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MAGIA ROSSA
“Perché non mi ha lasciato andare?” chiedo. Sono disperato. Le parole fuoriescono come sassi dalla bocca a fessura, cadono ai miei piedi pronunciate. Un parto minerale.
Gretel Hinze sorseggia una tazza di tè, che io ho rifiutato. Mi trovo in uno stato di raggelamento che conosco bene e che da anni combatto: l’imperativo morale è disciogliere, disciogliersi. Sono qui mentre Federica, incinta, è trasportata d’urgenza alla clinica universitaria di Lipsia. Quelle urla, mi chiedeva di non abbandonarla e io invece…
Gretel Hinze appoggia sulla superficie in vetro del tavolino di fronte al divano la tazza. “Quanto accadrà, sarà giusto sia accaduto”.
La sostanza nera che ribolle in profondità erompe: “Mi sono rotto i coglioni dei vostri misteri. Cosa accadrà? Cosa deve accadere?”
La Hinze sorride come un’intima che da anni mi conosce e mi deplora. “Stai calmo. La calma aiuta. Ciò che accadrà va spiegato. Perché tu capisca, ci serve tempo. Poi vedrai coi tuoi occhi”.
“Cosa devo vedere?”
“La verità. Che ciò che racconto è una storia vera”.
“Per voi italiani inizia con il principio del secolo scorso e il nome dell’uomo decisivo non ti è sconosciuto, perché è per la morte inaspettata del figlio di lui che siamo riusciti a infilare nella delegazione del Partito tuo padre. Parlo di Giovanni Amendola, il padre di Giorgio. Il fondatore del movimento liberale. L’uomo del cosiddetto Aventino, il fiero oppositore di Mussolini, che lo fece trucidare in Francia nel 1926. Omicidio certo, ma misterioso. Giovanni Amendola, il padre del comunista riformatore Giorgio, era infatti un grande maestro di un ordine occulto: la Teosofia. Sai di cosa sto parlando, vero?”
“Una sètta. Fondata da Madame Blavatsky. Una fondazione che sa d’impostura. Un’eccentrica spiritista russa che individuò in Krishnamurti bambino, in mezzo all’India, il nuovo Messia. Fu sbugiardata dallo stesso Krishnamurti”.
“Direi che è un riassunto storico approssimativo, ma può starci…”. La Hinze sorbisce tè. Mi irrita. Non riesco a non pensare a Federica. “Comunque non è tanto la Società teosofica che interessa, quanto le tecniche meditative e medianiche che venivano divulgate dalla Blavatsky e da colei che le successe a capo della Teosofia, Annie Besant”.
“Le dico solo che in Italia, attualmente, la Blavatsky appare spesso in un fumetto horror e ironico, un culto nazionale che ha per protagonista un detective dell’ignoto di nome Dylan Dog”.
“E’ divulgazione anche quella. Nell’età in cui crolla tutto, crollano i saperi, crolla il comunismo, a non crollare sono le verità universali…”
“Che sarebbero quelle teosofiche?” domando, senza trattenere la stizza.
“I morti vivono tra noi in altra forma. Il mondo vivrà l’apocalisse. Conquisteremo lo spazio extraplanetario. Le dimensioni sono multiple. Possiamo compiere viaggi nello spaziotempo. La mente umana può superare lo spazio e il tempo e accedere a dimensioni diverse inimmaginabili. La nostra storia fisica, in quanto specie, finirà. Queste verità sono credute dalla schiacciante maggioranza dell’umanità. Non tramontano mai. Tu ci credi?”
“Sì. Ma non mi parli di Dio”.
“Non ne ho parlato, infatti. Parlo di forze. Di potenze. Di forme. Forme sottili, percepibili da menti che hanno una chiara visione di ciò che è grossolanamente fisico”.
“E mio padre disponeva di queste… speciali qualità?”. Sono sardonico e la disprezzo. Penso a Federica sola all’ospedale. Tra qualche minuto mi alzo, prendo un taxi e la raggiungo. Il mio amore che si è paralizzato davanti a un’emula di Kolosimo…
“Giovanni Amendola, non ancora uomo politico, si occupava di Teosofia. Erano i tempi nei quali la sacerdotessa in titolo della Teosofia, Annie Besant, girava per l’Italia e teneva conferenze sulle teorie indiane sulla reincarnazione. Amendola – prima di divenire il virtuale leader della opposizione aventiniana al fascismo – era stato segnato dall’esperienza teosofica e da grandi interessi verso il mondo massonico e occultista. Molti autorevoli ‘fratelli di Loggia’ avevano patrocinato la creazione del Mondo, il giornale fondato dallo stesso Amendola nel 1922, e avevano aderito alla Unione Democratica Nazionale, il movimento antifascista da lui successivamente fondato. Divenne un profondo cultore della Teosofia e un esperto interprete del mito di Atlantide. Al continente sommerso Giovanni Amendola dedicò un articolo su La Nuova Parola, pubblicazione teosofica, nel luglio 1902, esaltando la sapienza degli antichi Atlantidi, capaci, pare, innalzarsi su velivoli già ventimila anni fa, in piena Glaciazione di Wurm. Fu nella sede romana della Società Teosofica che nel 1903 il giovane Amendola conobbe la futura moglie, la lituana Eva Kuhn. E’ lei stessa a ricordare come, grazie alla Teosofia, Amendola ‘allargò il cerchio delle sue conoscenze ed amicizie e lo stesso orizzonte della sua vita’. Tutta la famiglia Amendola può dirsi segnata da questa esperienza.
