Kafka: tre narrazioni

di FRANZ KAFKA

Gli alberi

Perché siamo come tronchi nella neve. Apparentemente vi sono appoggiati, lisci, sopra, e con una minima scossa si dovrebbe poterli spingere da una parte. No, non si può, perché sono legati, solidamente al terreno. Ma guarda, anche questa è solo una apparenza.

***

Due che passano correndo

Quando di notte si passeggia per una via e, già visibie da lontano – perché la strada dinanzi a noi è in salita e c’è la luna piena -, un uomo corre verso di noi, noi non lo agguanteremo, anche se è debole e cencioso, anche se qualcuno lo rincorre urlando, bensì lo lasceremo andare.
Perché è notte, e non abbiamo colpa se dinanzi a noi la strada è in salita nella luna piena, e oltre tutto quei due hanno forse inscenato la caccia per loro divertimento, forse entrambi inseguono un terzo, forse il primo viene inseguito pur essendo innocente, forse il secondo vuole uccidere, e noi diverremmo complici dell’assassinio, forse i due non sanno nulla l’uno dell’altro e corrono a letto ciascuno sotto la propria responsabilità, forse sono sonnambuli, forse il primo è armato.
E infine, non abbiamo forse il diritto di essere stanchi, e non abbiamo bevuto tanto vino? Non ci pare vero che anche il secondo sia ormai scomparso dalla vista.

***

Il rifiuto

Se incontro una bella ragazza e le dico: «Sii carina, vieni con me », e costei passa oltre facendo finta di nulla, con quel suo silenzio lei intende dire:
«Tu non sei un duca dal nome altisonante, non sei un americano massiccio dalla corporatura di un pellerossa, dai quieti occhi orizzontali, dalla pelle temprata dall’ aria delle praterie e dei fiumi che le solcano, non sei mai arrivato sino ai grandi laghi che si trovano chissà dove, né li hai attraversati. Per quale motivo dunque una bella ragazza come me dovrebbe venire con te?»
«Stai dimenticando che non ti scorrazza per le strade nessuna automobile che dondoli con ampi oscillii; né scorgo i signori del tuo seguito in abiti attillati che benedicendoti ti accompagnano formando un perfetto emiciclo; è vero, hai i seni ben raccolti nel tuo corpetto, però le tue gambe e le tue anche sanno rifarsi di quella castigatezza; indossi un vestito di taffetà tutto pieghettato che a noi tutti tanto piaceva l’autunno scorso, eppure ogni tanto sorridi, con questa minaccia di morte impressa sul tuo corpo. »
«Sì, abbiamo ragione tutti e due e, per non rendercene conto in maniera inoppugnabile, vogliamo andarcene a casa – non è così? – ognuno per conto suo».

LA VITA AI TEMPI DELL’IMPERO

Per la cura di Francesca Borrelli, il manifesto ha pubblicato e sta tuttora pubblicando una serie di racconti d’autore, che vertono sullo stato attuale della nazione: una sorta di narrativa antropologica ma non per questo meno fantastica dell’usuale. La serie di racconti è titolata “Derive italiane” ed è illustrata dagli splendidi collage fotografici di Gianfranco Botto e Roberta Bruno. Ecco, in formato pdf, la pagina del manifesto col mio racconto, pubblicato il 17 agosto scorso. A seguire, il testo leggibile senza effettuare alcun download.

Giuseppe Genna – LA VITA AI TEMPI DELL’IMPERO [3.6M]
La pagina illustrata de ‘il manifesto’

