La possibilità di un’epica. AUTET intervista il Miserabile

ico-addiogenna.jpg[I geniali iperfilosofi di AUTET, che quanto prima finiranno tra i link amici e che consiglio di visitare e carotare in ogni loro post, mi hanno proposto un’intervista, tra le più belle che mi siano state fatte. L’hanno pubblicata su AUTET e io la riprendo qui, col loro permesso. gg]

E' uscito di recente un romanzo italiano, L'anno luce, che Giuseppe Genna, l'autore, non esita a definire un non-romanzo. Abitando questo paradosso, Autet lo ha intervistato. Ne è nata una conversazione delirante a sei mani. Preziosa quantomai e di estremo, crediamo, interesse psicanalitico. Confidiamo possa dare i suoi frutti migliori a chi la leggerà. Quindi, leggetela. E lasciatevi trascinare, verso la possibilità di un'Epica. 
Si ringraziano sentitamente per la partecipazione, in ordine sparso: la questione omerica, Evangelisti e  Joseph Ratzinger; la cagnetta Laika e Il dramma barocco tedesco; il motore a scoppio e Gigi Rizzi; Marsilio Ficino, Houellebecq, Blanchot e Michael Douglas.

PARTE PRIMA: "L'anno luce"

L'anno luce  presenta al suo interno continue sospensioni e "interruzioni", dando spazio a lunghe digressioni e a libere associazioni che sembrano inceppare il ritmo narrativo. Utilizzando una metafora automobilistica, che rimanda a qualcosa che non c'è più ma che si dà in una presenza astorica e inattuale, potremmo definirlo un "libro a scoppio"?

La retorica della digressione è una cifra tipica del genere epico. In una personale impossibilità, per tempi e modi di stesura, di questo romanzo/antiromanzo, desideravo comunque che si comprendesse che il mio orizzonte personale di scrittura è l'epica. Un'epica contemporanea sarebbe quasi un paradosso, se non costituisse una porzione di presente avanzato in cui credo fermamente. Non a caso, pubblicamente, ho sempre ringraziato (oltre che il cielo, che ha dato all'Italia questi scrittori) l'opera infaticabile di Evangelisti, Wu Ming, Pincio, Mancassola e ora Colombati e Domanin, che a mio avviso sono da porsi comunque su un piano epico contemporaneo, quello di una mitopoiesi dell'oggi che sfrutta, per l'appunto, retoriche che vanno dalla digressione a un tipo particolare di allegoria, rispetto al quale va richiamato – a mio stretto parere – certo Benjamin del Dramma barocco tedesco.

Perché L'anno luce resiste al diffuso privilegiare esclusivamente la trama a scapito delle immagini mentali e delle libere associazioni (si pensi al proliferare odierno di noir di "facili consumi")?

Perché questa è, oltre che la vibrazione di fondo, l'intenzione stessa che costruisce l'opera. Questo non è un romanzo e non è un metaromanzo: è una narrazione, possibilmente aperta, contro un'ideologia della fiction intesa o come mimesi 1:1 del mondo, o come antimimesi illeggibile di matrice ispirazionista e quindi in qualche modo residualmente orfica. L'idea è quella di scardinare l'equazione che regge la finzione e la struttura unica che sembra dominare la finzione (incipit, suspence o attesa che ritmicamente ascende fino a un apice o a differenti vertici, eventuale rovesciamento, conclusione), ma di stracciare anche il "tutto pieno" della scrittura che si autopretende visionaria tout court. Questo è un libro che tenta di denunciare la mente che si ritiene autrice unica di letteratura, sia nella sua componente razionante sia in quella inconscia e delirante: di qui, la vibrazione di fondo che è gelida, disturbante.

Le interruzioni continue al ritmo narrativo che introduci aprono digressioni, excursus che quasi sempre riguardano microstorie minimali (la cagnetta Laika, la Saint Tropez di Gigi Rizzi, i riferimenti a Wall street di Oliver Stone, fino al delirio mistico finale del nuovo Papa). Queste storie ci sembrano a loro volta "inattuali", secondarie, poco battute, eppure estremamente fertili, quasi visionarie, e tu le hai riportate alla luce. Ti prefiggi qualcosa? E' la nascita di un nuovo canone narrativo?
 Non ho in mente canoni narrativi, ma pratiche narrative sì. Io mi schiero contro una letteratura mimetica e contro una letteratura del delirio visionario gigantografico. Per me sono fondamentali due elementi: l'intercettazione di storie collettive da parte dello scrittore e la vibrazione di fondo (che non coincide necessariamente con il ritmo) dell'opera letteraria. Le storie che io vado a disseppellire sono, per stare nella metafora lanciata dai Wu Ming, asce di guerra: provano a essere momenti centrali che entrano in cortocircuito col presente e innescano processi non algoritmici di allegorie destinate a culminare in uno spazio di pura ambiguità che, per me, è lo spazio letterario nella sua sostanza quintessenziale.

