Storie italiane – IL BAMBINO NEL POZZO
Sono passati 25 anni, ma la vicenda di Alfredino Rampi non è ancora stata dimenticata. Né chiarita del tutto. Uno scrittore la prende come spunto per raccontare una storia italiana. E lo strapotere della tv
[da Detective]
Chi nel 1981 aveva già raggiunto l’età della ragione ricorda di certo Alfredino Rampi, 6 anni, di Vermicino. Finito in un pozzo artesiano stretto e profondo l’11 giugno, mobilitò intorno a sé i soccorsi coordinati dai Vigili del fuoco e le telecamere della Rai. Sul posto arrivò anche l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Si tentò in ogni modo di salvarlo. Ma tutto fu vano: il bambino morì, dopo una lunga agonia. Meno noto quello che accadde dopo. Incongruenze, dettagli fuori posto e misteriose dichiarazioni del bambino stesso portarono il pm Giancarlo Armati ad aprire un’inchiesta. Alla fine, però, il magistrato si vide nell’impossibilità di arrivare alla verità (per il tempo trascorso dal fatto e le prove discordanti). La vicenda processuale si concluse nel 1987, con la richiesta di archiviazione.
Torna oggi sul “caso Alfredino” lo scrittore Giuseppe Genna, che parte proprio da qui per raccontare le storie del suo Dies irae. Proprio con lui Detective rievoca la drammatica vicenda del bambino nel pozzo e cerca di chiarire il modo in cui questa vicenda ha in qualche modo influenzato la storia d’Italia.
Quali sono i misteri ancora non chiariti nella storia di Alfredino?
«Addosso al bambino vennero trovati frammenti di un imbrago che però non era stato utilizzato dai soccorritori. Ci si chiese perciò da dove provenisse. Angelo Licheri, che si calò per tentare di salvarlo, sostenne di averlo imbragato lui, ma le immagini televisive dicono il contrario. Il sospetto che si fece strada fu quello che ad avere imbragato il bambino fosse stata la persona che l’aveva poi calato nel pozzo e che quindi non si trattò di una disgrazia, ma di un omicidio. Non solo, il bambino urlò che dovevano venirlo a salvare. “Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia” disse il piccolo , come se ignorasse di essere finito nel pozzo. Infine, sempre Alfredino fece più volte riferimento a un fantomatico “zio Ivo”. Ma nella sua cerchia familiare non esisteva nessuno con questo nome. Le parole del bambino, che dialogò fino all’ultimo con i pompieri, hanno un certo peso, visto che Alfredino venne definito dal pool medico presente sul posto “capace di intendere e di volere”».
La versione di Licheri è smentita non solo dalle immagini televisive, ma anche dalla testimonianza dell’ingegnere Elveno Pastorelli, che diresse le operazioni di soccorso in qualità di comandante dei Vigili del fuoco. Lui sostenne che Licheri non scese con quell’imbrago. Tanto più che la ridotta circonferenza del buco, appena 28 centimetri, non lasciava spazio sufficiente per imbragare il piccolo. E, infine, se Licheri fosse stato al corrente dell’imbragatura la avrebbe usata per salvare il bambino e non avrebbe utilizzato, invece, una benda inadatta e inutile. Un altro elemento che solleva forti dubbi è legato alla testimonianza degli operai della ditta che si occupò dello sbancamento del terreno. Loro sostennero di aver chiuso l’imbocco del pozzo con una grossa lastra di ferro coperta con pietre e legno. Una copertura che un bambino non avrebbe potuto mai spostare.
Si indagò per accertare la verità dei fatti?
«Vennero celebrati due processi, anni dopo. Alcuni aspetti rimasero inesplorati. Ma alla fine il pm Giancarlo Armati, nel 1987, fu costretto a chiedere l’archiviazione del caso».
L’unico risultato univoco, conseguente al primo processo, fu l’assoluzione con formula piena di Elio Ubertini, il titolare della ditta che aveva lavorato sul terreno. Accusato di omicidio colposo per aver lasciato incustodita l’apertura del pozzo, fu giudicato estraneo ai fatti.
Genna, secondo lei come finì Alfredino in quel pozzo?
«Secondo me, ci è caduto accidentalmente».
Come giustifica allora tutti gli aspetti oscuri della vicenda?
«Me li spiego con la grande agitazione che regnava sul posto. I soccorsi avvennero in un clima di confusione. Nessuno pensò di calare una microcamera a raggi infrarossi, già disponibile in quegli anni, per vedere il bambino. Una delle prime idee per recuperare Alfredino fu quella di calare una tavoletta di legno, che però si incastrò complicando ulteriormente sia le operazioni di soccorso che la possibilità di alimentare il piccolo».