LA VITA AI TEMPI DELL’IMPERO
di Giuseppe Genna
Se devi arrivare al luogo della terapia, svolta a destra della immensa piazza dove correre è impossibile. Spezzata, diffranta piazza: ha eletto il marciume a sua natura seconda, uno strato di scaglie plastiche e organiche tra ricordi di aiuola. C’è una scuola verso l’angolo con Pellegrino Rossi. Davanti sono schierati i militari che il sindaco richiese, le tute mimetiche, i baschi scuri, l’indolenza di una foga trattenuta. Si tengono lontani oramai gli egiziani, i marocchi, anche i turchi.
La piazza è gremita, interrotta dalle rotaie dei tram lunghi e verdi, acquistati da una controllata Fiat, deragliano spesso, molti feriti a Milano per i tram che sono deragliati da quando sono entrati in funzione. Una strada verticale attraversa e si spegne nella piazza stessa al passaggio pedonale, verso la buca della metropolitana, da cui soffia un vento caldo e carico di polvere chimica. I giornali free press, invecchiati in poche ore, pagine calpestate nella fretta da centinaia di persone, stanno ingricciati tra dente e dente della griglia orizzontale gialla per lo scolo dell’acqua al termine della scalinata di granito della linea tre, la gialla.
Si prende per la pista piatta e sconnessa di Pellegrino Rossi. Passava di qui un tram, quattro binari sulla sinistra della carreggiata puntando verso fuori città. Hanno seppellito con l’asfalto quei binari rugginosi, nemmeno li hanno estratti dalla loro sede, per allargare via Pellegrino Rossi, e dopo un anno emergevano pezzi di rotaia ossidata arancione, a passare in moto si scivola, si muore.
Continua a leggere “LA VITA AI TEMPI DELL’IMPERO”

La cosa che desidera librarsi

di GIUSEPPE GENNA

[questo inedito racconto di fantasia è stato scritto a fine 2007]

Lui è seduto così: rinsecchito come un albero privo di irrigazione, i polmoni incarboniti, gonfio di presentimento, incapace di ridurre allo zero la mente che va e coinvolge gli oggetti attorno, sfocati in una luce radiale. E’ un momento impreciso, sfugge all’obbiettivo, sembra tremolare, non è a fuoco, non si sente a fuoco. La luce riverbera rimbalzando sulla vernice crepata della porta in legno del bagno.
“Vorrei dirti cose…”
“Non è vero”. Lei si agita, non è una bestia notturna, i suoi metabolismi irregolari, i suoi cicli circadiani disarmonici le costringono il corpo sotto una pellicola di velcro – uticante all’interno. L’acqua sembra interromperla. Si muove a scatti irregolari, agili, una sapienza non pensata e perciò divina: lei è la cosa che desidera librarsi. Il suo corpo è miele, è ambra che conserva una coccinella fossile di ere addietro, è l’azzurrità sconfinata pronta a dilagare. Sarebbe questo, ma lei perde il corpo afferrando la bottiglia in plastica del latte, rivolgendosi all’oggetto totemico africano importato, osservando il computer e parla, contraddice quanto ha appena pronunciato,muta il corso dell’eloquio, lo interrompe, parla non fissando il suo sguardo che incenerisce negli occhi di lui – uno sguardo di reciproco stupore di cui non si accorgono. E’ così, accade a tratti, forse per via della lascivia della luce troppo fioca, che illumina il luogo dove non è nessuno al momento: gli occhi nocciola di lei trasmutano profondamente in nero, è bianchissima tutta e le pupille sono puro nero. Un fenomeno che lui ricongiunge con certi mutamenti climatici o interiori. Ha una percezione geologica del corpo di lei – stratificazioni successive, esposte ai climi per secoli in cui lui non è stato presente, memorie di altre geografie, erose, sdrucciolate, dilavate da alisei che lui non sa immaginare.
“Mi sforzo di farlo”.
“Cosa?”
“Immaginarti. Immaginarti prima”.
“Prima di cosa?”
“Di ora. Dell’ambiguità”.
“Non capisco”. Continua a leggere “La cosa che desidera librarsi”

Da La storia siamo noi: “Oggi: gli Ultimi”

t1_la_storia_siamo_noi_02.jpgLa storia siamo noi, l’antologia edita da Neri Pozza nella collana Bloom per la curatela di Mattia Carratello (€ 17.50), è di fatto un’antologia che rientra a pieno nei parametri del memorandum sul New Italian Epic steso da Wu Ming 1. Il racconto della storia italiana, dal 1848 a oggi, avviene per scene topiche, momenti apicali, ritratti devianti, e termina con un esito che è fantascientifico e attuale. Gli scrittori che hanno partecipato a questa iniziativa editoriale sono quattordici: Antonio Scurati, Giosuè Calaciura, Antonio Franchini, Mario Desiati, Andrea Camilleri, Helena Janeczek, Sebastiano Vassalli, Laura Pariani, Sandra Petrignani, Laura Pugno, Giancarlo Liviano D’Arcangelo, Nicola Lagioia, Leonardo Colombati.
In chiusura, c’è il Miserabile sottoscritto, che si occupa di un momento storico particolare della storia nazionale: l’oggi e il presente avanzato, da cui il titolo, che è Oggi: gli Ultimi.
Pubblico qui, grazie al permesso dell’Editore, il racconto in versione integrale, invitando i Miserabili Lettori interessati a fidarsi del mio giudizio personale e ad andare a visionare in libreria l’antologia, che mi pare un momento importante nella vicenda della narrativa italiana contemporanea.
La versione integrale del racconto è in formato pdf. Basta cliccare sull’icona o sul link e il file è visualizzabile.

