Qualcosa lega “Hitler” a “La vita umana sul pianeta Terra”: il non-soggetto del nuovo romanzo è la vittoria postuma del non-soggetto del romanzo precedente. C’è un momento, interno e tuttavia estraneo ai libri, che li connette: è un kaddish personale, composto per testo immagini e suoni e si intitola “Apocalisse con figure”, che è un lamento funebre integralmente leggibile qui (http://bit.ly/1oDitAp) e una videoinstallazione on line su musiche di Iannis Xenakis e Arvo Pärt, visionabile qui (http://bit.ly/1gGjrJZ).
Il romanzo Hitler ancora su “Bottega di Lettura”: la critica di Giorgio Fontana
Giorgio Fontana ha pubblicato il terzo intervento su Hitler che appare su Bottega di Lettura. Nel suo blog si lamenta perché non l’avrei ripreso volutamente su queste pagine, rispondendogli però in maniera trasversale qui. E’ un misunderstanding. Semplicemente mi era sfuggita la critica di Fontana e ciò che genericamente scrivevo nell’articolo segnalato era in risposta ad alcuni commenti, altrettanto generici, letti su altri blog e su IBS. Perciò mi scuso con Giorgio Fontana e vengo a rispondergli qui direttamente, prima di riportare integralmente il suo pezzo. Circa il punto 1, ovviamente senza intendere in alcun modo che le impressioni di Fontana non siano giustificate, confermo che, nella mia percezione, in Hitler non c’è la mia lingua. Esistono tre piani stilistici, nel romanzo: il più evidente è un’enfasi che mutua una finta paratassi (che è però complicata nella reiterazione, giungendo allo statuto di ipotassi) tesa a costruire una maschera linguistica dietro cui sia il niente. Questa enfasi non è epica, a mio parere, semplicemente perché non è vero che Hitler affascina: a conti fatti esiste forse una progressione mitologica per cui Hitler esce dal libro accresciuto o costruito? Semmai il problema da discutere è come rappresentare il vuoto umano – e solo in termini di lingua di superficie, perché la lingua è qualcosa di più profondo della superficie. Il secondo piano linguistico, che non è comunque mio, risiede nell’intervento esorcistico e diretto dell’autore, che non sono io, ma è qualunque autore. Il terzo piano linguistico concerne la sezione Apocalisse con figure, dove altri parlano: e si tratta del perno del libro. L’enfasi che irrita è tesa a irritare e, spesso, ad annoiare, a opporre resistenza emotiva contro il testo da parte del lettore. Circa il punto 2, l’esempio delle metope mi sembra riprendere una pratica che, in Benjamin, è detta “mosaico” e tenta di allargare gli spazi tra le tessere. Spesso, tra una scena e l’altra, trascorre un anno. Il salto tra scena e scena non viene visto come silenzio o vuoto o congelamento, perché gestalticamente l’occhio si fa prendere o dalle figure o dallo sfondo o dai rapporti tra i due – ma qui lo sfondo è un salto, un vuoto. Inoltre, la vicenda di Hitler è conosciuta, esattamente come la storia che le metope raccontavano nei tempi antichi. Il fumetto sfrutta questa sospensione di incredulità da decenni. Poiché la storia di Hitler è la storia di Hitler e nulla è inventato, ma comunque lo sguardo del narratore allarga certi particolari, non posso definire romanzo un libro in cui mi limito a inventare ironicamente solo Fenrir, cioè la postura del cosiddetto invasamento del Male in Hitler, per capovolgerla. Potrei chiamare Hitler un “oggetto narrativo”. E’ certo che non è un romanzo e non ha l’estetica di un romanzo per come il genere del romanzo storico è stato interpretato negli ultimi trent’anni. Sul punto 3: la nozione di “non-persona” è tutt’altro che inindagata, tanto che fuoriesce dalle più che 1.000 pagine della biografia di Fest e ha il suo fondamento filosofico nella Teologia della Shoah. Il non-essere per come è esplicitato nel libro non è un demone: è proprio il non-essere, la corrosione dell’essere e l’annichilimento totale: anzitutto del popolo ebraico. Cosa che a Stalin non venne nemmeno in mente. L’essere è e continua a essere: per questo motivo coloro che subirono lo sterminio raggiungono la massima intensità di essere – il che va ben oltre le categorie etiche di bene e male, e pone la questione su un piano metafisico. Tutto ciò