MEDIUM – 23. ‘MAGIA ROSSA’

Uno degli ultimi capitoli da ‘Medium’, il libro pubblicato anni fa in forma digitale allargata e in print on demand. Chi desidera comprendere, può leggersi tutto quanto desidera, gratuitamente, ai link indicati, scaricando la versione integrale…

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MAGIA ROSSA

“Perché non mi ha lasciato andare?” chiedo. Sono disperato. Le parole fuoriescono come sassi dalla bocca a fessura, cadono ai miei piedi pronunciate. Un parto minerale.
Gretel Hinze sorseggia una tazza di tè, che io ho rifiutato. Mi trovo in uno stato di raggelamento che conosco bene e che da anni combatto: l’imperativo morale è disciogliere, disciogliersi. Sono qui mentre Federica, incinta, è trasportata d’urgenza alla clinica universitaria di Lipsia. Quelle urla, mi chiedeva di non abbandonarla e io invece…
Gretel Hinze appoggia sulla superficie in vetro del tavolino di fronte al divano la tazza. “Quanto accadrà, sarà giusto sia accaduto”.
La sostanza nera che ribolle in profondità erompe: “Mi sono rotto i coglioni dei vostri misteri. Cosa accadrà? Cosa deve accadere?”
La Hinze sorride come un’intima che da anni mi conosce e mi deplora. “Stai calmo. La calma aiuta. Ciò che accadrà va spiegato. Perché tu capisca, ci serve tempo. Poi vedrai coi tuoi occhi”.
“Cosa devo vedere?”

