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Ricevo alcuni sms da un Lettore Privilegiato di MEDIUM che, tra miliardi di impegni, mi ha fatto l’onore di infilarne la lettura, portandola a termine. Si tratta di un Lettore Privilegiato per diversi motivi, e anche perché almeno uno dei punti di fuga del libro, quando la cronaca storica (per quanto deviante nelle considerazioni e nei rimuginamenti) si fa allegoria, mi ha suggestionato, mesmerizzandomi attraverso un’immagine random che ha un peso notevole nello spostare il lutto verso il metabolismo praticato attraverso l’immaginario. Ecco il primo sms significativo: “Appena finito MEDIUM. Lo hai stantuffato di metri epici. Infatti è una Telemachia”.
Seppure la lettura sia costantemente un’incomprensione delle intenzioni dell’autore e un allontanamento da ciò che lo stesso autore credeva di raggiungere in esito finale, accade che alcuni lettori, con cui si condividono memi tematici e formali, intercettino e confermino tali intenzioni, e quindi posso dire che, questo giuntomi sul cellulare, nella sua laconica sinteticità, è il giudizio più preciso di quanto io vedo nel libro. Devo specificare che qui, apparentemente, non entra in campo l’emotivo, il corpo emotivo: ma ciò dipende dalle differenze tra il lavoro che io personalmente compio sulla mia emotività e l’emotività diversa del Lettore Privilegiato, che va tutta in altra direzione e che, nonostante i miei personali sproni, si difende un sacco attraverso valve sovrastrutturali, per essere vissuta nel privato con il suo potente stato sorgivo, che io spero un giorno vedere su pagina erompere privo di controllo (questa cosa è stata da me detta tante volte al Lettore Privilegiato, non so più come dirgliela). Peraltro, il Lettore Privilegiato è tale perché è stato la prima persona che, mentre ero sotto choc un minuto dopo il ritrovamento del cadavere di mio padre, io ho chiamato dopo avere telefonato per l’ambulanza: con gesto automatico, istintivo, sapendo che non ci sarebbe stata consolazione; dopo, immediatamente dopo, io ho telefonato alle tre persone che ho care e che sapevo avrebbero reagito piangendo, con disperazione empatica. Perché ho compiuto quel gesto? Perché ho chiamato una persona il cui abbraccio, nei miei confronti, parte con molta diffidenza, o meglio, io sento, senza che me lo sia detto, che un abbraccio da parte sua non può essere totale nei miei confronti, non ancora, mentre io tento di abbracciarlo totalmente? Questo Lettore Privilegiato è una persona con cui io gioco ormai da anni, nel senso autentico del termine: negli ultimi anni, soltanto costui è stato in grado di spostarmi a latitudini di spensieratezza e di risata inarrivabili, mi ha dato il gioco, che per me è così difficile nella vita… Che rapporto è quello che io e lui intratteniamo? Siamo peraltro geograficamente lontani, ci sentiamo spesso per telefono, ma ci vediamo fisicamente poco. Mi vede dentro completamente. Prevede le mosse che posso compiere (dico quelle interne al testo), sa mandarmi in deriva e, ovviamente, è in grado di mettersi nella perfetta postura in cui sono io mentre scrivo: poiché la postura non è mia, è di tutti, è una postura su cui da anni entrambi lavoriamo, ci crediamo, crediamo che questa postura del farsi dell’opera sia un atto profondamente politico. C’è un debordare di emozione falsificata nel mondo che vivo, oggi. Io percepisco in pochissimi la veridicità dell’emotivo, l’apertura senza difese psichiche verso l’altro che sarei io. Normalmente, mi capita di essere considerato come l’ex ragazzo che scrive, che pubblica, babyprodigio.com, una persona su cui si attagliano una marea di pregiudiziali, e devo compiere un’operazione davvero faticosa, che è quella di scardinare ogni immaginaria sovrastruttura, in me propiettata e da me proiettata, perché io e l’altro siamo finalmente reciprocamente denudati. Con questo Lettore Privilegiato, per esempio, io devo continuamente lavorare su una mia proiezione: che, mentre io lo avverto come un fratello che ha la mia stessa età, a lui nemmeno passi per la testa di considerarmi un fratello, uno che esiste anche per lui ed è pronto a intervenire in aiuto se capitasse qualunque cosa a questa persona che è da me amata. Ora: si tratta di una mia difficoltà? O di un suo legittimissimo disinteresse emotivo? E come riusciamo stare in una coincidenza cognitiva se non stiamo in una coincidenza emotiva?