concerne fondamenti filosofici, teologici e storiografici che, se sostanziano Hitler, tuttavia non ne sono elementi poetici. Elemento poetico è invece l’apparentemente sterile nozione di “non-persona” che viene ossessivamente ripetuta nel testo – il che è uno stilema che ha il suo pari nell’insistenza con cui si ripete il verbo “esorbitare”, cioè eccedere l’orbita umana, esserne fuori. Quanto all’indagine sul personaggio, non mi pare incompiuta: mi pare ci sia investigazione, solo non c’è giustificazione, cioè dazione di intensità esplicativa a un momento particolare della vita di Hitler che dia senso al passaggio da un Hitler suppostamente edenico e Hitler sterminatore. Sul punto 4, valgano le risposte date in precedenza: la reiterazione meccanica è mimetica eppure evita l’identificazione con Hitler (può non piacere, ma è la mia proposta letteraria); Fenrir non è Fenrir, è la parodia dell’atteggiamento di chi misticamente tenta di spiegare Hitler, è proprio il suo simmetrico capovolgimento, così come il Ragnarok è invertito nella scena del post-mortem; così dicasi circa l’estetizzazione, che è critica accettabile se l’estetica si pone come criterio valutativo, mentre qui non lo è, qui si tratta di un’immagine e di un’etimologia di ordine metafisico (come già detto, “santo” proviene dalla radice ebraica “separato”). Sul punto 5, non posso rispondere: è l’opinione di Giorgio Fontana sul libro. Per quanto concerne la mia autopercezione, non mi pare di non disporre di un apparato filosofico sufficiente a prendermi una responsabilità costatami parecchio, in termini emotivi e di ricerca interiore. Però ognuno può trarre le conclusioni che avverte come veridiche. Che io “spacci una pastoia come base concettuale” è da vedere: qui mi riservo il diritto autoriale di pretendere che il lettore non sia giudice assoluto e abbia delle responsabilità percettive che possono risultare fallaci – e comunque ciò concerne l’officina teorica, non il libro. Tutto il resto è legittimissima impressione di chi legge e, soltanto per lo sforzo compiuto nell’affrontare il libro e nello scrivere l’intervento che segue, mi sento di ringraziare Giorgio Fontana per l’attenzione e la pazienza spesi.
Giuseppe Genna, Hitler
0. Dopo le precedenti letture di Paolo e di Demetrio, un punto di vista diverso. Dove si pongono alcune domande e dove si presentano parecchie perplessità.
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Il romanzo Hitler al Tg1
Presentato da Gianni Riotta, è andato in onda, domenica nell’edizione notturna del Tg1, il servizio che la bravissima giornalista culturale Gianna Besson ha realizzato sul
romanzo Hitler, insertando alcune mie dichiarazioni e compiendo una perfetta sintesi critica del libro. Sono grato al direttore Riotta e a Gianna Besson, la cui professionalità e capacità di sintesi quasi chirurgica è davvero una consolazione, per la possibilità concessami e per l’attenzione e la cura che hanno dedicato a Hitler.
Qui sotto oppure cliccando sull’immagine a sinistra, il link per downloadare il file video del servizio [1.56M].
• Il servizio del Tg1 su Hitler
Tre pagine sul romanzo Hitler su Mucchio Selvaggio
Devo ringraziare la direzione e lo staff tutto del mitologico mensile Il Mucchio, che mi annovera da tempo tra i suoi affezionati lettori. In questo numero appaiono infatti una splendida recensione al
romanzo Hitler (con motivate perplessità incluse) e uno speciale/intervista di tre pagine. L’intervista è frutto di una lunga telefonata con il critico Alessandro Besselva, che si è sobbarcato in tempi record la lettura del romanzo e mi ha posto domande che considero decisive per l’autore del libro e, spero, siano utili ai lettori interessati. L’intervista di Alessandro Besselva è tra le più belle e complesse che mi siano state fatte in Italia da quando pubblico: a lui rivolgo complimenti e ringraziamenti, perché non so come sia riuscito a estrarre un pezzo tanto preciso e stilisticamente bello da un flusso logorroico telefonico come quello che ho emanato.
Purtroppo non dispongo della versione digitale della recensione del Mucchio. Qui sotto, la versione pdf delle tre paginate di intervista.