Da La storia siamo noi (Neri Pozza): un estratto del mio racconto

t1_la_storia_siamo_noi_02.jpgE’ uscita e credo farà scalpore (uno scalpore letterario, s’intende) la sorprendente antologia curata da Mattia Carratello (una delle migliori menti operanti in Italia da anni) per la collana Bloom di Neri Pozza. Si intitola LA STORIA SIAMO NOI [qui la scheda ufficiale], in cui quattordici scrittori raccontano l’Italia dal 1848 a oggi ed è una raccolta di racconti concatenati che rientra a pieno nei parametri del memorandum sul New Italian Epic tratteggiati da Wu Ming 1. Sotto l’accurata guida e il sapientissimo editing di Carratello, hanno partecipato a questa serie di istantanee su momenti topici della storia d’Italia, in ordine e argomento di apparizione:
Antonio Scurati: nascita di una nazione, le Cinque giornate di Milano.
Giosuè Calaciura: l’avvento di Garibaldi a Palermo.
Antonio Franchini: il mito e la tragedia di Caporetto.
Mario Desiati: l’amore ai tempi del fascismo.
Andrea Camilleri: il sogno impossibile di un separatista siciliano.
Helena Janeczek: i texani alla battaglia di Montecassino.
Sebastiano Vassalli: la guerra è finita, tornare a casa.
Laura Pariani: diario di una studentessa, anno scolastico 1968.
Sandra Petrignani: Roma, il caso Moro e lo sgomento degli affetti.
Laura Pugno: Processo per stupro e la violenza occultata.
Giancarlo Liviano D’Arcangelo: Ustica, il silenzio e il segreto.
Nicola Lagioia: quando Indro Montanelli lasciava il Giornale.
Leonardo Colombati: Gianni Agnelli, la morte di un re.
Giuseppe Genna: 2008, la fine del miracolo italiano.

L’antologia ha inaugurato il Festival delle Letterature di Massenzio, a Roma. In una serata gremitissima di lettori, undici scrittori hanno letto un estratto del proprio racconto. Assente il sottoscritto per disdette personali, un brano dal mio racconto è stato comunque interpretato. Riporto qui lo stralcio, avvisando che proprio di uno stralcio si tratta e che prossimamente, con l’eventuale benestare dell’Editore, editerò su questo sito il racconto nella sua interezza – questa discensio ad infera nei piani sotterranei alla Stazione Centrale di Milano, che culmina in apparizioni metafisiche e nella resa totale dello stampo umano, secondo la sua declinazione italica, che è attualmente a mio parere la punta avanzata della débacle della specie.
Qui di séguito, l’estratto.