“La verità. Che ciò che racconto è una storia vera”.
“Per voi italiani inizia con il principio del secolo scorso e il nome dell’uomo decisivo non ti è sconosciuto, perché è per la morte inaspettata del figlio di lui che siamo riusciti a infilare nella delegazione del Partito tuo padre. Parlo di Giovanni Amendola, il padre di Giorgio. Il fondatore del movimento liberale. L’uomo del cosiddetto Aventino, il fiero oppositore di Mussolini, che lo fece trucidare in Francia nel 1926. Omicidio certo, ma misterioso. Giovanni Amendola, il padre del comunista riformatore Giorgio, era infatti un grande maestro di un ordine occulto: la Teosofia. Sai di cosa sto parlando, vero?”
“Una sètta. Fondata da Madame Blavatsky. Una fondazione che sa d’impostura. Un’eccentrica spiritista russa che individuò in Krishnamurti bambino, in mezzo all’India, il nuovo Messia. Fu sbugiardata dallo stesso Krishnamurti”.
“Direi che è un riassunto storico approssimativo, ma può starci…”. La Hinze sorbisce tè. Mi irrita. Non riesco a non pensare a Federica. “Comunque non è tanto la Società teosofica che interessa, quanto le tecniche meditative e medianiche che venivano divulgate dalla Blavatsky e da colei che le successe a capo della Teosofia, Annie Besant”.
“Le dico solo che in Italia, attualmente, la Blavatsky appare spesso in un fumetto horror e ironico, un culto nazionale che ha per protagonista un detective dell’ignoto di nome Dylan Dog”.
“E’ divulgazione anche quella. Nell’età in cui crolla tutto, crollano i saperi, crolla il comunismo, a non crollare sono le verità universali…”
“Che sarebbero quelle teosofiche?” domando, senza trattenere la stizza.
I morti vivono tra noi in altra forma. Il mondo vivrà l’apocalisse. Conquisteremo lo spazio extraplanetario. Le dimensioni sono multiple. Possiamo compiere viaggi nello spaziotempo. La mente umana può superare lo spazio e il tempo e accedere a dimensioni diverse inimmaginabili. La nostra storia fisica, in quanto specie, finirà. Queste verità sono credute dalla schiacciante maggioranza dell’umanità. Non tramontano mai. Tu ci credi?”
“Sì. Ma non mi parli di Dio”.
“Non ne ho parlato, infatti. Parlo di forze. Di potenze. Di forme. Forme sottili, percepibili da menti che hanno una chiara visione di ciò che è grossolanamente fisico”.
“E mio padre disponeva di queste… speciali qualità?”. Sono sardonico e la disprezzo. Penso a Federica sola all’ospedale. Tra qualche minuto mi alzo, prendo un taxi e la raggiungo. Il mio amore che si è paralizzato davanti a un’emula di Kolosimo…
“Giovanni Amendola, non ancora uomo politico, si occupava di Teosofia. Erano i tempi nei quali la sacerdotessa in titolo della Teosofia, Annie Besant, girava per l’Italia e teneva conferenze sulle teorie indiane sulla reincarnazione. Amendola – prima di divenire il virtuale leader della opposizione aventiniana al fascismo – era stato segnato dall’esperienza teosofica e da grandi interessi verso il mondo massonico e occultista. Molti autorevoli ‘fratelli di Loggia’ avevano patrocinato la creazione del Mondo, il giornale fondato dallo stesso Amendola nel 1922, e avevano aderito alla Unione Democratica Nazionale, il movimento antifascista da lui successivamente fondato. Divenne un profondo cultore della Teosofia e un esperto interprete del mito di Atlantide. Al continente sommerso Giovanni Amendola dedicò un articolo su La Nuova Parola, pubblicazione teosofica, nel luglio 1902, esaltando la sapienza degli antichi Atlantidi, capaci, pare, innalzarsi su velivoli già ventimila anni fa, in piena Glaciazione di Wurm. Fu nella sede romana della Società Teosofica che nel 1903 il giovane Amendola conobbe la futura moglie, la lituana Eva Kuhn. E’ lei stessa a ricordare come, grazie alla Teosofia, Amendola ‘allargò il cerchio delle sue conoscenze ed amicizie e lo stesso orizzonte della sua vita’. Tutta la famiglia Amendola può dirsi segnata da questa esperienza.
Lo spiritismo è sempre in connessione con un razionalismo materialista.
Va notata la coincidenza di data tra il Manifesto del partito comunista, nel 1848, con la prima seduta spiritica pubblica delle sorelle Fox”.
Mi fermo a riflettere. Mio padre e mia madre raccontavano di compagni di sezione, gente con la tessera del PCI, che aderivano alla Teosofia. Lo riferisco alla Hinze. Sto calmandomi. Se mi calmo, Federica sfuma in uno sfondo distante, oscuro, fatto di calma anch’esso.
“Il comunismo solleva domande radicali e ciò che è radicale conduce di forza allo sfondamento della materia. Il marxismo sembra parlare di materia e sta parlando di forze. Tuo padre, a metà degli anni Sessanta, partecipò ad alcune sedute di quegli amici di cui sai. Aderivano alla Società Teosofica. L’organizzazione non piacque a tuo padre. Ma le sedute lo scioccarono. Vide cose che non sospettava…”
“Le raccontò cosa vide?”
Parlò del Muro eretto a Berlino. Ne vide il crollo. Vide il crollo delle nazioni che applicavano la dottrina comunista. Vide la nascita di suo figlio mentre uomini in tuta bianca e casco nero saltavano sulla superficie lunare. Vide suo padre morire. Non sapeva, ovviamente, se si trattava di allucinazioni. Tenne tutto per sé. Era estremamente riservato”.
“Era introverso fino alla psicosi”.
“E’ ciò che credi tu”.
“Nascose tutto a tutti. Non gli interessava la Società Teosofica. E cosa successe?”
