Scena vissuta qualche ora fa alla splendida libreria indipendente da cui mi rifornisco di scritture e abolizioni artistiche delle scritture.
In coda. Una signora benestante sta pagando: ha comperato libri delle vacanze per il figlio che sta in terza media – tali libri hanno copertine con colori temi e disegni adatti a un cinquenne. Chi è in coda subito dopo di lei le sta al fianco e insistentemente sporge i prodotti che deve pagare, mentre la prima sta ancora assolvendo alla contrattuale dazione di danari. La seconda signora è benestante e deve pagare dei libri per l’infanzia, destinati a una bambina in seconda elementare, in vista delle vacanze. Tanta è l’insistenza e l’oppressiva maleducazione della signora che dovrebbe attendere il suo turno, da esasperare la gentile cassiera. Avviene dunque lo scazzo. Lo scazzo si trascina, con sentimenti di tensione tutt’attorno a me. La benestante, che riteneva di avere ragione, in quanto la fila si fa come ognuno vuole, se ne esce cristando. Tocca a me. Presento i tre volumi che ho intenzione di acquistare: devo pagarli. Alle mie spalle c’è un uomo di mezza età come me, vestito con camicia oxford e pantaloni kaki, che regge tra le mani alcuni libri dell’infanzia e un astuccio da elementari. La cassiera, ancora alterata dallo scazzo appena consumatosi, tremula compone il conto. A questo punto entra un quindicenne di colore. La zona della Stazione Centrale di Milano in questi giorni è sovraffollata di rifugiati e migranti e nelle vie adiacenti si osservanno gruppi di persone spaesate o provate, che camminano allibite come se stessero facendosi l’ora d’aria in carcere. Vestono tutti con tute. Anche il ragazzino di colore è evidentemente un emigrato e anche migrante, e veste una strana tuta colore granata. Ha in mano un cellulare di qualche generazione addietro, non uno smartphone, non un touch. E’ spaesatissimo e si rivolge alla cassiera, dopo avermi interrogato con uno sguardo dolcissimo a cui ho risposto col sorriso più dolce di cui ero capace: “Likhr! Likhr! Likhr!” continua a ripetere in un sussurro flesso da una vaga disperazione, gesticolando col cellulare in mano. La cassiera è interdetta e abbozza: “Cosa vuole dire?”. Il signore dietro di me erompe: “Gli dica di stare in coda! Lo metta in fila!”. La cosa va avanti parecchi secondi. L’imbecille alle mie spalle continua a erompere all’indirizzo della cassiera: “Gli faccia ripettare la fila! Gli dica di mettersi in fila!”. Dopo mezzo minuto di questo andazzo, alzo la mano con un gesto cristico alla Vecellio, a stoppare la situazione, e tutti mi ascoltano: “Books. No phones. Phones: bar” apostrofo il ragazzino, indicando un tabaccaio nell’affollato corso. Alla cassiera: “Vuole ricaricare il telefono, vuole telefonare a casa”. Prima che l’avventore in coda alle mie spalle erompa di nuovo, mi volto di scatto ed esclamo: “Ohi! Ma noi non eravamo insieme a fare i muri qualche settimana fa?” e lui mi chiede sorpreso: “In via Carducci?” e io rispondo che sì, ero in via Carducci, ma il giorno prima, vestito di nero: “Tu sei riuscito a liberarti della roba? Io ce l’ho fatta dietro Cadorna, poi, ma ti ho perso di vista!”.
Ho pagato e sono uscito col mio Agamben nuovo di pacca.
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