Disgrazia, quindi, e non omicidio. Ma qualcuno strumentalizzò la vicenda?
«Sì, certo, i dirigenti Rai, peccando di grande cinismo. Il Paese viveva un periodo molto difficile, legato alle vicende di Licio Gelli e della P2. Qualcuno, sperando in un lieto fine, pensò di compattare tutto il Paese davanti alla tv. E le cose andarono proprio così: la vicenda di Alfredino fece passare tutto in secondo piano. E segnò la fine degli anni Settanta e l’inizio di una nuova era. Un’era all’insegna della televisione e della spettacolarizzazione della realtà. L’evento aggregante positivo arrivò l’anno dopo, con la vittoria dell’Italia a Spagna ’82».
Oggi stiamo festeggiando un altro Mondiale. Che cosa è cambiato nel frattempo?
«E’ cambiato tutto. L’Italia ha vissuto 25 anni di sottocultura. I festeggiamenti di oggi sono un’imitazione fallimentare del Grande Fratello. E la gente, che dovrebbe scendere in piazza per protestare contro gli scandali che continuano a impazzare nel nostro Paese, lo fa invece per festeggiare questi calciatori».
LA VICENDA
Chi: Alfredo, detto Alfredino, Rampi, 6 anni compiuti, ha una malformazione cardiaca
Dove: Vermicino, a pochi Km da Roma
Quando: 10-13 giugno 1981
Il fatto: il bambino finisce in un pozzo, alla profondità di 36 metri (poi scivolerà ancora più in basso, a 60)
I tentativi di soccorso: viene calata una tavoletta di legno, che però si incastra ostacolando gli interventi successivi; si scava un pozzo parallelo per raggiungere il bambino, ma quando il canale di raccordo è finito lui è scivolato di altri 30 metri.
La tv: sul posto erano già giunti familiari, amici, giornalisti e curiosi. Il 12 giugno arrivano anche le telecamere della Rai. Piero Badaloni apre una diretta a reti unificate senza precedenti che incolla alla televisione per 18 ore una media di 12 milioni di telespettatori, con picchi di 30 milioni.
Il presidente: Poche ore dopo l’arrivo della Rai, giunge sul posto anche il presidente Pertini, che resiste ore, sotto il sole, dicendo di non volersene andare finché il bambino non viene tratto in salvo.
I volontari: si calano l’ex tipografo Angelo Licheri e lo speleologo Donato Caruso. Entrambi riescono a toccare il piccolo, ma non a strapparlo al fango.
La fine: Alfredino spira la mattina del 13 giugno, le operazioni di recupero durano un mese, il funerale viene celebrato il 17 luglio.
I processi: ne sono stati celebrati due. E’ stato assolto il titolare della ditta che si occupava del terreno, accusato di omicidio colposo per aver lasciato il buco incustodito. Alla fine del secondo processo, nel novembre 1987, il pm Armati, a causa del troppo tempo passato e della scarsa chiarezza delle prove materiali e testimoniali, ha chiesto l’archiviazione del caso.
L’associazione: la madre di Alfredino, Franca Rampi, ha fondato il Centro Rampi, associazione attiva nel campo della prevenzione degli incidenti ambientali. Info: tel. 06 77208197 http://www.centrorampi.it
IL LIBRO
Dies irae (Rizzoli, 17,50 euro), l’ultimo romanzo di Giuseppe Genna, prende il via dalla vicenda di Vermicino. L’autore la utilizza come allegoria. «I personaggi del libro, come Alfredino, si trovano in buchi neri da cui cercano di uscire. Si chiedono che cos’è la consapevolezza. E su cosa è fondato il loro rapporto con gli altri» spiega Genna. Un romanzo strano, questo, che ha tante chiavi di lettura e racconta, insieme a vicende private, anche la storia pubblica del nostro Paese negli ultimi 25 anni. Pur avendo scritto thriller in passato, Genna rifugge dalla definizione di scrittore di thriller. «Quello che conta è creare la suspense, la sospensione, lasciare i lettori in uno stato di attesa. Pensiamo ai bambini che si sentono raccontare una fiaba. Spesso si addormentano a metà, ma la mattina dopo non chiedono come è andata a finire la storia. Più della conclusione, conta la capacità di creare l’incanto» conclude l’autore. Fra gli altri libri di Genna: L’anno luce (Tropea, 13 euro); Non toccare la pelle del drago (Mondadori, 8,40 euro); Nel nome di Ishmael (Mondadori, 8,40 euro). Info: www.giugenna.com, www.24sette.it/diesirae/