“Conobbe Peter. E Peter lo condusse a noi”.
“Peter chi?”
“Lo sai”.
“Peter Kolosimo…”
“Insegnava all’Umanitaria di Milano, una scuola professionale. Aveva studiato qui a Lipsia. Tornava, clandestinamente, a controllare gli esperimenti di visualizzazione. C’è un centro, qui vicino, un centro militare. Si compiono da decenni, lì, esperimenti di visualizzazione”.
Comunisti che praticano sedute spiritiche?”
“Puoi vederla così. Io dico: è il punto fragile del sistema che stiamo perforando, che abbiamo perforato. Tutti i Partiti Comunisti di Europa hanno contribuito a questo risultato”.
“In che senso?”
Gretel si ferma per riempire nuovamente la tazza. Le sue pupille azzurro baltico sembrano quelle di un husky. “In Europa, nello stesso giorno, alla stessa ora, a distanza di migliaia di chilometri l’uno dall’altro, membri dei Partiti Comunisti praticavano visualizzazioni, contemporaneamente. Una catena che legava menti singole in ogni angolo del Vecchio Continente. In Italia erano in quattro. Uno dei quattro era tuo padre”.
Sono senza parole. Non riesco a riallineare le due figure che il mio schermo mentale affianca: mio padre, l’umanista, il rigido burocrate, l’ingraiano, il laico supermaterialista; e la figura aliena descritta da una sconosciuta che parla un italiano distorto dalle durezze del tedesco, un padre sottoposto a un revisionismo radicale, che vede gli spettri e ci crede. “Non ci credo. Non è possibile. Non è mio padre”.
“Dici bene: non è il tuo padre, quello che hai immaginato e hai sperimentato. Ma ci sarà tempo per parlare di questo. Come della tua compagna”.
“Che compiti aveva questa catena a distanza di… visualizzatori?”
Realizzare il comunismo”.
La donna ha capacità retoriche, dunque. Mi lascia sorpreso. “Non significa nulla. Il comunismo si realizza storicamente. Nella DDR ci tentavate”.
“Ci tentatavamo a più livelli. Inoltre hai ancora una volta ragione: il comunismo si realizza storicamente. E cos’è la storia? Se l’uomo non esiste più, la storia si ferma?”
Resto muto, confuso ulteriormente.
“Avevamo visualizzato un pericolo imminente. E dovevamo intervenire. Un pericolo per il pianeta. Un pericolo per la specie tutta. La disgregazione. La fine della specie. Visualizzavamo cercando di strappare brandelli di informazione dal senzatempo, dove, concentrandoci, forme larvali comunicavano, fornivano dettagli, ma non arrivavamo a comprendere il disegno generale. Cosa doveva accaderci? Pensavamo all’esplosione di atomiche, allo scatenarsi della nuova guerra… Non ottenevamo conferme… Non andavamo oltre un certo punto: il futuro diventava nebuloso. Diventava buio.
Non eravamo pazzi. La storia di queste discipline, applicate in centri militari nello scorso secolo, a Est come a Ovest, deve ancora essere scritta. Qualcosa trapela. Ci applichiamo affinché ciò che trapela venga scambiato per grottesco, frutti marci di fantasie malate.
Avevamo ottenuto importanti risultati: avevamo identificato basi missilistiche sotterranee negli Stati Uniti, avevamo identificato l’omicida di Sadat un anno prima dell’omicidio, avevamo sventato un attentato ad Arafat, avevamo fornito al KGB i particolari – rivelatisi veri – di un attentato organizzato da collaterali della Cia infiltrati in URSS e si trattava di gas Sarin nella metropolitana moscovita, e sapevamo che un attentato identico avrebbe avuto luogo in Giappone decenni dopo. Tutti i visualizzatori avevano osservato sgretolarsi il Muro di Berlino. Un rapporto a Mielke sull’uomo dalla voglia viola sulla fronte che stava scalando le gerarchie del KGB: avvertimmo che si trattava di un infiltrato USA e che avrebbe avuto accesso ai massimi gradi del Cremlino. Mielke ci ignorò. Ma lo scopo reale, il perseguito per eccellenza, era lo scopo comune, la salvezza comune: la realizzazione soprannaturale del comunismo di specie, che si identifica con la pietà e l’empatia espresse nella sopravvivenza della specie umana. Un compito ecumenico, comunista.
Ognuno dei visualizzatori redigeva un rapporto. La centrale era qui, nella DDR, ed era soprannominata semplicemente Zentrum. Avevamo agenti che recapitavano i rapporti. Li esaminavamo, inviavamo istruzioni ai visualizzatori. Coordinavamo. Selezionavamo informazioni secondo gradi di attendibilità. Nel senzatempo tutto può essere una proiezione. Meditando profondamente, si è vittima di allucinazioni”.
Ho la possibilità. Ho un brandello. Ho la prossima liana a cui attaccarmi. “I rapporti redatti da mio padre. Se li vedo, ci credo”.
“Sono conservati al Centro. Ma abbiamo previsto questa tua richiesta. Perciò, eccone uno. Puoi leggerlo, ma poi questo foglio rittorna all’archivio del Centro”. Gretel Hinze si alza, raggiunge una madia in legno nerastro, uno dei due mobili presenti nella vasta stanza, la apre e ne estrae una cartellina in cartone consunto. Me la consegna.
La apro.
Il foglio è ingiallito.
E’ una pagina di block notes.
E’ datato 18 luglio 1972.
Avevo tre anni. Mia sorella sarebbe nata l’anno successivo.
Ecco la sua scrittura, calcata, meno tremula che negli anni finali, quando dovevo firmare io, lui presente, le liberatorie per le infusioni chemioterapiche.
mediumicoaudio.gif Milano, 18/7/1972, h:18.37
Rapporto di visualizzazione settimanale a ZENTRUM