Autori – Giuseppe Genna
Opera dalla monumentalità quasi metafisica e di grando impeto morale, di difficile classificazione e a lungo meditata, Hitler (Mondadori) di Giuseppe Genna cerca di disgregare il mito del dittatore nazista attraverso una grande fede nel potere della letteratura. Operazione ambiziosa e riuscita che indaghiamo attraverso le parole dell’autore
di ALESSANDRO BESSELVA AVERAME
• Le tre pagine del Mucchio
Recensione e intervista sul romanzo Hitler sulla Gazzetta del Sud
E’ per me un onore che uno dei più importanti quotidiani del Sud, la Gazzetta del Sud, abbia deciso di dedicare uno spazio tanto esteso a considerazioni e domande al sottoscritto a proposito del
romanzo Hitler. Come già detto, è fondamentale che la militanza culturale, soprattutto da parte degli autori, per quanto possibile, includa ed esalti il Sud del Paese, laddove le rilevazioni delle classifiche di lettura sono piuttosto incerte, mentre la fame di cultura, e di letteratura, è altissima, da come si desume se solo si osserva la quantità di eventi culturali organizzati a ciclo continuo in ogni regione. In questo caso desidero ringraziare Antonio Prestifilippo, che ha scritto giudizi lusinghieri e mi ha posto domande (anche sul futuro della mia scrittura, sui rapporti con gli altri scrittori, sull’effetto che mi fanno le critiche) a cui è stata una gioia rispondere, instaurando un dialogo che, almeno per quanto mi riguarda, è l’elemento essenziale che deve irradiare dal libro.
Non disponendo del file pdf, risproduco pezzo e intervista di Antonio Prestifilippo in html, qui di seguito.
Parla Giuseppe Genna, il giovane scrittore che si è cimentato in un’opera ciclopica eppure straordinaria
Hitler, il “non romanzo”
«Avevo un’urgenza sociale e poi c’era un vuoto scandaloso nella letteratura»
di ANTONIO PRESTIFILIPPO
Giuseppe Genna è un giovane scrittore. C’è chi lo ha definito l’ex ragazzo prodigio della letteratura italiana. Ex, non nel senso che egli non abbia più le carte in regola per costituire comunque un esempio nel panorama della narrativa contemporanea, ma per la circostanza che si avvia a diventare un quarantenne. E quindi, un uomo.
Ora, questo quasi quarantenne ha scritto un romanzo che ha disorientato più di un frequentatore di premi letterari e di salottini esclusivi che non ha potuto ignorarlo (soprattutto per la casa editrice che gli ha stampato il lavoro e che è la signora Mondadori) e che allora lo ha affrontato tentando spesso di banalizzare e ridicolizzare le sue 600 e passa pagine dedicate a Hitler. Lui, Genna, un po’ se ne è infischiato e un po’ s’è arrabbiato per qualche veleno di troppo (i cosiddetti critici spesso invidiano gli scrittori) sparso qua e là tra una recensione e l’altra.
Romanzare la vita di Adolf Hitler come ha fatto Genna (Mondadori, pagg. 623, euro 20,00) dev’essere stata, al di là del risultato, obiettivamente un’opera ciclopica, anche perché in queste pagine non c’è un solo fatto inventato. Allora sapete che significa compiere un’operazione del genere? Prendere la storia di un uomo (anzi «un non-uomo, una persona vuota, dentro una bolla vuota»), studiarla tutta senza tralasciare una fonte, un documento, una memoria, appena una traccia e quindi smontarla, rimontarla e darle forma di romanzo, dilatando e sceneggiando anche i momenti, dalla culla della sua nascita al bunker della morte, che apparentemente sembrano insignificanti. Una cosetta da nulla…
Avvertenza: l’ex ragazzo prodigio, oltre a Hitler, ha undici altri libri alle spalle e un paio in gestazione.
Genna, cominciamo da questo librone di oltre seicento pagine. Come le è venuto in mente di romanzare la vita di Hitler?
«Era un vuoto scandaloso nella letteratura mondiale. E un’urgenza sociale che avvertivo con particolare intensità. Hitler è la terza parola più ricercata su Google, è parte integrante dell’immaginario collettivo. L’obbiettivo diventava dunque disgregare questa mitologia, che si autoalimenta e garantisce una vittoria postuma a Hitler. La letteratura non poteva abdicare, mentre il cinema e le altre arti si sono impegnati in quest’opera di demistificazione. C’era quindi da raccontare: romanzare qui non significa inventare, significa dare vita sulla pagina a eventi reali, cosa che la storiografia non può fare».