Oggi: gli Ultimi

di GIUSEPPE GENNA
E’ il primo gennaio 2008, sono disperatissimo, matto e disperatissimo. Ho un euro di benzina nel serbatoio del motorino, il conto in rosso, Milano è allo zero climatico, l’aria che pesa, gli zero gradi mantegono la condensa bianca orizzontale e ubiqua. E’ la bruma che pare antica nebbia, ora cancerogena. Mi gelo mentre corro girando per circoli nella circonvallazione maggiore e so dove andare. So, io, sempre, dove, andare. Il luogo centrale, il perno di tutto. Due anni addietro, tra qualche ora, sfondai la porta di casa dove mio padre abitava, corroso dal tumore epatico eppure privo di sintomi, se non la peluria di pulcino che aveva sostituito la capigliatura brizzolata, dovuta alla chemioterapia inefficace, era sempre stanco, e lo trovai morto, cadavere irrigidito da un giorno, accanto al calorifero, secco come cospicui rami invernali di un albero sotto brina, gli arti terminali gonfi, il braccio sollevato, il cuore aveva ceduto, era morto in venti secondi, cinque minuti dopo avermi telefonato per farmi gli auguri di buon anno, la sera precedente, io ero nella festa inutile dei lucori borghesi, e lui moriva, solo. Solo. Solo.
Sono, io, sempre, da sempre, solo e, penso, sarò, sempre, solo.
Giro solo nel motorino che macina decametri di asfalto brinato, la giacca impermeabile non lo è perché acquistata dai cinesi in Ripamonti, il freddo intenso è pugni nelle ossa delle braccia, sullo sterno.
L’altra sera, in una trasmissione che si occupa di fantarcheologia e profezie e oggetti non identificati e crop circle, il presentatore Sandro Giacobbo, che avevo visto inscenare una seduta di ipnosi regressiva dove un’attrice ricordava una sua esistenza precedente e descriveva il marito frustarla nella stanza di un palazzo nobiliare nel Settecento – in quella trasmissione l’ex comico di “Drive In” Enzo Braschi, che interpretava il paninaro con slogan ossessivi a cui ossessivamente rispondevano risate preconfezionate, lui e altri esperti sudamericani, tutti: dicevano che nel 2012 il mondo finisce. Lo dice il calendario Maya, lo dicono le profezie Thai, lo dicono certi cartigli e geroglifici dell’Egitto faraonico.
Dalle sabbie tremule e incolte spiccavano le profezie guardando a Orione.
Ruoto a spirale nel gelo per la città, le pompe di benzina rare sono tutte serrate, è il giorno che inaugura il nuovo anno 2008, tutti sono a casa e pensano che ci sono nuovi obbiettivi, nuove possibilità per non conoscersi.
Taglio, seguendo certe rotte in diagonale.
Un vento a alcuni gradi sotto zero incontrastato sulle piazze vuote e contro i campanili, a tratti, come raffiche di mitra, disintegrava i cumuli di neve.
Climatologi di fama internazionale hanno presentato all’Onu un rapporto allarmante sulla premessa della fine del mondo, sulle modificazioni del geomorfismo terrestre, in forza dell’aumento del livello delle acque planetarie, dovuto all’intervento dell’uomo sull’atmosfera, per le emissioni dei cancerogeni inquinanti. Le mappe sono profezie a breve, il mondo tra cinquant’anni e vedevo on line le mappe pubblicate: lo Stretto di Gibilterra cancellato, l’Atlantico riversato nella pozza salmastra del Mediterraneo, la Spagna divorata nelle coste, l’Italia annullata, ne rimanevano cartigli minimi, sigilli di un passato che è stato così breve, così breve e sciacquato come acqua in torba: la Sardegna intatta, la Sicilia emersa per metà, la Penisola inesistente, solo acqua, fino ai monti liguri, divenuti isole, l’estensione del Piemonte dimidiata, la Lombardia intatta, il Veneto corroso, il Friuli indenne. Un’Europa dilagata al proprio interno, collassata su se stessa per la sostanza acquea, la pressione idrica ne farà un buco azzurro, non una supernova, uno squallore geografico intollerabile, poiché nella violenza della natura l’umano ravvede intensità di eroismo, e il collasso della nova è eroico, il buco nero è epico, ma la veloce corrosione delle coste, le migrazioni delle termiti umane, la sofferenza di duecentotrentamila morti in Asia per lo tsunami pochi anni orsono in questi giorni, era il 2004, è stato scordato, gli italiani volevano partire per le Maldive in vacanza, si informavano dei morti a galla nelle acque, lo tsunami: no, questo è un affossamento trascurabile, minimo, scatena un ludibrio appena avvertibile.
Taglio verso la Centrale, è lì che vado: la Stazione.
So dove andare.
La Centrale è un tempio massonico, ermetico, alchemico, a migliaia la trapassano, pendolari turisti viaggiatori occasionali, ogni giorno, e non comprendono di calcare i pavimenti irregolari, a più piani, le svolte labirintiche di un evento architettonico templare. Il messaggio iscritto come potenza nella pietra marmorea: non parla. Nessuno ascolta. Chi non ha occhi per vedere: è il suo mondo, questo. E’ il suo tempo.
Il tempo non esiste, la morte non esiste, ma una sostanza che regge il tempo e la morte, continua, fatta di presenza, che se potesse parlare, e può parlare solo se accetta di condensarsi entrando nel tempo e nella morte, direbbe semplicemente: “Io Sono”.
[…]
Davanti al binario 21: il Padiglione Reale.
Attenzione: ci si avvicina al sacello che sembra il segreto del male che questo tempio, muto, annuncia.
E’ sul lato orientale della Stazione, occultato, accanto alla cappella.
La fine è imminente. Non esiste fine. L’umano non è l’animale politico, è l’animale che pensa alla fine.
E’ rimasto, il Padiglione Reale, identico negli anni. Una varietà pressoché infinita di di marmi nello zoccolo, nelle pareti, nello scalone: il verdello di Verona e la pietra Valdagno, l’onice giallo di Chiampo e il paonazzetto di Carrara. E specchi. E velàri. E vetrate a composizione mosaica. E lampade in cristallo sfaccettato.
Lo scalone a doppia rampa con pròtomi leonine, scalini e balaustra in onice giallo, conduce al Salone delle Feste, ornato di colonne a capitelli corinzi e fregi e immani anfore di marmo verde Roja e una fontana in porfido e pezzi in stucco lucido stilizzato e più dentro, più dentro ancora, nel buio prima della cascata di luce dalla finestra immensa che dà su piazza Duca D’Aosta, ecco il centro oscuro, dimenticato, non visto: un pannello che si confonde perché realizzato in legno non pregiato.
Su questo pannello, occultato perché messo sotto lo sguardo di chiunque, con ossessione è fregiata la Svastica.
Nemmeno adesso che è detto questo l’umano comprende – l’italiano, meno ancora. L’umano di oggi si annoia: non è più umano – l’italiano, meno ancora. I paragrafi precedenti cosa c’entrano? E’ tutto connesso, ma per l’inumano è tutto scollegato – per l’italiano, più ancora. Archi voltaici di superfina elettricità corrono da un elemento all’altro, ma l’umano ora si annoia a leggere questo racconto – l’italiano più ancora.
L’umano non è l’animale politico, è l’animale che si annoia.
L’italiano è il culmine della noia.
[…]