Stato di rilassamento iniziale difficile da raggiungere, trovandomi nell’ufficio i rumori del traffico mi distraggono.
Ritardo iniziale nel raggiungimento dello “stato buio”.
Lunga attesa secondo la percezione interiore, poi rivelatasi nella norma.
Visione.
Spazio: intorno al pianeta Giove.
Tempo: anno 1994.
Vedo osservatori astronomici terrestri. Una donna. Cognome tedesco, ebraico tedesco: distintamente vedo Levi, a cui si aggiunge Schumacher o simile. L’anno precedente questa donna ha scoperto non una cometa, ma una scia di comete, 21, il numero appare preciso. Si muovono all’unisono e sono in orbita intorno a Giove. Sono destinate a impattare col pianeta nel 1994. Sto osservando, velocizzato, il loro impatto, che crea sconvolgimenti mai visti, che mi inducono una sensazione di intenso gelo interiore, tanto che a fine visualizzazione mi accorgo di tremare. Il freddo interno si dissolve dopo parecchi minuti dal termine della visualizzazione. Le 21 comete coprono una lunghezza di cinque milioni di chilometri. Impattano sulla superficie di Giove in sequenza. Ognuna di esse, entrando nell’atmosfera, sviluppa dieci milioni di volte l’energia esplosa a Hiroshima. E’ spaventoso. Avverto lo stridio, l’urlo del pianeta, che è come se fosse butterato, cicatrizzato. Dalla superficie, dove impattano le comete coi loro residui, si sollevano colonne che superano lo strato nebuloso di oltre due chilometri. Ogni sette ore, una cometa crolla sul pianeta. Il residuo maggiore misura tre chilometri, impatta con la superficie, è visibile la zona di dispersione dei detriti, è mostruoso, ha il perimetro del nostro pianeta ed è un’area totalmente nera.
Cicatrici roventi sulla superficie di Giove.
Spostamento dell’asse di rotazione.
Oceani di metano in esondazione e moti connettivi dovuti a ingente fuoriuscita lavica.
Intensa mutazione dell’assetto magnetico del sistema solare.
Pioggia di ozono in particelle sull’Australia.
Morte di uno degli osservatori astronomici terrestri, uno degli australiani, dovuta a incidente.
Inizio dello stato confusionale.
Nausea. Rigurgito.
Stato di buio.
Rilassamento e uscita dalla visualizzazione.
Rapporto consegnato il 4/8/1972 a A.M.
In fede, Vito Genna
La firma, la sintassi, quell’“In fede” che ha vergato davanti ai miei occhi migliaia di volte in calce a lettere e documenti e dichiarazioni, l’andamento della sottolineatura, le espressioni, le ellissi, i punti pressati con forza esagerata della penna: tutto il corredo stilistico dell’uomo che corrispondeva a mio padre. La scrittura è la sua, non ho dubbi. Mio padre ha scritto nel ‘72 di avere visto ventun comete impattare su Giove nel ‘94. Evento quanto mai assurdo anche in termini astronomici.
Dico a Gretel Hinze: “Ovviamente nel 1994, non è accaduto nulla di tutto ciò”.
“E’ accaduto tutto alla lettera. Abbiamo cercato di metterci in contatto con tuo padre. Ma lui aveva già lasciato…”
“Aveva abbandonato questa… attività?”
“Poi capirai. Quando avrai visto. Sappi però che nel 1993 una stringa di ventuno detriti di cometa lunga cinquemila chilometri fu identificata da Carolyn Shoemaker, sposata con il geologo David Levy. Quest’ultimo morì in un incidente d’auto nel 1997 mentre cercava crateri d’impatto asteroidale in Australia. La periodica S-L 9, la prima stringa di cometoidi intercettata da occhio umano, attraverso Hubble, si schiantò su Giove nel luglio 1994: ogni frammento a distanza di sette ore dal precedente, e con gli effetti ‘visti’ da tuo padre ventidue anni prima”.
Continuavo a rileggere quelle righe: cosa ero io, in quel momento, mentre mio padre redigeva un rapporto destinato a un Centro di sperimentazione psichica con sede nella DDR? A tre anni, bambino che non si lamentava mai e non piangeva mai… Il suo comunismo, la bandiera rossa sotto le cui insegne nacqui e sono cresciuto, non aveva forse una stella al culmine della falce? Una stella: nebulose, stringhe di comete, astri pulsanti…
Le domande erompono in me come da un camino geologico, come gli stormi alati degli alieni carnivori di Pitch Black, a vortice, domande carnivore. Spolpano mio padre. Ambiscono alla riconfigurazione. Il racconto della Hinze è per forza di cose colmo di buchi, lacero, straccio in punti decisivi.
Quale pericolo incombeva sul pianeta? Come si visualizza? Cos’è il senzatempo?
I particolari, i particolari… Tutto sta nel disegno generale o nei particolari?
E tu, papà, dove sei?
“Frau Hinze…”
“Sì”.
“Chi era mio padre?”.
“Ti porto a vederlo ora. Prima però facciamo una deviazione. C’è una cosa che ti appartiene, che deve tornare in tuo possesso”.
Si stava preparando a uscire.
Ogni mio passo in una pista magnetica, calamitato, calcolato. Una pista magnetica mentre si capovolge il magnetismo terrestre.
Peter Kolosimo.
Blavatsky.
Papà.
Voltandosi, mentre apre la porta ed estrae le chiavi dell’auto, la Hinze: “Ti manca?”
“Federica o mio padre?” rispondo d’istinto. Poi mi rendo conto che intende mio padre. Istruzione: lascia Federica nello sfondo buio e calmo dove riposa. Non preoccuparti per lei. Sento intensamente questa calma circonfonderla a distanza, ne sono sorpreso, è una serenità assonnata, come un bambino che si addormenta… Mi manca mio padre? “A folate. Folate di dolcezza. Una nostalgia stanca e dolce, un dolce riflesso buio. Sta dove sta. E’ dove è”.
Mentre chiude la porta: “E’ la tua elaborazione del lutto. Le cose non stanno propriamente così”.
Non stanno mai propriamente così.
Mio padre è il padre. Ovunque sia, si sta muovendo. Non è dove è.

