato a questi visitatori e ha una particolare disponibilità per essi, ma ignora totalmente coloro che vengono da lui per vana curiosità o con lo scopo di poter poi parlare di lui ad una festa con l’attitudine “sono più santo di te” o forse con condiscendenza.
Infine, c’è un tipo di persone – gli intellettuali cotti a metà – che vengono da Maharaj a mettere alla prova la loro “conoscenza” accumulata e quando rispondono alla solita domanda di Maharaj sul loro retroterra spirituale, costoro raramente tralasciano di menzionare, con orgoglio, la lunga lista di libri che hanno studiato e di santi e saggi che hanno incontrato.
Maharaj riceve queste informazioni con un sorriso birichino e potrebbe dire qualcosa che gonfierebbe ulteriormente il loro ego. Per esempio potrebbe dire: Bene, allora oggi avremo una conversazione insolitamente elevata. Oppure potrebbe dire: Bene, devo dire che oggi siamo tutti onorati dalla tua presenza e potremmo imparare qualcosa di nuovo. O potrebbe dire: Ho studiato soltanto sino alla quarta elementare ed ora eccoti qui, laureato in filosofia con tutte le Upanishad sulla punta delle dita; com’è gratificante!
Mentre le discussioni procedono, ci sarà una vasta gamma di reazioni da parte di questi luminari. Alcuni di essi inizieranno dal campo di conoscenza in cui si considerano più o meno allo stesso livello di Maharaj. Poi, nel giro di pochi minuti, l’enorme differenza diventerà così ovvia che cominceranno ad adottare un atteggiamento di umiltà ascoltando, piuttosto che parlando. Presto realizzano quanto è vuota la loro pedanteria e la pignoleria delle loro teorie e dei loro concetti.
Un mattino, arrivò da Maharaj una donna europea. Lodò profusamente il libro Io Sono Quello e disse che era una grande fortuna essere in grado di porgere i suoi omaggi a Maharaj, di persona. Aveva viaggiato in lungo ed in largo, aveva incontrato molti insegnanti spirituali, ma non aveva mai sentito di avere trovato ciò che stava cercando ed era ora sicura che la sua ricerca era finalmente terminata ai piedi di Maharaj.
Evidentemente aveva avuto alcune “esperienze” che altri Guru avevano probabilmente catalogato come prova del suo “progresso” spirituale. Ella cominciò a narrare queste esperienze a Maharaj molto dettagliatamente. Maharaj ascoltò ciò che stava dicendo per alcuni minuti e poi la interruppe chiedendo:

Dimmi, chi ha avuto queste esperienze? Chi si è sentita compiaciuta da queste esperienze? In assenza di che cosa queste esperienze non sarebbero affatto sorte? Esattamente, dove compari tu in queste esperienze? Durante questo periodo piuttosto lungo di addestramento spirituale, qual è l’identità che sei stata in grado di scoprire come tu?
Ti prego, non pensare nemmeno per un momento, disse Maharaj, che io intenda insultarti, ma devi veramente ottenere delle risposte chiare a queste domande prima di poter decidere se stai procedendo nella giusta direzione. Nell’attuale situazione tu sei come una bambina di cinque anni che sia stata abbigliata con bei vestiti e graziosi ornamenti.
Quella stessa bambina tre anni prima avrebbe ignorato i bei vestiti e i begli ornamenti, o li avrebbe accettati come un fastidio forzato imposto dai suoi genitori, ma ora, dopo il condizionamento ricevuto nel frattempo, la bambina non vede l’ora di uscire per rallegrarsi dell’invidia delle sue piccole amiche che non possiedono quegli abiti eleganti.
Ciò che è accaduto, tra l’infanzia e la fanciullezza, è esattamente l’ostacolo per vedere la tua vera natura. L’infante, a differenza del bambino, trattiene ancora la sua personalità ed identità soggettiva. Prima del condizionamento fa riferimento a se stesso così com’è, si considera semplicemente un “oggetto”, non come “me”, il conoscitore/soggetto. Pensa profondamente a ciò che ho detto. L'”entità” personale e l’illuminazione non possono andare insieme.
Se, dopo ciò che ti ho detto, decidi di continuare a farmi visita, ti devo mettere in guardia, disse scherzosamente Maharaj: non soltanto non acquisirai nulla, ma perderai qualunque cosa hai “acquisito” con così tanto sforzo negli ultimi anni. Inoltre, perderai persino il tuo sé! Quindi, sei avvisata! Se continuerai a visitarmi, arriverai alla conclusione che non c’è “me” né “te” che cerca l’illuminazione.
In effetti non esiste una cosa come l'”illuminazione”. La percezione di questo fatto è in se stessa illuminazione.