Il best off 2008 di minimum fax: TU SEI LEI

mf.jpgCon colpevole ritardo, a causa del lungo strascico di discussioni e interventi intorno al romanzo Hitler, mi occupo dell’antologia Tu sei lei, il “best off” 2008 di minimum fax, che mi è stato chiesto di curare.
Per il momento, ecco i particolari del libro e l’estesa rassegna stampa (in via di ulteriore espansione), interessante per la diversità di prospettive interpretative, che compone un largo spettro critico.
Tornerò personalmente su questa antologia, di tanto in tanto, poiché mi sembra necessario anzitutto e poiché essa va configurandosi come un libro che continua il suo percorso, non arrestandosi a mode del momento.
Un particolare ringraziamento va all’editore, minimum fax, e a tutto lo staff della casa editrice – una realtà su cui sarò felicemente costretto a soffermarmi dopo l’estate, per una sorpresa riservata ai Miserabili Lettori.

tuseileimf.jpg Aa. Vv., Tu sei lei

Tu sei lei
Otto scrittrici italiane
209 pagine – gennaio 2008
ISBN 978-88-7521-159-2

Prezzo di copertina: € 11,50 -sconto 10%
€ 10,35 metti nel carrello

cura di: Giuseppe Genna
introduzione di: Giuseppe Genna

le autrici:
Donata Feroldi, Esther G., Helena Janeczek, Babsi Jones, Federica Manzon, Alina Marazzi, Veronica Raimo, Carola Susani.

il libro:
Dopo la fortunata edizione 2007, dopo gli esordienti di Voi siete qui, ritorna l’antologia annuale di minimum fax con un’operazione ancora più innovativa e provocatoria. Tu sei lei. A curarla quest’anno è il romanziere e saggista Giuseppe Genna, uno dei più instancabili agitatori culturali del nostro panorama letterario. Ma la vera novità è che gli autori convocati questa volta sono tutte scrittrici. Tu sei lei è una testimonianza, viva e bruciante, di come, nonostante le lotte del passato che ne hanno formalmente legittimato i diritti, le donne (e le scrittrici come avanguardia sociale) in Italia siano ancora marginalizzate. Ma soprattutto la conferma di come, affrontando temi per niente concilianti – l’identità, il corpo, il parto, la morte – queste autrici siano le protagoniste di uno tsunami letterario che monta all’orizzonte delle nostre coste, e che lascerà il suo segno nel futuro più immediato.


Leggi la prefazione completa di Giuseppe Genna su Carmilla.