“Assalto” in ebook

minimum fax ha iniziato, come ogni bravo editore che non lo è così per dire, a studiare e praticare un’illuminata politica di vendita di libri in formato digitale epub. Il catalogo degli ebook minimum è già piuttosto ampio e diviso per collane: lo si può verificare qui. A differenza dei bravi editori che fanno ebook ma sono bravi così per dire, la politica dei prezzi adottata da minimum fax è tutta vòlta a stringere un patto forte col lettore.
Assalto a un tempo devastato e vile [versione 3.0] ha ottenuto l’onore di essere inserito tra i titoli disponibili in versione ebook. Potete acquistarlo qui al prezzo di 7,90 €
Già era stato effettuato un lavoro completo di digitalizzazione ed esperienza “liquida” dell’opera attraverso la pubblicazione on line di Medium, romanzo fantaspirituale a guadagno zero per il Miserabile autore – un dedalo di hyperlink multimedia in cammino verso gli orizzonti dell’opera futura.

Wu Ming 1 sul NIE, alla London University: NOI DOBBIAMO ESSERE I GENITORI

davidfosterwallace_wm1.jpg[Riproduco l’introduzione all’intervento di Wu Ming 1, Noi dobbiamo essere i genitori, tenutosi alla London University. Si tratta, a mio parere, di una fenomenologia e una teoresi imprescindibili rispetto al memorandum sul New Italian Epic, opera sempre di WM1. E’ per me un poco emozionante rimandare a questo nuovo intervento, poiché viene analizzato Medium in coincidenza con un retroscena privato che, come suggerisce Wu Ming 1, è davvero emblematico (al di là dell’emblematicità, mi sia permesso ringraziare WM1 per un’analisi così profonda sul mio romanzo). Non solo. L’intervento è emozionante anche perché ruota su una lunga dichiarazione in intervista che David Foster Wallace rilasciò anni fa e che riporto qui in calce. gg]
[…] C’è questa cosa di Wu Ming 1, si intitola: Noi dobbiamo essere i genitori con l’enfasi sul soggetto della frase. Si trova su Carmilla (versione stampabile qui).
E’ un discorso tenuto a Londra il 2 ottobre scorso, sei giorni fa.
E’ una cosa sui genitori e i figli, parla di una “valle perturbante” che stiamo attraversando, della necessità di tornare a immaginarci un futuro, di due libri (uno semi-sconosciuto, l’altro famosissimo), di “zone morte” nel mare e pesci che si estinguono, di una sindrome che si chiama “asimbolia del dolore” (ti fanno male e ti metti a ridere), dell’Italia come laboratorio, del fatto che dobbiamo smetterla di pensarci “post-qualcosa”, e mirare a nuovi momenti fondativi. “Noi dovremo essere i genitori” è una frase di David Foster Wallace. Cosa abbiamo perso, con quel suicidio…

