Dies Irae, l’infinita recensione: su Quaderni d’altri tempi

[Su Quaderni d’Altri Tempi – Culture e Fantascienza di Massa, a mia detta, e non solo mia, una degli e-zine di maggiore qualità della sfera letteraria in Rete, Adolfo Fattori recensisce il Dies Irae con una competenza e completezza di riferimenti che mi lascia stordito: gli autori che cita, ravvisandone tracce nel romanzo, sono còlti con precisione geometrica. Non posso che ringraziare! g.g.]
Più di vent’anni di storia d’Italia – quelli dall’estate del 1981 ad oggi (con una testa di ponte immaginaria nel futuro) – riletti sulla base di una ipotesi paranoide quanto seducente e illuminante: la tragedia di Vermicino come occasione di distrazione dall’esplodere dello scandalo della Loggia P2 e dagli inizi – ancora sotterranei – del potere di Berlusconi. La nascita, insomma, di una nuova configurazione del sistema di potere, che a partire dalla rivoluzione elettronica e televisiva riorganizza i rapporti interni ai poteri forti. Il tutto in una cornice fra il fantascientifico e l’horror che si svolge sull’asse Milano/Berlino, per passare per Marte, la zona degli asteroidi e l’Aldilà e spingersi nel futuro.


Dichiarando esplicitamente la sua vicinanza a Pinchon, Eggers, Palahniuk, Houellebecq, DeLillo e altri scrittori contemporanei – e sicuramente a Ellroy, ma anche a Labranca, e in qualche tratto ai sudamericani Sabato, Donoso, Arlt – Genna costruisce una vicenda epica e affascinante, in cui riverbera la “Milano da bere” del sorgere del craxismo, dell’emergere di nuovi strati sociali “forti” (i pubblicitari, la gente della televisione: i “nani e ballerine” di craxiana memoria) e oltre, inserendovi all’interno piccoli e grandi misteri italiani, dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, alla tragedia, appunto di Vermicino, e in cui inserire la parabola esistenziale del suo alter ego protagonista in prima persona.
L’alba della repubblica delle televendite e dei reality in cui ormai viviamo: uno scenario previsto da Debord e vivisezionato da Baudrillard, popolato di mezze calzette, bellezze di borgata, vip di periferia.
E ancora, il vero senso di Tangentopoli in Italia e del Crollo del Muro nel mondo, sempre in funzione del riassetto dell’ordine mondiale sulle canne degli M16 e degli AK47, attraverso il traffico di droga (cosa così imprevedibile per tante anime belle? Ricordiamoci che dopo il Muro ci sono state la guerra nel Golfo e quella nei Balcani, e un po’ più tardi l’Iraq), in genere a maggior gloria di un qualche dio monoteista la cui esistenza suona sempre più improbabile – o beffarda.
Uno scenario contrappuntato dall’orrore della pedofilia e da due dimensioni collettive e “tossiche” parallele e opposte: la coca alle feste dei rampanti, e il destino di degrado e disperazione di almeno due generazioni di esclusi: i vecchi operai e l’alcol, i loro figli dropouts e l’eroina.
Un grande libro di storia parallela, popolato di personaggi veri come Moana Pozzi, Massimo De Carolis, Michael Ledeen, Vanna Marchi, e (quanto?) immaginari di quegli anni, forse da leggere – per le nuove generazioni – insieme ad un manuale di storia repubblicana recente, per comprendere bene di quali eventi Genna scrive e ragiona, disseminando qui e là citazioni nascoste da Dick, Lovecraft, Yourcenar…
Ancora, un tentativo totalmente riuscito (a parte il finale, che ci sembra troppo morbido e consolatorio rispetto al resto del romanzo) di mostrare – proprio sulla scia di Ellroy, ad esempio: ricordate American Tabloid e I miei luoghi oscuri? – come narrativa di genere e ricerca letteraria non sono sempre in contraddizione, ma possono tranquillamente nutrirsi a vicenda con ottimi risultati.

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