Ascolta l’intervista di Giulia Fossà a Giuseppe Genna e Veronica Raimo ospiti di Nudo e Crudo su RadioUno.

Ascolta il servizio di Fahrenheit su Tu sei lei.

RASSEGNA STAMPA

Valentina Pigmei – Elle
Racconti drammatici, densi, corporali, diversi uno dall’altro. Un’ampia riflessione.
continua

Benedetta Marietti – D-La Repubblica delle donne
L’originale contributo di otto scrittrici esordienti ad un’antologia delle donne.
continua

Radio 3 – Fahrenheit
Tra le pagine di questo quarto “Best off” i racconti di esordienti insieme a quelli di autrici già affermate.
leggi altro

Giovanna Peru – La Nuova Sardegna
Racconti di vita comune eppure particolari, tutti impregnati della visione femminile delle cose.
continua

Massimiliano Parente – Libero
Un addio ai clichè femministi.
continua

Giovanna De Angelis – Il Riformista
Un urlo al femminile di otto autrici di successo.
continua

Porzia Bergamasco – Rodeo
Queste scrittrici elevano e abbattono il muro che relega le donne nel mondo delle donne.
continua

Fabrizio Tassi – Libertà
Un libro che guarda alfuturo.
continua

Cristina Tirinzoni – Psychologies
Otto scrittrici gareggiano in bravura per far emergere uno sguardo tutto al femminile.
continua

Marina Terragni – Io Donna
Un ritratto di Alina Marazzi.
continua

Caterina Soffici – Il Giornale
Otto scrittrici affrontano temi poco concilianti come il corpo e la morte.
continua

Chiara Amato – Style.it
Otto scrittrici esplorano temi come l’identità, il corpo, il parto, la morte.
continua

Valori
Otto donne raccontano l’universo femminile.
continua

Sergio Rotino – Liberazione
Una fra le migliori antologie di questo inizio 2008.
continua

Andrea Di Consoli – Il Messaggero
Scritture sincere, non schiacciate dalla retorica del linguaggio “feroce” e “viscerale”.
continua

Loredana Lipperini – Il Venerdì
Il curatore sottolinea l’urgenza della “questione femminile”.
continua

Maria Pia Ammirati – Liberal
Otto combattenti della scrittura.
continua

Dario Pappalardo – la Repubblica
Esiste ancora una questione femminile?
continua

Vittoria Filippi Gabardi – Satisfiction
Giuseppe Genna ci ama, donne.
continua

Renato Barilli – TTL – La Stampa
Conferma l’impressione di una scrittura al femminile che fa muro, che avanza come fitta falange macedone.
continua

Lara Crinò – Kataweb Libri
Otto racconti al femminile.
continua

Wuz.it
Creatività: nome comune, singolare, femminile.
continua

Stefano Ciavatta – Epolis
Best off è la dimostrazione che si continua a coltivare l’ambizione del libro cartaceo.
continua

Sara Chiappori – La Repubblica
Ognuno di questi sguardi colpisce nel segno.
continua

Pierluigi Pedretti – La Provincia Cosentina
Un libro coniugato al femminile.
continua

Alessandro Besselva Averame – Il Mucchio
Otto racconti di qualità.
continua

Tommy Cappellini – Il Giornale
Un’antologia che esplora i bassifondi dell’anima.
continua

Franco Bolelli – La Repubblica – Ed.Milano
Grande ricchezza di linguaggio, sensibilità innovativa, sintesi di forma e sostanza.
leggi altro

Chicca Gagliardo – Glamour
Un’antologia al femminile.
continua

Cristina Taglietti – Corriere della Sera

Narrativa pura in forma breve.
continua

Loredana Lipperini – Lipperatura

Racconti belli, alcuni molto belli, intorno al corpo femminile.
continua

Andrea Tramonte – E Polis
Otto scrittrici tra sesso, corpo e identità.
continua

Luigi Brunamonti – Paginedilibri.com
Uno tsunami letterario che monta all’orizzonte delle nostre cose e che lascerà il segno nel futuro.
leggi altro

Maria Grazia Rongo – La Gazzetta del Mezzogiorno
Storie intense, poetiche, devestanti.
continua

Velvet
Una segnalazione della raccolta di Giuseppe Genna.
continua

Elena Dazi – Notebook
Donne che non si arrendono, che sfidano convenzioni, che creano meraviglie.
continua