«Vorrei citare lo scomparso David Foster Wallace. Questo è uno stralcio da una famosa, classica intervista rilasciata a Larry McCafferty per la “Review of Contemporary Fiction”, estate 1993. E’ l’ultimissima risposta, ed è molto interessante: “Questi ultimi anni dell’era postmoderna mi sono sembrati un po’ come quando sei alle superiori e i tuoi genitori partono e tu organizzi una festa. Chiami tutti i tuoi amici e metti su questo selvaggio, disgustoso, favoloso party, e per un po’ va benissimo, è sfrenato e liberatorio, l’autorità parentale se ne è andata, è spodestata, il gatto è via e i topi gozzovigliano nel dionisiaco. Ma poi il tempo passa e il party si fa sempre più chiassoso, e le droghe finiscono, e nessuno ha soldi per comprarne altre, e le cose cominciano a rompersi o rovesciarsi, e ci sono bruciature di sigaretta sul sofà, e tu sei il padrone di casa, è anche casa tua, così, pian piano, cominci a desiderare che i tuoi genitori tornino e ristabiliscano un po’ di ordine, cazzo… Non è una similitudine perfetta, ma è come mi sento, è come sento la mia generazione di scrittori e intellettuali o qualunque cosa siano, sento che sono le tre del mattino e il sofà è bruciacchiato e qualcuno ha vomitato nel portaombrelli e noi vorremmo che la baldoria finisse. L’opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno è stata importante, ma il parricidio genera orfani, e nessuna baldoria può compensare il fatto che gli scrittori della mia età sono stati orfani letterari negli anni della loro formazione. Stiamo sperando che i genitori tornino, e chiaramente questa voglia ci mette a disagio, voglio dire: c’è qualcosa che non va in noi? Cosa siamo, delle mezze seghe? Non sarà che abbiamo bisogno di autorità e paletti? E poi arriva il disagio più acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realtà i genitori non torneranno più – e che noi dovremo essere i genitori”.»

Calvairate-Berlino via Genna

di ALBERTO GIUFFRE’
[Un autentico servizio giornalistico sul mio percorso letterario ed esistenziale: è il video registrato e montato da Alberto Giuffrè, che frequenta il Master in Giornalismo della Statale di Milano, e che mi ha chiesto di potere realizzare una sorta di tesina di videogiornalismo. Questo è il risultato: di cui ringrazio e per cui faccio i complimenti ad Alberto. gg]

Il romanzo Hitler su Mangialibri: intervista e recensione

hitlercovermedia.jpgDavid Frati, direttore del ricchissimo sito letterario Mangialibri, si è occupato di quasi tutti i libri che ho pubblicato – già solo per questo motivo vorrei ringraziarlo. Circa Hitler ha fatto di più: non solo a scritto una scatenata recensione che coglie molto di quanto intendevo fare al di là dell’esito testuale e della sua eccedenza, ma mi ha anche intervistato a trecentosessanta gradi. Ne è uscito uno degli speciali più gratificanti per me mai apparsi in Rete, anche perché l’intervista di David Frati è in assoluto una serie di domande per me fondamentali, che meriterebbero una riflessione comune – riflessione che, garantisco, una congrega di scrittori sta compiendo e i cui risultati si vedranno presto, in forme differenti e tutte sorprendenti.
Ringrazio sinceramente David Frati e Mangialibri per lo spazio e l’attenzione immani dedicati a me e a ciò che scrivo.