La donna sedette persa nel suo pensiero. La sovrastruttura di preconcetti che aveva costruito così assiduamente negli anni era stata scossa fin dalle fondamenta. Congiunse le mani in omaggio a Maharaj e chiese il permesso di fargli visita giornalmente sino a che era a Bombay.
“Sei la benvenuta” disse Maharaj.

Italia De Profundis: quarto e ultimo booktrailer

Giuseppe Genna - ITALIA DE PROFUNDIS - minimum faxE’ da lunedì in vendita in tutte le librerie il romanzo Italia De Profundis, edito per i tipi della collana nichel di minimum fax. Il sito ufficiale (www.italiadeprofundis.com) è stato visitato da moltissimi lettori, tanto che ho dovuto allargare la capacità di banda: ringrazio davvero tutti (ricordo anche che ora il sito è affiancato dalla pagina onnicomprensiva sul portale minimum fax, dove il libro si può ordinare).
Intanto, dopo il primo, il secondo e il terzo booktrailer, ho caricato il quarto e definitivo. E’ un collage di immagini che fa riferimento al contesto esistenziale, a un capitolo specifico del libro (quello in cui “Giuseppe Genna”, per disperazione, diventa eroinomane) e all’indagine psichica che ho tentato di condurre col testo. La musica è tratta dall’album di Franco Battiato, Dieci Stratagemmi: si tratta del pezzo 23 cromosomi. Segue una lettura di un brano di Italia De Profundis, su immagini di un discorso di Nisargadatta Maharaj. In calce alla finestra video, c’è il testo che viene letto. Ecco dunque il terzo booktrailer:

Da Italia De Profundis
Ero un ragazzino magro dall’intelligenza mobile, che non percepiva l’usufrutto di quella difesa letale anzitutto per chi la utilizza e che ignorava che l’usufrutto non è eterno. Portavo pantaloni jeans elastici, ridicoli. Indossavo camicie col colletto alla cinese. Mi vestivo con skipper e cappellino da marinaio di Kronstadt, avvolgevo il collo da anoressico o ipertiroideo con un saffy che marchiava la mia appartenenza a chissà quale sinistra.
Ero polvere alla polvere, il muretto del cortile contro cui bambino facevo rimbalzare la palla veniva creduto Grande Muraglia.
Foravo il tempo con lo sguardo, incapace di capovolgersi in quel preciso momento. Riuscivo a intuirmi dopo vent’anni di una vita che non sapevo come si sarebbe effettivamente configurata, ma non tentavo minimamente di osservarmi in quel qui e in quell’ora. La renitenza dell’idiota, che avevo incluso nella fenomenologia che mi inchiodava adesso, era la medesima di quello sparuto e magrissimo anticipatore del disgusto presente.
Non riesco a vedermi, ma potrei scrivere una lettera lunghissima a quel ragazzino, saccente per anaffettività, disperato senza conoscere i motivi della disperazione e la calma che il desiderio di abbandono concede a chi si lascia vincere nel campo di battaglia in cui ci si deve lasciare vincere.
Chi ero? Ora e allora.
Chi eravate? Chi siete?
Alimento nella foresta della carne. Farmaco per sradicare la malattia che è la trasmigrazione tra vita e vita nella medesima esistenza. Lento lavorio, invisibile, acutissimo, ultrasottile.
La morte riduce il ciclo dell’azione – non lo estingue.
Quante volte ero morto, io? Quante morirò?
“I pensieri del suo diario ritornavano indietro ad altre identità”: l’intero mondo aveva valenza ed è una falsa identità.
Ulteriori discorsi oggi sulle “barriere” e gli “scopi”.
La condizione del bisogno assoluto espresse il procedimento conosciuto come “sopraffazione”. Non rispondere. Cosa avrebbe potuto “sopraffare” quella persona che eri tu e sei tu, essendo persone diverse e la medesima persona allo stesso tempo? L’aria? Non rispondere. Il grande vento che faceva roteare quello che avresti potuto avere… Cosa vorresti? Cosa avresti voluto?
Attraversare la porta dello spavento supremo. E’ tutto quanto rimane da compiere.
Non è compiuto.