Grazie, sorelle

x.jpgPoiché il progetto a lungo termine (tra i 3 e i 4 anni), di cui a precedenti meditazioni (qui, qui, qui, qui e qui) procede innalzandosi a uno stato di immaginazione omogenea e continua e sottile, è dato accennare che ho cominciato a lavorare su un libro immane, a cui da anni penso e intorno al quale molto ho studiato, ma non abbastanza.
I tempi sono corti.
La fatica è immensa.
La macchina, però, e miracolosamente, oggi ha ingranato. Nulla è chiaro, perché si tratta di un libro che esige di evitare talmente tanti protocolli di rappresentazione narrativa e drammaturgica, che davvero non so come venirne fuori. E’ un libro che implica un’assunzione di responsabilità morale gigantesca. E’ un libro in cui io devo uccidere la possibilità personale di visionare l’altrove, perché la materia non permette alcun tipo di divaricazione immaginaria. E’ un libro che non può prescindere da una marea di scuole di pensiero, e di proiezioni, che sono concresciute su un buco nero che interroga la totalità dell’universo. E’ un libro fallimentare anche se ambizioso: il fallimento è assicurato, non si può sfuggire al fallimento, in questo caso.
La letteratura come impossibilità di risarcimento.
L’allegoria azzerata.
Tutti gli apparati retorici congelati.
Resta solo lo stile, che in questo caso è carico di senso di colpa. E resta l’invocazione a una Musa gigantesca, impensabile, che osserverà da un luogo che non si conosce: osserverà, senza giudicare, poiché non giudica ciò che sa.
Mi immergo, dunque, nel residuo studio, che è di enorme estensione, invidiando amici scrittori che possono dividersi l’onere – qui devo fare tutto da solo. Però, l’ingranaggio si è scrostato, le ruote dentate stridendo incominciano a muoversi.
Di ciò vanno ringraziate almeno due sorelle. Di cui una leggerà il ringraziamento seduta stante, posso immaginare. Quindi: grazie, sistah – come al solito, del resto…