Genna: Hitler

di DAVID FRATI
“Egli, di fatto, non è. Appare, ma non è. L’amore non è. Il mondo non è. Nemmeno la Germania è. Niente è e lui naviga, bolla oscura nel non essere”.
1887. Klara è la terza moglie di un oscuro funzionario doganale austriaco, Alois Hitler, che ha 23 anni più di lei, e probabilmente è pure sua nipote, non è del tutto chiaro. Nella casa di ‘zio Alois’ c’è entrata per fare la servetta: lui aveva appena divorziato dalla prima moglie per portarsi a casa una procace cameriera di 23 anni, Fanni, che però poco dopo era morta di malattia. Veniva il turno di Klara, sposata dopo una dispensa papale richiesta al vescovo di Linz per la sospetta parentela, che dopo aver perso tre bambini piccoli per colpa della difterite nell’aprile del 1889 dà alla luce Adolf. Lo seguiranno il piccolo Alois, Angela, Paula. Che danno al padre molte più soddisfazioni di lui, a dire il vero. Perché Adolf è un ragazzo sempre con la testa tra le nuvole, un visionario chiuso e cupo. Vuole fare l’artista, figuriamoci. Finché il padre – rigido benpensante asburgico – è vivo, se lo può scordare: piuttosto nerbate sulla schiena e silenzi. Ma quando Alois Hitler muore e Adolf rimane solo con la madre, che lo adora, il ragazzo può dare libero sfogo alle sue velleitarie ambizioni – incurante della disastrosa situazione economica familiare – e recarsi a Vienna, per iscriversi all’Accademia delle Arti Figurative. Non sarà ammesso, e dopo la prematura morte della madre per un tumore precipiterà nell’abisso della povertà, mentre un altro abisso – quello della guerra – è in agguato dietro l’angolo per l’Europa intera. Il futuro più lontano, quello in cui il nome Adolf Hitler risuonerà sinistro in tutto il mondo, è ancora inatteso, impensabile. Eppure così ovvio, così inevitabile…
Previsioni del tempo? Pessime. Un anticiclone di malvagità insiste sull’Europa già dilaniata dalla Grande Guerra, la pelle ancora percorsa dai segni di sutura delle trincee: “l’occhio immobile di questo ciclone, il punto vuoto, lo zero” è un giovane complessato e inconcludente, un debole pieno di rabbia repressa, di dolore e di frustrazioni, tale Adolf Hitler. La sua ascesa e la sua caduta coincidono con uno dei periodi più neri e luttuosi della storia, una storia che Giuseppe Genna, dopo aver piegato alle sue esigenze narrative e al suo stile generi come il noir, la science-fiction, l’horror, decide di raccontare passo passo ‘mettendo in prosa’ una biografia storica, un po’ l’operazione che al cinema si fa con i cosiddetti ‘biopic’. Ma siamo di fronte a un biopic del tutto sui generis (malgrado la evidente influenza – del resto dichiarata apertamente dall’autore – del lavoro di Joachim Fest), perché Genna usa la storia come un liquido di contrasto, per illuminare tessuti tumorali, metastasi, cancrene in wagneriana progressione patologica. Col suo passo enfatico, col suo procedere a sentenze ad effetto, immagine suggestiva dopo immagine suggestiva, licenza poetica dopo licenza poetica, Hitler ricorda il libretto di un’opera rock: una malsana, potente, rumorosa, emozionante, tonante opera rock. Il romanzo (che romanzo non è) ha suscitato le più vive polemiche nell’ambiente letterario italiano, è schizzato nella top ten delle vendite e si è beccato più di una illustre stroncatura. Nemmeno tanto nascoste tra circonlocuzioni complesse e paroloni arditi, le accuse di apologia ‘estetica’ del nazismo, di cattivo gusto, di opportunismo. La chiave dell’interpretazione del libro (e anche del suo eventuale misunderstanding) è senz’altro nel riferimento frequente alla metafora-simbolo del lupo Fenrir, il divoratore degli dei durante Ragnarok, preso di peso dal pantheon norreno, che qui incrocia il cammino di Hitler, lo ispira, lo protegge, lo affianca, lo possiede, lo divora. Ma lo giustifica? Lo glorifica? Lo legittima con un una sorta di imprimatur divino? Fossimo vichinghi di un millennio fa, forse potremmo pensarla così. Ma né noi né Genna andiamo in giro con elmi con le corna e boccali ripieni di idromele, almeno non in orario d’ufficio. E questa storia del tabù, dei tabù letterari, dei temi intoccabili e intangibili con la quale ce l’hanno menata anche quando è uscito Le benevole di Jonathan Littell ha francamente rotto gli zebedei, ci pare armamentario da intellighenzia culturale fintomarxistaperbenista. Decostruendo il culto della personalità del fuhrer nazista, ridotto a involucro di forze politiche e culturali che operano a un livello oltreumano, a fantoccio, a pretesto, ad avatar, Genna celebra la mitologia di Hitler o la demolisce? La seconda che hai detto.