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CoolClub recensisce il romanzo Hitler
CoolClub è non soltanto un portale di musica, spettacolo, letteratura ed eventi culturali – è anche un coraggioso free-press distribuito in Puglia, con vasta diffusione e uno staff di collaboratori di eccellenza (tra le firme annoverate in questa straordinaria iniziativa, giornalisti da Radio Capital, L’Unità, Il Manifesto, Radio Popolare, La Gazzetta del Mezzogiorno, QuiSalento, Repubblica Radio, Left). Stefania Ricchiuto ha dedicato al
romanzo Hitler una recensione su cui vorrei appuntare l’attenzione: le conclusioni etiche che trae dalla “cosa” per cui il romanzo è stato scritto sono esattamente l’esito ricercato – è cioè il politico che irradia da un problema. L’esito letterario del libro è secondario, mentre è fondamentale il discorso sul revisionismo e sulla rappresentazione del Male come annichilimento che Stefania Ricchiuto mette in incipit del suo pezzo.
Ringrazio la direzione, lo staff e l’autrice della recensione di CoolClub. Annunciando che, a fronte della vergognosa assenza di attenzione allo sviluppo culturale del Sud, ho deciso che Hitler verrà presentato anzitutto in Puglia, in segno di militanza culturale e, dunque, politica.
Genna: Hitler
di STEFANIA RICCHIUTO
Difficile scrivere di inumanità. Soprattutto quando la si spaccia per disumanità, quindi per una forma distorta di umanità. Soprattutto quando la traduzione di essa rischia di costruire e alimentare un fraintendimento subdolo e pericoloso: che tutto filtri attraverso il tentativo di ridimensionare l’orrore di quanto è stato. Soprattutto quando il risultato temibile è già avvenuto, attraverso la pratica imprudente di certo revisionismo. Esempio. Le diverse interpretazioni del nazismo, e delle persecuzioni messe in atto da questo potere, hanno voluto attingere suggestioni affascinanti dalla materia esoterica in special modo, come dalle trattazioni infinite sui meccanismi di formazione della massa sociale, nonché dalle indagini di certi storici, attenti più a registrare il perché – invece di abbracciare il come – di un progetto malato. L’effetto ha visto ridefinire gli stereotipi negativi legati al regime hitleriano, e allargare la via a un immaginario nazista, abbondante e ridondante di miti. Questi hanno sottolineato l’identità collettiva e la sua responsabilità, minimizzando, quasi oscurando, il totem-feticcio principale della scena immane, e paradossalmente nutrendo, in maniera rischiosa e azzardata, il “fascino del persecutore”. Per conseguenza, oggi gestiamo un’indignazione fintamente feroce, che in realtà ha pacificato le coscienze di tutti; muoviamo l’edificazione di una cultura, che in quanto tale è ora legittimata a esistere e a sopravvivere; suggelliamo la condanna della Storia a serbarsi costantemente fallace, allevando i corsi e ricorsi di se stessa nel terreno fertile della finzione pseudo-documentata. Ciò che ha abitato molta sociologia e altrettanta storiografia, ha animato anche certa letteratura, facendo il gioco di un orrore in forma di uomo, e della sua rappresentabilità equivoca quanto ormai giustificata. Per tutto quanto, difficile – iniziavo – scrivere di inumanità. Non per Genna, però, che scaglia la sua ultima opera contro la resistenza scandalosa di una figura mitizzata con indecenza. In un contesto temporale giusto, l’autore milanese, non ancora quarantenne, ci rende dieci anni di attraversamento metafisico di Hitler, e pubblica un resoconto totale e puntuale sull’impersonalità dell’atroce sterminatore.