Lo spiritismo è sempre in connessione con un razionalismo materialista.
Va notata la coincidenza di data tra il Manifesto del partito comunista, nel 1848, con la prima seduta spiritica pubblica delle sorelle Fox”.
Mi fermo a riflettere. Mio padre e mia madre raccontavano di compagni di sezione, gente con la tessera del PCI, che aderivano alla Teosofia. Lo riferisco alla Hinze. Sto calmandomi. Se mi calmo, Federica sfuma in uno sfondo distante, oscuro, fatto di calma anch’esso.
“Il comunismo solleva domande radicali e ciò che è radicale conduce di forza allo sfondamento della materia. Il marxismo sembra parlare di materia e sta parlando di forze. Tuo padre, a metà degli anni Sessanta, partecipò ad alcune sedute di quegli amici di cui sai. Aderivano alla Società Teosofica. L’organizzazione non piacque a tuo padre. Ma le sedute lo scioccarono. Vide cose che non sospettava…”
“Le raccontò cosa vide?”
“Parlò del Muro eretto a Berlino. Ne vide il crollo. Vide il crollo delle nazioni che applicavano la dottrina comunista. Vide la nascita di suo figlio mentre uomini in tuta bianca e casco nero saltavano sulla superficie lunare. Vide suo padre morire. Non sapeva, ovviamente, se si trattava di allucinazioni. Tenne tutto per sé. Era estremamente riservato”.
“Era introverso fino alla psicosi”.
“E’ ciò che credi tu”.
“Nascose tutto a tutti. Non gli interessava la Società Teosofica. E cosa successe?”
“Conobbe Peter. E Peter lo condusse a noi”.
“Peter chi?”
“Lo sai”.
“Peter Kolosimo…”
“Insegnava all’Umanitaria di Milano, una scuola professionale. Aveva studiato qui a Lipsia. Tornava, clandestinamente, a controllare gli esperimenti di visualizzazione. C’è un centro, qui vicino, un centro militare. Si compiono da decenni, lì, esperimenti di visualizzazione”.
“Comunisti che praticano sedute spiritiche?”
“Puoi vederla così. Io dico: è il punto fragile del sistema che stiamo perforando, che abbiamo perforato. Tutti i Partiti Comunisti di Europa hanno contribuito a questo risultato”.
“In che senso?”
Gretel si ferma per riempire nuovamente la tazza. Le sue pupille azzurro baltico sembrano quelle di un husky. “In Europa, nello stesso giorno, alla stessa ora, a distanza di migliaia di chilometri l’uno dall’altro, membri dei Partiti Comunisti praticavano visualizzazioni, contemporaneamente. Una catena che legava menti singole in ogni angolo del Vecchio Continente. In Italia erano in quattro. Uno dei quattro era tuo padre”.
Sono senza parole. Non riesco a riallineare le due figure che il mio schermo mentale affianca: mio padre, l’umanista, il rigido burocrate, l’ingraiano, il laico supermaterialista; e la figura aliena descritta da una sconosciuta che parla un italiano distorto dalle durezze del tedesco, un padre sottoposto a un revisionismo radicale, che vede gli spettri e ci crede. “Non ci credo. Non è possibile. Non è mio padre”.
“Dici bene: non è il tuo padre, quello che hai immaginato e hai sperimentato. Ma ci sarà tempo per parlare di questo. Come della tua compagna”.
“Che compiti aveva questa catena a distanza di… visualizzatori?”
“Realizzare il comunismo”.
La donna ha capacità retoriche, dunque. Mi lascia sorpreso. “Non significa nulla. Il comunismo si realizza storicamente. Nella DDR ci tentavate”.
“Ci tentatavamo a più livelli. Inoltre hai ancora una volta ragione: il comunismo si realizza storicamente. E cos’è la storia? Se l’uomo non esiste più, la storia si ferma?”
Resto muto, confuso ulteriormente.