Intervista a Giuseppe Genna

di DAVID FRATI
Genna Giuseppe è una strana bestia, uno di quegli animali mitici da trattato medievale che avevano come minimo ali d’uccello, corpo di rettile e testa di cane. Perché sei senza dubbio uno scrittore colto (nei temi e nel linguaggio), eppure utilizzi il romanzo di genere per comunicare e comunicarti: noir, fantascienza, esoterismo, storia: generi da sempre considerati ‘da B-movie’. Perché non hai scelto la via consueta del ‘romanzo esistenziale’ italiano?
In realtà, la questione che poni è per me centrale. Non si tratta, a mio avviso, di spostare l’attenzione da un genere all’altro, quanto, per poetica personale e per lunga meditazione sulla tradizione letteraria che mi costituisce in ogni fibra, di distruggere qualunque genere, di approdare alla narrazione che implica uno sforzo di invenzione formale. Non solo questo riguarda i generi (noir, thriller, storico), che in realtà sono sottogeneri del genere “romanzo”. Per me è essenziale (ma la prospettiva non intende essere universale: è idiosincratica) di spaccare anche il genere romanzo, che non è capace di reggere una nuova retorica, più intensa dal punto di vista psichico e in diretta connessione con la retorica arcaica. Per esempio, per quanto possa esistere del tragico nel romanzo, il romanzo non può essere tragico, poiché la sua struttura regge solo il tragico moderno. Io cerco il tragico e mi allineo totalmente a chi cerca una nuova epica italiana attraverso la nozione di oggetto narrativo. Guardo allo “Zibaldone” di Leopardi e a “Petrolio” di Pasolini o, più centralmente, a Kafka e Burroughs: narrazione allo stato puro, seppure non lineare, ma per questo non necessariamente postmoderna. Quanto al genere esistenziale, non l’ho praticato finora, ma sto iniziando a lavorare (e credo che se ne intercettino i segnali in “Medium”) proprio a un oggetto narrativo che sia una sorta di mémoire esistenziale spostato.
Da decenni non si fa altro che parlare e scrivere della fascinazione dei nazisti per l’esoterismo, ma tu sei tra i pochi (o forse l’unico) che ha ipotizzato ed esplorato la vicinanza dei regimi comunisti al paranormale…
In “Hitler” ho abolito di proposito l’inconsistente, deviante e per me eticamente oscena ipotesi del “nazismo magico”: nel 1938 gli esoteristi dei circoli, a cui Hitler era stato occasionalmente vicino, finiscono nei campi di concentramento. L’ipotesi regge solo in forza delle follie di Himmler e di Hess – follie che Hitler mal sopportava e derideva. Il paranormale nei regimi comunisti è una questione storicamente accertata e poco esplorata, a partire dai rapporti tra Lenin e il compagno Parvus, decisivo finanziatore della Rivoluzione, di stanza al Monte Verità in Svizzera, tra comunità teurgiche di varia natura. Ma a me, qui, come in passato per i complotti, non interessa il dato in sé: esso mi serve come occasione” narrativa per tentare un’allegoria. Nel caso in cui ho esplorato questo aspetto particolare, io volevo realizzare letterariamente l’invito alla “radicalità” di Marx: che mi porta a sostenere che il comunismo è in fondo non un messianesimo, ma una metafisica. Tutto il contesto mi serviva a chiarire questa parolina scomoda e continuamente male interpretata, che è “metafisica”.

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Posso contare in più di 400 le bellissime mail che ho ricevuto dai lettori di Medium. Quella che pubblico oggi va però oltre la condivisione emotiva e la richiesta di dialogo di questo inatteso e benefico carteggio plurimo a cui sono stato trascinato, desiderando tanto di esserlo. L’intervento di Stefania (di cui non pubblico volutamente il cognome – basta sapere comunque che è una persona che non conoscevo prima che mi spedisse la sua mail) intercetta qualcosa che si sporge oltre il mio libro e investe tutti i libri e tutti i lettori. Venga accolta in questo modo la pubblicazione di quanto Stefania mi scrive a proposito di Medium: non come un intervento sul mio romanzo, ma come un’apertura sulla scrittura e sulla lettura.
Qui di seguito, la mail…

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