Carlotta Niccolini – Corriere della Sera
Donne sole allo specchio:otto scrittrici raccontano.
continua

Alessandro Beretta – Corriere della Sera
La tanto criticata “autoreferenzialità” generazionale sta trovando nuovo sfogo per l’impegno nello stile e nelle strutture delle vicende narrate.
continua

Valeria Parrella – Grazia
Un’antologia pensata interamente al femminile.
continua

Rossano Astremo – Vertigine.it

La narrativa italiana è donna.
continua

Marta Cervino – Marie Claire
Otto scrittrici affrontano temi forti e toccano nervi scoperti.
continua

Franz Kafka: Davanti alla legge

kafkadaldi FRANZ KAFKA

Davanti alla legge si erge il guardiano della porta. A questo guardiano si presenta un campagnolo chiedendo di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che adesso non gli può concedere d’entrare. L’uomo riflette, poi domanda se gli verrà dunque permesso di entrare più tardi. «È possibile», dice il guardiano della porta, «ma adesso no». Siccome la porta della legge rimane, come sempre, aperta, e il guardiano si scosta, l’uomo si china per guardare nell’interno.
Il guardiano nota questo, ride e dice: «Se ti attira tanto, cerca un po’ di entrare nonostante il mio divieto. Ma rammentati di questo: io sono potente. E io sono soltanto l’ultimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, e ognuno è più potente dell’altro. Già l’aspetto del terzo è tale che nemmeno io lo posso sopportare».
Simili difficoltà, il campagnolo non se l’era aspettate; eppure la legge dovrebbe essere accessibile a tutti e sempre, pensa; ma ora, guardando più da vicino il guardiano nel suo mantello di pelliccia, col suo grande naso aguzzo, la lunga barba da tartaro sottile e nera, decide che sarà meglio attendere gli diano il permesso di entrare. Il guardiano gli porge uno sgabello e permette che si segga un po’ in disparte dalla porta. Là egli rimane seduto durante giorni e anni. Fa numerosi tentativi per essere ammesso, e stanca il guardiano con le sue suppliche. Spesso il guardiano gli fa subire piccoli interrogatori, gli pone domande sulla sua patria e su molte altre cose ancora, però son domande poste con indifferenza, domande da gran signore; e alla fine gli ripete sempre che non può lasciarlo entrare ancora. L’uomo, che si è ben attrezzato per il viaggio, adopera tutto, anche le sue cose più preziose, per corrompere il guardiano. Costui accetta tutto, in verità, però aggiunge: «Io l’accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa». Durante tutti questi anni l’uomo osserva il guardiano quasi ininterrottamente. Egli dimentica gli altri guardiani, e questo primo gli sembra essere l’unico ostacolo. Maledice la mala sorte, nei primi anni senza riguardo e a voce forte, più tardi, invecchiando, borbotta soltanto fra i denti. Rimbambisce, e siccome, a forza di esaminare il guardiano durante tanti anni, ha finito anche col conoscere le pulci della sua pelliccia, prega anche le pulci di venirgli in aiuto mutando l’umore del guardiano.
Alla fine la sua vista s’indebolisce ed egli non sa se tutto si oscura intorno a lui o se sono soltanto gli occhi che lo ingannano. Ben riconosce però adesso nell’oscurità uno splendore incancellabile che scaturisce dalla porta della legge. Oramai non gli resta più molto da vivere. Prima della sua morte tutte le esperienze di tanti anni, accumulatesi nella sua testa, fanno nascere una domanda che sino a oggi egli non ha ancora posta al guardiano. Gli fa cenno con la mano, perché non riesce più a raddrizzare il suo corpo irrigidito. Bisogna che il guardiano si chini ben in basso, poiché la differenza di statura è mutata assai a svantaggio del campagnolo. «E che vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano. «Sei insaziabile». «Tutti aspirano alla legge», dice il campagnolo, «com’è dunque che in tanti anni nessuno oltre a me abbia chiesto d’entrare?». Il guardiano capisce che l’uomo sta per spirare, e per farsi sentire ancora dal suo orecchio quasi sordo, ruggisce: «Qui nessun altro poteva entrare, poiché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora me ne vado e lo chiudo».

da FRANZ KAFKA, I Racconti, trad. di H. Furst, Milano, Longanesi, 1983