“Avevamo visualizzato un pericolo imminente. E dovevamo intervenire. Un pericolo per il pianeta. Un pericolo per la specie tutta. La disgregazione. La fine della specie. Visualizzavamo cercando di strappare brandelli di informazione dal senzatempo, dove, concentrandoci, forme larvali comunicavano, fornivano dettagli, ma non arrivavamo a comprendere il disegno generale. Cosa doveva accaderci? Pensavamo all’esplosione di atomiche, allo scatenarsi della nuova guerra… Non ottenevamo conferme… Non andavamo oltre un certo punto: il futuro diventava nebuloso. Diventava buio.
Non eravamo pazzi. La storia di queste discipline, applicate in centri militari nello scorso secolo, a Est come a Ovest, deve ancora essere scritta. Qualcosa trapela. Ci applichiamo affinché ciò che trapela venga scambiato per grottesco, frutti marci di fantasie malate.
Avevamo ottenuto importanti risultati: avevamo identificato basi missilistiche sotterranee negli Stati Uniti, avevamo identificato l’omicida di Sadat un anno prima dell’omicidio, avevamo sventato un attentato ad Arafat, avevamo fornito al KGB i particolari – rivelatisi veri – di un attentato organizzato da collaterali della Cia infiltrati in URSS e si trattava di gas Sarin nella metropolitana moscovita, e sapevamo che un attentato identico avrebbe avuto luogo in Giappone decenni dopo. Tutti i visualizzatori avevano osservato sgretolarsi il Muro di Berlino. Un rapporto a Mielke sull’uomo dalla voglia viola sulla fronte che stava scalando le gerarchie del KGB: avvertimmo che si trattava di un infiltrato USA e che avrebbe avuto accesso ai massimi gradi del Cremlino. Mielke ci ignorò. Ma lo scopo reale, il perseguito per eccellenza, era lo scopo comune, la salvezza comune: la realizzazione soprannaturale del comunismo di specie, che si identifica con la pietà e l’empatia espresse nella sopravvivenza della specie umana. Un compito ecumenico, comunista.
Ognuno dei visualizzatori redigeva un rapporto. La centrale era qui, nella DDR, ed era soprannominata semplicemente Zentrum. Avevamo agenti che recapitavano i rapporti. Li esaminavamo, inviavamo istruzioni ai visualizzatori. Coordinavamo. Selezionavamo informazioni secondo gradi di attendibilità. Nel senzatempo tutto può essere una proiezione. Meditando profondamente, si è vittima di allucinazioni”.
Ho la possibilità. Ho un brandello. Ho la prossima liana a cui attaccarmi. “I rapporti redatti da mio padre. Se li vedo, ci credo”.
“Sono conservati al Centro. Ma abbiamo previsto questa tua richiesta. Perciò, eccone uno. Puoi leggerlo, ma poi questo foglio rittorna all’archivio del Centro”. Gretel Hinze si alza, raggiunge una madia in legno nerastro, uno dei due mobili presenti nella vasta stanza, la apre e ne estrae una cartellina in cartone consunto. Me la consegna.
La apro.
Il foglio è ingiallito.
E’ una pagina di block notes.
E’ datato 18 luglio 1972.
Avevo tre anni. Mia sorella sarebbe nata l’anno successivo.
Ecco la sua scrittura, calcata, meno tremula che negli anni finali, quando dovevo firmare io, lui presente, le liberatorie per le infusioni chemioterapiche.
Milano, 18/7/1972, h:18.37
Rapporto di visualizzazione settimanale a ZENTRUM
Stato di rilassamento iniziale difficile da raggiungere, trovandomi nell’ufficio i rumori del traffico mi distraggono.
Ritardo iniziale nel raggiungimento dello “stato buio”.
Lunga attesa secondo la percezione interiore, poi rivelatasi nella norma.
Visione.
Spazio: intorno al pianeta Giove.
Tempo: anno 1994.
Vedo osservatori astronomici terrestri. Una donna. Cognome tedesco, ebraico tedesco: distintamente vedo Levi, a cui si aggiunge Schumacher o simile. L’anno precedente questa donna ha scoperto non una cometa, ma una scia di comete, 21, il numero appare preciso. Si muovono all’unisono e sono in orbita intorno a Giove. Sono destinate a impattare col pianeta nel 1994. Sto osservando, velocizzato, il loro impatto, che crea sconvolgimenti mai visti, che mi inducono una sensazione di intenso gelo interiore, tanto che a fine visualizzazione mi accorgo di tremare. Il freddo interno si dissolve dopo parecchi minuti dal termine della visualizzazione. Le 21 comete coprono una lunghezza di cinque milioni di chilometri. Impattano sulla superficie di Giove in sequenza. Ognuna di esse, entrando nell’atmosfera, sviluppa dieci milioni di volte l’energia esplosa a Hiroshima. E’ spaventoso. Avverto lo stridio, l’urlo del pianeta, che è come se fosse butterato, cicatrizzato. Dalla superficie, dove impattano le comete coi loro residui, si sollevano colonne che superano lo strato nebuloso di oltre due chilometri. Ogni sette ore, una cometa crolla sul pianeta. Il residuo maggiore misura tre chilometri, impatta con la superficie, è visibile la zona di dispersione dei detriti, è mostruoso, ha il perimetro del nostro pianeta ed è un’area totalmente nera.