Wu Ming 1 su “l’Unità”: sul romanzo Hitler
Sono onorato di riprodurre ciò che è accaduto sulle pagine culturali de l’Unità domenica: un’intera pagina di riflessioni teoriche acutissime a firma Wu Ming 1. Sono amico di Wu Ming 1. Non basta: Wu Ming 1 è un collega scrittore. Soprattutto questo secondo dato è significativo. Nelle recensioni di cui è autore, soprattutto quelle che concernono i libri di conoscenti, WM1 non è tenero mai: è obbiettivo e forse più severo del dovuto, perché giustamente pretende livelli che riconosce a interlocutori che operano sul suo stesso piano, che è duplice – letterario e teorico. Anche in questo che, più che una recensione, è il più attento e denso saggio che sia mai stato scritto su qualcosa di mio, WM1 esprime alcune riserve. Ma è indubitabile che si tratta di un lavoro di intuizione e acribia senza pari, almeno per ciò che riguarda la mia produzione. In tutta la mia carriera di scrittore soltanto Valerio Evangelisti (a proposito di Ishmael) si era spinto così in profondità nell’osservare, a proposito dell’esito letterario, pregi e difetti, non secondo una prospettiva personale e impressionistica, ma motivando attraverso la teoria della letteratura ciò che veniva enunciato. Così Wu Ming 1 intercetta non soltanto le intenzionalità dell’autore, senza appoggiarsi minimamente ad alcuno dei materiali dell’officina teorica dedicata al
romanzo Hitler, ma si sprofonda nella lingua, che è anche struttura, tentativi di retorica, impiego particolare dell’allegoria e destrutturazione di una mitopoiesi, aggiungendo osservazioni decisive sul piano poetico, politico e della realizzazione dell’immaginario. Le sue formule dubitative contribuiscono ad aumentare la coscienza dell’autore, poiché sono motivate. Nulla è dato per scontato: l’incipit dell’intervento, che sembra apparentemente pop e leggero, è una perfetta descrizione di cosa io intenda per “mito” quando ne assalto l’essenza incarnata oggi dall’icona metafisica di Hitler. Dicevo che è significativo che uno scrittore vada a esercitare una critica tanto ricca di riferimenti teorici e pregna di esattezza dal punto di vista fenomenologico, e intendo perfino nei momenti in cui tale critica mette in luce le mancanze del romanzo: sta accadendo che alcuni scrittori sono ormai i critici contemporanei più affidabili e acuti, capaci cioè di eviscerare cosa sia la complessità della letteratura, e questo a vantaggio degli autori stessi e soprattutto dei lettori. Si tratta di un passaggio storico decisivo: fossi un critico di professione, smetterei di cercare sedie a cui incollarmi e mi metterei a studiare. Vorrei controintervenire (e lo farò) per delucidare ancora meglio alcune nozioni messe in campo da Wu Ming 1 – sapendo però, che non è certa una risposta dal membro del collettivo bolognese, che, oltre a provenire da un anno in cui Wu Ming ha imposto un autentico tsunami editoriale anche in termini di catalogo, tutto il gruppo è alle prese con il massacrante tour (nazionale e internazionale) relativo al prolungatissimo lancio di Manituana.
Non mi resta che ringraziare Wu Ming 1 per la lezione di visuale, già impartita nel caso di quel microsaggio che è stata la recensione a Littell, e, del pari, ringraziare i responsabili delle pagine culturali l’Unità per l’attenzione dedicata al mio libro.
• La pagina integrale de l’Unità col saggio di Wu Ming 1
Il nuovo romanzo di Giuseppe Genna è l’unico testo in cui un autore auspica che il proprio personaggio, in questo caso Hitler, si tolga di mezzo. Un libro che sogna l’impossibile: non essere mai stato scritto, né immaginato
«Spàrati, Adolf
Spàrati adesso»
di WU MING 1
“Non riesco ad ascoltare Wagner tanto a lungo. Dopo un po’ mi viene voglia di invadere la Polonia”. E’ una celebre battuta di Woody Allen, densa e folgorante. L’allusione è chiara: la musica di Richard Wagner – colonna sonora prediletta dei crimini nazisti – è stata per molto tempo proibita in Israele. Nel 2001 il pianista e direttore d’orchestra Daniel Barenboim ruppe il tabù e le reazioni furono violente, si discusse a lungo, si riaprì il dibattito su “Wagner precursore del Terzo Reich”. Intervennero intellettuali prestigiosi, Edward Said difese la scelta di Barenboim e scrisse che la musica di Wagner (“ricca e straordinariamente complessa”) andrebbe in parte separata dal suo compositore (“personaggio oggettivamente ripugnante”). Vecchio e irrisolvibile dilemma, il rapporto tra autore e opera.
Oggi possiamo apprezzare un’ouverture di Wagner senza patemi d’animo, ma nel mondo tedesco fin-de-siècle le sue opere, miscelate ad altri reagenti, ebbero un effetto politico e mitopoietico, contribuirono ad alterare la chimica della mente sociale.
Lo stesso Adolf Hitler, com’è noto, era un grandissimo fan di Wagner. A conquistarlo era la titanica teatralità di Wagner. Si esaltava per la rappresentazione maestosa, andava in trance per la grande e percussiva messa in scena. Wagner calza scarpe chiodate, parte alla carica, ti assalta e frastorna finché non ti domina totalmente. Francis Ford Coppola si riferiva a questo quando, in Apocalypse Now, mostrò gli elicotteri USA calare sui villaggi vietnamiti al suono della Cavalcata delle Walkirie.
