In forma di esorcismo pubblico qui un testo che è un
racconto, cioè una installazione, dalla Medea di Christa Wolf, nella traduzione di Anita Raja (che in alcuni punti ho modificato) per le edizioni e/o. Medea l’infanticida è scagionata in questa straordinaria tragedia di prosa poematica. Il detournément che applico al testo della grande scrittrice tedesca è praticato attraverso un affannoso cut-up e coincide con la vicenda di Medea tanto quanto coincide con la necessità mia personale, che ebbi un tempo, di praticare evocazioni ed esorcismi testuali.
Di seguito, il testo in cut-up.
“Non è questione del passato, devo annullare il futuro. Mi identifico nel futuro. Disidentificazione, sacrificio.
Me la sento nella ossa: disidentificazione.”
Esorcismo Medea
Adesso udiamo le voci.
Tutto ciò che ho praticato finora lo chiamo opera d’amore. Cresciuta è la mia natura grazie alla sofferenza.
E’ diminuita.
Con l’humus dei morti si cuoce ciò che è vivo.
Avviluppata in una fitta rete di voci terribili.
Come mi duole la testa madre.
Qualcosa resiste a discendere una volta in più verso le terribili grotte.
Così mi spaventai, quando vidi la Regina.
Uscì rigida nel suo vestito festivo di fili d’oro e costrinse il Re a nascondersi la sconvenienza di lei con discorsi più forti.
Seguii la donna. Era stata inghiottita dal suolo, doveva esserci un pertugio, lo scovai dietro certe pelli, sfilai una fiaccola, scivolai in quel passaggio, presto divenne tanto basso che solamente curva potei continuare, la cupa volta della cantina, in discesa per i gradini in pietra, un piano dopo l’altro, il freddo, continuo a tremare, le rocce taglienti mi graffiavano la pelle, nella più profonda e ultima delle profondità, in quel fondo in cui perfino in questo paese arido l’acqua si raccoglie, ingresso nel labirinto delle caverne, due gradini e poi sul ventre, continuare a strisciare proteggendo la fiaccola ormai che dà tremiti, la caverna in cui il passaggio sfociò mi è nota dalle visioni, tenni a sinistra, la strada si biforcava, la fiaccola si spense, il passaggio fu così stretto che per uscire avrei dovuto strisciare all’indietro, dovetti dunque avanzare, poi leccai l’umido che stillava dalle pareti, poi la composizione dell’aria mutava, tremai prima ancora che fosse udito il suono.
Poi udii il suono.
Sostò più a lungo di quanto faccia un respiro umano, un guaìto appena udibile e però era penetrante. Era la donna.
Il martello nel mio petto: sovrastava ogni rumore, il suono s’era interrotto.
Mi assalì il panico: in un silenzio sinistro si avvicinò strisciando qualcosa davanti a cui dovetti nascondermi.
Mi hai addestrato a fondermi nei muri.
Tastai con dita la profonda rientranza nella pietra e scoprii ciò che aveva in me scatenato il panico.
Pensare ad altro che a quello stretto cranio infantile, a quelle scapole sottili, a quella friabile colonna vertebrale.
La città ha fondamenta sopra un misfatto.
Chi rivela questo segreto è perduto.
Il magnifico luminoso e aureo palazzo del Re è edificato ancora una volta specularmente sopra l’abisso, sopra l’oscurità.
Ti ho raccolto ossicino dopo ossicino sul campo notturno dove le donne folli ti avevano disperso, povero fratello mio fatto a pezzi.
Non hai mai voluto essere potente, ora lo sei?
Chissà se avvertono la mia incredulità, la mia mancanza di fede.
Come potremmo mai tornare su questa terra in nuova forma.
La Colchide mi raggiunge.
Ci strofinammo il viso di cenere.
Ci imbrattò il viso del sangue di un piccolo porco. Ci fece bere da coppe.
Come ho potuto dimenticare tutto ciò.
Come ho potuto dimenticarmene.
Tu sai che cosa credo?