Tutto questo splafonamento (che al lettore privilegiato sembrerà fuffa rosacea à la Deschamps sulla rosea maglietta juventina della risalita in A…), non è per niente tale, poiché è la materia precipua di MEDIUM e, a ben vedere, il percorso di lettura medesimo che egli ha effettuato sul mio libro. Che il Lettore Privilegiato abbia colto i metri epici o, come mi ha detto poi a voce, le componenti in cui viene utilizzata la lingua dei grandi traduttori che resero in italiano i testi classici studiati dai nostri padri (Manara Valgimigli, Monti traduttor de’ traduttor d’Omero), è un fatto che viene iscritto in un sillogismo: “Infatti…” dice il Lettore Privilegiato, “Infatti è una Telemachia”. Questo è quanto. MEDIUM è totalmente una Telemachia, il riferimento originario è proprio quello. Ho messo scherzosamente alla prova l’amico, rispondendo che “l’etimo di Telemaco rimanda a una lotta contro il lontano, contro l’allontamento, il che, di fatto, è la lotta del padre di Telemaco, Ulisse”: quindi, in questa lotta, Telemaco e Ulisse, Figlio e Padre, sono uguali, il padre non esiste e però persiste, perché è comunque un padre. Nell’indifferenziazione tra protocollo padre/figlio e fratello/fratello, io gioco l’elaborazione del lutto attraverso l’immaginario – e questa modalità di elaborazione è per me un dono compiuto a due persone che io amo tanto. La risposta del Lettore Privilegiato è perfettamente coincidente con il percorso da me sentito e rappresentato in MEDIUM. Dice il secondo sms di quest’occhio di falco che è il mio amico: “Lotta contro il lontano in avvicinamento. Asteroide Vesta. Lotta lontano da qui, nel Senzatempo. Lotta da lontano, dal futuro: Ostacolatore. Ostacola un avvicinarsi del lontano”.
Questa è una sintesi formidabile, che smaschera tutti i piani su cui la lotta avviene. Ogni simbolo, ogni allegoria viene svelata e questo è ancora un livello superficiale, ma duro, dello statuto stesso della lotta: lotta del lettore contro ciò che il testo manifesta come lontano e lotta per non essere invaso da questo stesso lontano che si avvicina annunciando una catastrofe che poi non si compie. Prefigurazione del futuro è contenuta nel testo, ma un Ostacolatore si frappone alla visione della fine, che è una morte in metamorfosi, una morte che non pone una fine, bensì un inizio, e non rigeneratore: un inizio dell’abbraccio che è la congiunzione con ciò che fu lontano. Questo Ostacolatore è “io”, sono io scrittore del testo. L’abbraccio, cioè l’esito della lotta per l’avvicinamento, è senza tempo – quanto dura in effetti un abbraccio? Non è dato per sempre? Se io amo mio padre, che muore, smetto di amarlo perchè è morto? Altro deve morire davvero, perchè la morte sia svelata come conquista dell’avvicinamento di ciò che era lontano e, a essere lontani, erano gli affetti e l’emozione e lo scambio storico in apertura d’amore – ciò che deve essere eliminato è l’Ostacolatore, che sono “io”, l'”io” che scrive. Non si può prescindere da una lotta contro l’io”, che mantiene lontano ciò che dovrebbe essere coincidente: il padre è me e io sono il padre, in questo sfinito abbraccio di infinitudine, in questa trasformazione del paterno in fraterno. Qualcosa di me è in lotta con “io”: è il non sapere, che traduco in abbandono. Dall’abbandono, nasce l’abbraccio, la confidenza, la cura – la quale vale per “guarigione” e “attenzione”: “ho cura di”, “mi prendo cura di”, “curo attorno facendo il palo” e, così facendo, terapeutizzo.
Dunque, con il Lettore Privilegiato, che lui se ne accorga o meno, che lui lo senta o meno, che a lui interessi o meno, l’abbraccio è compiuto. Ed è compiuto a un livello personale e collettivo: è infatti questo abbraccio che definisce la nozione di comunismo metafisico che corre lungo MEDIUM e sulla quale sarò costretto a tornare, perché ne sento la necessità e mi pare, qui e ora, un’esigenza non soltanto mia – un’esigenza politica anzitutto, ma anche scientifica e filosofica, nel momento in cui tutto si sta ribaltando, dalle neuroscienze alla fisica alla teoresi stessa ai linguaggi, in vista di una visione del mondo che si gioca, da qui e ora, nei prossimi vent’anni.
Addendum. Suonano ora alla porta. Un fattorino mi consegna un pacco, è un libro, uno dei tanti che bersagliano le mie interminabili e scure ore di permanenza in questa casa. Apro il pacco. E’ un corposo saggio di un amico scrittore. C’è una dedica: “Al mio Giuseppe”. Anche con questa persona, con la quale intrattengo un rapporto che è per me di totale abbraccio e non riesco a capire se corrisposto, ho finora patito le differenze e le difficoltà emotive a cui accennavo a proposito del mio rapporto personale col Lettore Privilegiato. Evidentemente, si trattava di mia paura: nessuno mi ha mai scritto una dedica simile, nessuno mi è mai entrato dentro scrivendomi “Al mio Giuseppe”. Non riesco nemmeno a ringraziare. Riesco però a dire che è precisamente questa l’eccedenza che ricerco scrivendo, è questa la matrice primaria e necessitante del fatto che scrivo, che continuo a scrivere, che finché non mi piglia un coccolone o un tumore continuerò a scrivere.