Nel suo ultimo libro, intitolato Hitler (Mondadori, pp. 624, € 20), Giuseppe Genna sfrutta quell’impeto per avviare la narrazione della vita del Führer. Dopo un classico inizio ab ovo (dal concepimento del protagonista) e un po’ di preludio familiare, vita e carriera di Hitler partono con la scoperta di Wagner, nel mezzo di un’adolescenza vissuta “da cretino” sullo sfondo dell’intorpidita provincia austriaca. “Wagner è un genio, l’uomo più grande che la stirpe tedesca abbia mai partorito!” dice Adolf al piccolo Kubizek, suo unico amico. “Abbiamo incontrato l’opera di un eroe, di un gigante, di un uomo che ha una visione! Tutto è una visione e sta a noi realizzarla! Tutto ha inizio in questo momento!”.
La catastrofe europea del periodo ’39-’45 fu il risultato di una lunga percolazione di sostanze tossiche nelle falde della cultura. Fior di storici, sociologi e filosofi hanno ricostruito i processi che formarono ideologia e immaginario del nazismo, risalendo le genealogie, mappando le ascendenze, ingrandendo ogni dettaglio del grande quadro. Alcune scoperte sorprendono, come l’influenza – indagata da George L. Mosse – dei film d’alpinismo durante Weimar. In quelle pellicole si distinse come attrice Leni Riefenstahl, in seguito regista e grande apologeta del regime.
Eppure non ha torto Claude Lanzmann quando, in una delle frasi riportate da Genna in exergo, dice che queste sono “semplici condizioni. Se anche sono necessarie, non sono sufficienti. Un bel giorno si deve cominciare a uccidere, cominciare a sterminare in massa. Io dico che c’è uno iato tra queste spiegazioni e il massacro”.
In questo iato si muove Hitler. Dopo il piccolo orrore della borghesia italiana dei nostri giorni (L’anno luce, 2005), dopo lo sguardo all’indietro sulle miserie degli anni Ottanta (Dies irae, 2006), dopo l’elegia medianico-stalinista per il padre morto da poco (Medium, 2007), in questo libro Genna si confronta con il grande orrore, l’orrore per antonomasia, di quando l’Europa divenne, per usare un’immagine trovata nel libro, “un immenso occhio che serra la sua palpebra, stritolando carne ossa membrane ricordi”.
Carne, ossa, membrane. Leggendo Hitler mi figuravo una lezione di chirurgia in un teatro anatomico, sezionamento di cadavere di fronte a un pubblico, a scopo didattico o di ricerca. L’autore lavora di sega vibrante, scalpello, encefalotomo, e intanto commenta ogni mossa, ogni fase, illustra i risultati.
E’ l’improba autopsia morale di Adolf Hitler, condotta dopo sei decenni su un corpo ormai ridotto a evanescenza. Oggi più che mai, Hitler sfugge alla comprensione. Sfugge, benché sia l’uomo del Novecento più discusso e analizzato. Sfugge, a dispetto di inchieste, biografie monumentali e perizie psichiatriche postume. Hitler è “non-persona”, simulacro, nebulosa di immagini e parole, icona per fantasticherie d’ogni ordine e grado.
A pag.133, Genna si rivolge direttamente al suo personaggio e lo invita a suicidarsi: “Spàrati, Adolf. Fallo”. E’ l’unico romanzo il cui autore, a nemmeno un quinto del percorso, si auspica che il protagonista si tolga di mezzo, scompaia, e con lui tutto ciò che gli sta intorno. Il libro sogna l’impossibile: la propria estinzione, non essere mai nato, non essere mai stato scritto e nemmeno immaginato. Con quest’artificio retorico Genna rimarca che Hitler non è il “suo” personaggio. Non c’è alcun tentativo di immedesimazione, nemmeno una frazione di secondo di empatia. L’autore mantiene distacco e straniamento, lotta per rimanere ancorato all’adesso e al senno di poi, e per questo adotta alcune strategie: usa parole che sono platealmente di oggi (“surfing”, “supermarket”, “beauty farm”); esprime netti giudizi di valore senza mimetizzarli nella narrazione (“Ed è un cretino. Uno zero assoluto che crede di avere una visione”); interrompe più volte il flusso delle storie per rivolgersi ai lettori (“Abituatevi a questo destino: a ogni crisi, il corso dei giorni riporta a galla Adolf Hitler”) e ricorre con frequenza alla prosopopea, interpellando enti astratti o inanimati (“Canto. Visione. Unitevi nel dolore che si annuncia, che si perpetra”).