Farmi animo e calarmi con una corda interiore, poiché era possibile immaginare una simile cosa.
Spinto interiormente.
Evitare quel posto.
Vicino al pozzo mi assaliva una tale orrenda paura.
Nella testa della bambina, no, le cose dimenticate erano cresciute mentre diventava grande e lei mi gettava la corda e dovevo calarmi appesa alla corda delle sue domande.
La peste si propaga.
Monumenti sepolcrali per le famiglie.
E’ disperante.
Come se qualcuno volesse vendicarsi di me perché da tempo ho con cura rinunciato ai sentimenti.
Beve, sorride, tace.
La domanda maligna. Ho ribattuto. Tu ne eri al corrente. Come una constatazione. Convenzioni.
Fiuto preciso per i mutamenti minimi dell’atmosfera intorno ai potenti.
L’estraneità dell’amata ne accresce il fascino.
Non sono ancora vecchio. Sono vecchio.
Nella vostra presunzione, vi sollevate sopra tutto e sopra tutti.
La notte svanisce, continuiamo a restare seduti.
I miei figli erano sani allegri e affezionati.
Molti portavano il segno del lutto.
Il loro ansioso muggito. Mi parve un segno di sventura.
Volto cupo, pericoloso, mortale.
Ti dimenticano.
A te non è concesso.
Annusavo l’esalazione della paura.
Cosa sta per accadere, amici, amiche?
Reco modeste offerte: questa.
Ho udito molte cose terribili.
Urlìo delle creature sacrificate.
Le singole parole sono sempre riuscite a fare presa su di me. Singola parola: rabbia.
Rabbia. Rabbia. Oh!, fuoriesci!
Allora si infuriò. Mettermi sempre nei sentimenti degli altri. Disse con durezza.
Non è questione del passato, devo annullare il futuro. Mi identifico nel futuro. Disidentificazione, sacrificio.
Me la sento nella ossa: disidentificazione.
Profanare, smorzare la sete di sangue immaginifico. Visi deformati dall’odio. Bocche spalancate. Sacerdotesse, sacerdoti sacrificanti: impauriti. Sarò riuscito a smorzare la loro sete di sangue ricorrendo a una paura più grande della loro rabbia.
Ho la paura in mano, la sento fino dentro le ossa. Interruzione. Fallimento della disindentificazione, oh!, mi sentivo scrutata da cento paia di occhi nella penombra baluginante.
Un vecchio, io, sdentato, mi si avvicinò: ero io, agitò i pugni contro di me. Oh!, ho la paura nelle mani come acqua lustrale, la perdo dalle fessure delle dita pallide nell’ombra di ogni palazzo.
Palazzo interiore.
Spettacolo celeste.
Il tempo comincia a scarseggiare come l’acqua nell’arido paese interno.
Come fu, dunque.
Poi, udimmo l’ascia.
Il maschio disse: se fosse possibile generare la vita facendo a meno delle donne, come sarebbe felice la vita!
Ha voluto farmela pagare. Tagliare il sesso a quell’uomo. Stavano molto attenti a come mi comportavo.
Allora la vidi vacillare.
Vagai per la città, la gente mi schivava.
Cosa mi attende.
Ecco come tornano a spuntare le mie costellazioni.
Capacità di sopportare l’insopportabile.
Gli esseri umani col loro accecamento.
Aveva inviato una veste avvelenata.
L’abbiamo fatto. Sono finiti. Chi? I figli!, è la risposta. I suoi maledetti figli. Abbiamo liberato la città da questo flagello.
Non è stata lei, come scintillano le torri della mia città nel chiarore del mattino.
Li hanno uccisi.
Noi, cieche. Noi, ciechi. Abbiamo parlato dei bambini come se fossero vivi.
Nutrirsi di licheni, coleotteri, piccoli animali, formiche.
Erano già morti.
Curano che io possa essere chiamato infanticida anche presso i posteri, che sono io. Io sono i posteri.
In quale luogo, io?