Ierisera mi sono trovato a discutere, con un funzionario editoriale, della postura poetica che assunsi nel corso della difficoltosa progettazione e della piuttosto angosciante stesura di “Io Hitler”. Ne ho tratto due sensazioni, antagoniste e complementari. La prima è questa: la bellezza di riuscire ancora a scontrarsi per ragioni di poetica e di filosofia. La seconda è la seguente: la difficoltà di reggere l’argomentazione su un testo che desidera essere letterario abolendo la letteratura. Quanto alla prima impressione, sono rimasto davvero colpito dal constatare che, per quanto mi riguarda, la discussione collettiva dei testi è una delle ragioni prime e fondanti con cui mi accostai alla poesia, così come alla prosa in un momento successivo. Questo spasmo della dialettica, il “no” duro che non esaurisce il confronto, mi appare una fonte di ossigeno nel tempo nuovo, che continua a essere nuovo pure essendo previdibilissimo, ciononostante risultandomi in qualche modo ipossico. Quanto alla seconda sensazione, mi confermo dopo anni nel ribadire una posizione di assoluta fermezza e intransigenza poetica circa l’oggetto della presunta narrazione, che per me proprio non poteva risultare tale, ovvero non poteva essere narrazione. Ogni manipolazione fantastica intorno a Hitler o a leggende immaginarie che, utilizzando il nazismo, coprono l’assolutezza e l’intangibilità di un’evenienza non semplicemente storica, quale è Hitler, che per me non è un fatto tra fatti. La corrispondenza letteraria alla nozione di “non-persona”, elaborata dal biografo Fest, mi è sempre sembrata traducibile in termini di “non-letteratura”, sia in senso stilistico sia in senso inventivo. Per me la cosa si giocava tutta in questo: so per certo che Hitler in una determinata occasione ha mangiato coste e patate lesse, mi avvicino con l’occhio e descrivo la manducazione di quei cibi – da lì può scaturire qualcosa che non è osceno, nel senso che non inventa un’azione, finendo così per elaborare una sia pur minima giustificazione mitografica di Hitler stesso. Io volevo evitare quella possibile oscenità. Non voglio assolutamente impedirla a nessuno, ma io voglio assolutamente evitarla. Di fatto, ai tempi, le critiche al libro, estremamente feroci, da parte di D’Orrico e Cortellessa, installavano come principio espressivo proprio il frame di ciò che io avvertivo come osceno e che ero ben contento di avere evitato, magari annoiando a morte il lettore. Sono, a mio modo di vedere, problemi del lettore, quelli della noia rispetto a Hitler. Non arretro di una sillaba, su questo.