A un certo punto, Genna arriva a celebrare la propria vittoria personale (non soltanto storica e simbolica) contro Joseph Goebbels, soprannominato “la scimmia”. Lo scrittore ci mostra i roghi di libri “infetti” organizzati dal ministro della propaganda, poi infligge la stoccata: “Io [descrivo Goebbels] in questo libro. Questo libro esiste, la scimmia no”. Il romanzo che sognava di non esistere esiste e si dichiara vincitore.
Una caratteristica di Hitler che pochi noteranno è la continuità col ciclo narrativo di un altro romanziere, Valerio Evangelisti. Il mondo di Hitler è lo stesso di Metallo urlante, Black Flag e Antracite, un mondo di licantropi e metallo senziente, che Evangelisti usa come metafore – rispettivamente – della borghesia e del capitale. Lupi mitologici e uomini-lupo affollano le pagine del libro di Genna. L’artiglieria tedesca è “metallo che chiede sangue e desidera da sé marciare sui territori che a quel metallo spettano”. Hitler è “l’uomo che ha dato l’anima al metallo, che al metallo ha inoculato il desiderio: di divorare, di bere sangue”. Alla firma del Patto Molotov-Ribbentropp, constata l’autore, “il lupo si è fuso con l’acciaio”.
Hitler, come tutte le opere di Genna, è un libro di eccessi. A tratti eccede nell’acribia documentale (avrei evitato gli stralci del diario di Rommel) e a volte indulge in riferimenti oscuri ai più, in una sorta di caccia al tesoro per iniziati. A pagina 310, l’autore camuffa nel testo versi da “The Waste Land” di Eliot; più avanti infila un omaggio alla canzone “Stalingrado” degli Stormy Six, dall’album Un biglietto del tram (1975), interamente dedicato alla Resistenza; in apparenza non c’è relazione, e invece l’omaggio retroagisce sull’utilizzo di Eliot. Tra i brani di quell’album, infatti, c’è anche La sepoltura dei morti, che fin dal titolo riprende “The Waste Land” e contiene i versi: “Quel corpo che tiene sepolto in giardino / di fiori ne dà o non ne dà? / Tenga lontano il suo cagnolino: / se scava lo ritroverà”. Se scava lo ritroverà. Pochi capitoli dopo, un soldato tedesco in ritirata inciampa e spezza un braccio nudo che spunta dalla neve, trovando una fossa comune.
Di questo libro non si può dire che sia discontinuo, anzi, è di una coerenza marziale, la prosa porta avanti un proposito granitico. La tesi – Hitler come personaggio del tutto vacuo – è svolta in modo inesorabile, e in fondo è questo il vero limite del romanzo: in nome della coerenza, Genna è costretto ad alternare capitoli formidabili ad altri di puro transito, di mera giuntura tra momenti-chiave. Poco male, se dopo i transiti ci attendono capitoli commoventi come quello dedicato a Van Der Lubbe (plagiato esecutore dell’incendio del Reichstag), squassanti come quello del bombardamento di Coventry, elettrizzanti come quello della controffensiva “siberiana” che allontana i tedeschi da Mosca. Genna, poi, è prodigo di immagini e scene memorabili: i fiori lanciati dagli abitanti della Saar in festa si seccano in volo prima di raggiungere i militi di Hitler. I paracadutisti appaiono come spermatozoi che cadono dall’alto. La Siberia è una regina di termitaio che copula con Stalin e depone le uova dei soldati che sconfiggeranno il Führer.
In mezzo a un tale frastuono, inattesa, si isola e si svolge una scena-madre di quiete e silenzio. Hitler, a Parigi, tocca il sarcofago di Napoleone e non capisce, è sordo al monito della storia. Non capisce, e attaccherà la Russia. Sarà l’inizio della fine, ma quella fine dura ancora, il pericolo non è scampato, quel ventre è ancora fecondo, è sempre fecondo, e anche libri come Hitler contribuiscono a ricordarcelo. Da leggere, e da capire.
Nucleo metafisico del romanzo Hitler
La metafisica non è la religione. La metafisica è pratica coscienziale, cioè individuale e intima. Essa predispone alla realizzazione interiore individuale di ciò che è stabile a fronte dell’identificazione attuale nel divenire. Questo divenire in cui siamo immersi si presenta come essere a bassa intensità: il divenire è, ma è percepito diverso dall’essere. Questa percezione è tale, è diversa dalla percezione dell’essere: è allucinatoria. Ciò non significa che non sia reale – è reale nella prospettiva della percezione. Il divenire è transeunte: ciò esige che si abbia percezione di qualcosa che non è transeunte. Che cosa nella vita è stabile, non transeunte? Non c’è risposta mentale o linguistica a questa domanda: c’è la domanda da porsi.