Cicatrici roventi sulla superficie di Giove.
Spostamento dell’asse di rotazione.
Oceani di metano in esondazione e moti connettivi dovuti a ingente fuoriuscita lavica.
Intensa mutazione dell’assetto magnetico del sistema solare.
Pioggia di ozono in particelle sull’Australia.
Morte di uno degli osservatori astronomici terrestri, uno degli australiani, dovuta a incidente.
Inizio dello stato confusionale.
Nausea. Rigurgito.
Stato di buio.
Rilassamento e uscita dalla visualizzazione.
Rapporto consegnato il 4/8/1972 a A.M.
In fede, Vito Genna
La firma, la sintassi, quell’“In fede” che ha vergato davanti ai miei occhi migliaia di volte in calce a lettere e documenti e dichiarazioni, l’andamento della sottolineatura, le espressioni, le ellissi, i punti pressati con forza esagerata della penna: tutto il corredo stilistico dell’uomo che corrispondeva a mio padre. La scrittura è la sua, non ho dubbi. Mio padre ha scritto nel ‘72 di avere visto ventun comete impattare su Giove nel ‘94. Evento quanto mai assurdo anche in termini astronomici.
Dico a Gretel Hinze: “Ovviamente nel 1994, non è accaduto nulla di tutto ciò”.
“E’ accaduto tutto alla lettera. Abbiamo cercato di metterci in contatto con tuo padre. Ma lui aveva già lasciato…”
“Aveva abbandonato questa… attività?”
“Poi capirai. Quando avrai visto. Sappi però che nel 1993 una stringa di ventuno detriti di cometa lunga cinquemila chilometri fu identificata da Carolyn Shoemaker, sposata con il geologo David Levy. Quest’ultimo morì in un incidente d’auto nel 1997 mentre cercava crateri d’impatto asteroidale in Australia. La periodica S-L 9, la prima stringa di cometoidi intercettata da occhio umano, attraverso Hubble, si schiantò su Giove nel luglio 1994: ogni frammento a distanza di sette ore dal precedente, e con gli effetti ‘visti’ da tuo padre ventidue anni prima”.
Continuavo a rileggere quelle righe: cosa ero io, in quel momento, mentre mio padre redigeva un rapporto destinato a un Centro di sperimentazione psichica con sede nella DDR? A tre anni, bambino che non si lamentava mai e non piangeva mai… Il suo comunismo, la bandiera rossa sotto le cui insegne nacqui e sono cresciuto, non aveva forse una stella al culmine della falce? Una stella: nebulose, stringhe di comete, astri pulsanti…
Le domande erompono in me come da un camino geologico, come gli stormi alati degli alieni carnivori di Pitch Black, a vortice, domande carnivore. Spolpano mio padre. Ambiscono alla riconfigurazione. Il racconto della Hinze è per forza di cose colmo di buchi, lacero, straccio in punti decisivi.
Quale pericolo incombeva sul pianeta? Come si visualizza? Cos’è il senzatempo?
I particolari, i particolari… Tutto sta nel disegno generale o nei particolari?
E tu, papà, dove sei?
“Frau Hinze…”
“Sì”.
“Chi era mio padre?”.
“Ti porto a vederlo ora. Prima però facciamo una deviazione. C’è una cosa che ti appartiene, che deve tornare in tuo possesso”.
Si stava preparando a uscire.
Ogni mio passo in una pista magnetica, calamitato, calcolato. Una pista magnetica mentre si capovolge il magnetismo terrestre.
Peter Kolosimo.
Blavatsky.
Papà.
Voltandosi, mentre apre la porta ed estrae le chiavi dell’auto, la Hinze: “Ti manca?”
“Federica o mio padre?” rispondo d’istinto. Poi mi rendo conto che intende mio padre. Istruzione: lascia Federica nello sfondo buio e calmo dove riposa. Non preoccuparti per lei. Sento intensamente questa calma circonfonderla a distanza, ne sono sorpreso, è una serenità assonnata, come un bambino che si addormenta… Mi manca mio padre? “A folate. Folate di dolcezza. Una nostalgia stanca e dolce, un dolce riflesso buio. Sta dove sta. E’ dove è”.
Mentre chiude la porta: “E’ la tua elaborazione del lutto. Le cose non stanno propriamente così”.
Non stanno mai propriamente così.
Mio padre è il padre. Ovunque sia, si sta muovendo. Non è dove è.