Quanto qui detto si lega alla desunzione dell’oltrepassamento dell’essere cristallizzato che Emmanuel Lévinas dichiara non solo nei suoi scritti, ma esplicitamente nell’intervista qui pubblicata. E’ il legame con il Talmud a permettere una simile concezione – tutta da realizzare, e non intellettualmente – di qualcosa che preceda l’idea dell’essere? Questa considerazione ha a che fare con il romanzo Hitler: laddove, partendo dalla nozione di “non-persona” formulata da Joachim Fest, giungo narrativamente a fare muovere nell’apparenza il non-essere, a definire Hitler come sagoma terminale del non-essere che l’occidente ha fatto penetrare nell’essere. Ci sarebbe da chiedersi perché, storicamente, Hitler appaia in occidente e non in oriente. A nulla varrebbe la spiegazione storicistica che solo in occidente ciò che ha compiuto Hitler era tecnicamente possibile. Non varrebbe a nulla perché la tesi da cui si parte è proprio che l’occidente stesso è Hitler, senza che che a Hitler sia sottratto un grammo di responsabilità: l’occidente che non ha compreso il Libro, che non lo ha praticato metafisicamente, che ha separato la realizzazione della domanda priva di risposta dall’umano. E’ una denuncia che, dalle parole di Lévinas andrebbe esplicitata ed estesa. E che è in armonia con quanto i rishi orientali dichiarano circa il fenomeno detto “Maya”: gli occidentali pensano che si alluda a un’illusione, al mondo come illusione. Mentre non è così: si sta dicendo che l’identificazione con la percezione porta ad assolutizzare qualcosa che è relativo, ed è proprio in questo modo che nell’essere penetra il non-essere e corrode l’essere stesso. E’ ciò che, se si studia la vita di Hitler (letteralmente da idiota, tranne che in un decennio: non c’è la banalità del male, quanto a Hitler stesso, ma l’idiozia del male), ci si accorge che viene compiuto.
Si consideri perciò la seguente meditazione orientale, che corrisponde alla meditazione talmudica – è ciò che ha permesso al volto di Hitler di mostrarsi e di tentare di autoperpetrarsi al di là della morte fisica, in ciò che rimane dopo la sua opera di dissoluzione, e a cui bisogna opporsi per non garantire la vittoria postuma a Hitler medesimo (che corrisponde al noto comandamento di Fackenheim):
“I quattro elementi sottili della consapevolezza, cioè Manas (la mente), Buddhi (l’intelletto), Chittha (la volontà) e Ahamkara (il senso dell'”io”) sono tutti Maya (movimento conformato, a cui si aderisce percettivamente). Che cos’è Maya? Maa (non) ya (esiste). Ciò che non esiste ma appare esistente è Maya; essa fa sembrare reale l’irreale ed il reale irreale. Un altro suo nome è Ajnana (ignoranza), che è ciò che nasconde la realtà, fa considerare esistente il non esistente, fa apparire vero il falso. Se vi muovete verso la luce, la vostra ombra cade dietro di voi ma, quando ve ne allontanate, dovete seguire la vostra stessa ombra. Andate in ogni istante un passo più vicini alla luce e quindi Maya, l’ombra, cadrà dietro di voi e non vi ingannerà.”
Avvicinamenti al romanzo: le bozze
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Sono arrivate le bozze del nuovo libro, il
romanzo, la cui uscita in libreria è prevista da Mondadori per il 15 gennaio 2008. Al momento torreggia sul mio tavolo di lavoro un blocco che ammonta a 588 pagine. La correzione è abbastanza impegnativa e, sicuramente, è la più complessa tra tutte quelle che finora ho affrontato. Già da ora vorrei ringraziare le persone che si stanno facendo in quattro per la lavorazione, i cui nomi appariranno sulla pagina finale, quella delle note e dei ringraziamenti.
Quando titolo e copertina saranno definitivi, ne darò comunicazione qui, mostrando, infine, il soggetto del romanzo, ormai intuibile a molti, ad altri ancora non chiaro – verrà svelata l’identità delle Non-Persona di cui ho discusso nella costruzione dell’officina che ha accompagnato la stesura del romanzo.
Nei prossimi giorni, comunque, nonostante la carenza di tempo imposta da un lavoro quotidiano assai pesante, continuerò nella serie di “avvicinamenti” che ho iniziato a pubblicare da qualche giorno.
Una buona giornata a tutti i Miserabili Lettori! gg