Ti hanno paragonato a Houellebecq, un altro scrittore totalmente inattuale, pur nella sua incomprensibile attualità (probabilmente, come dice Colombati di Pynchon, viene apprezzato per i motivi sbagliati). A parte quest'ultimo aspetto, che indubbiamente vi accomuna, secondo te perché questo paragone?

Perché ho deciso io di inserire appositamente a sproposito il nome di Houellebecq nella quarta di copertina e, quindi, certe recensioni ne hanno desunto una possibile verità critica. Questo libro non c'entra nulla con Houellebecq, se non per il fatto che parla anche di gente che ha un impiego in un contesto metropolitano. Tuttavia, senza volere accostarmi per paragoni a questo autore, che considero uno dei massimi viventi, sottolineo come nel suo ultimo romanzo, per me un capolavoro, cioè La possibilità di un'isola, la fantascienza polverosa e stanca che Houellebecq utilizza è una forma di digressione epica contemporanea, mentre trovo affinità assoluta rispetto al momento in cui Daniel l'umano entra nell'installazione "coscienziale" costruita dal figlio del fondatore degli Elohimiti. Ecco, in quel punto, credo che l'obbiettivo dei due libri sia il medesimo, nell'ovvia sproporzione qualitativa della scrittura, che è tutta a vantaggio del grandissimo scrittore francese.

Cos'è un autore, secondo te?

Un intercettatore che canalizza in forme, ritmi, strutture, nomi, accenti, storie.

Quali autori (o opere) hanno segnato il tuo percorso intellettuale?

Senza dubbio gli americani contemporanei, da DeLillo a Pynchon a Roth a Bellow. Hugo, scoperto tardi, è la stella polare personale. Tutto Kafka. Pasolini e Fortini, sulla scorta di Gramsci. Lo Heidegger post-Kehre. Blanchot. Guénon e quindi tutte le Scritture, soprattutto Plotino, Ficino e i canoni estremorientali. La tradizione poetica italiana. Eliot, Celan e Wallace Stevens. Melville e Lovecraft. Giordano Bruno, Warburg e i warburghiani. Tutto ciò, a partire dal primo libro che ho letto, piccolissimo, che fu il Papillon di Charrier.

Si può immaginare una cultura dove i discorsi circolerebbero e sarebbero ricevuti senza che la funzione-autore apparisse mai: come si dà la nostra contemporaneità nei confronti di questa affermazione di Michel Foucault?

Per come la vedo io, la nostra società invera tragicamente, in un rovesciamento polare, questa speranza di Foucault. La situazione, tuttavia, mi pare molto in movimento, e in Italia in particolare, non tanto sul versante poetico, quanto su quello narrativo. Stiamo slittando verso una forma ibrida di tradizione poetico-prosastica. E' ciò che, perlomeno, desumo io dal mio presente.

PARTE SECONDA: La critica letteraria oggi.

Lavagetto parla di "Eutanasia della critica", constatando il suo triste declino fino alla pressoché  totale scomparsa oggi, soprattutto in Italia, e lancia l'allarme. Sei d'accordo?

Il libro di Lavagetto è una summa di verità incontestabili e una fenomenologia precisa dell'oggi. Io non sono preoccupato affatto dell'assenza della critica. Sarei preoccupato se le opere, i testi, non dialogassero tra loro: il che è il contrario di quanto accade. A mio parere, l'ultimo romanzo di Nori, I quattro cani di Pavlov, dialoga con Fiction di Mozzi, mentre personalmente io mi sento in continuo dialogo, tra gli altri, con Evangelisti e Pincio, e soprattutto con Domanin. Se poi arriva un esterno e indaga su questi dialoghi, ecco un'opera critica. Che ciò accada o meno è secondario. La critica, per come la si intende oggi, è un'invenzione della modernità, che Baudelaire, nei suoi Salon, desume da Diderot. Mi chiedo chi facesse critica letteraria su Sopra lo Amore di Ficino ai suoi tempi.

Che ruolo deve avere oggi, secondo te, il critico letterario (ruolo che di fatto tu
svolgi da diverso tempo su internet)?

Non ho mai svolto tale ruolo su Internet, né altrove. Finché ho scritto su Web di libri, ho agito su un piano sociologico in Società delle Menti su Clarence, nel tentativo di scuotere un ambiente fossilizzato, mentre sui Miserabili mi sono dato a delirare proiezioni personali su testi altrui, soprattutto con un intento pedagogico e pubblicitario: desideravo che certi libri che mi erano piaciuti venissero condivisi e sottolineavo, con cripticità a volte snervante, i motivi da retrobottega di scrittore per cui tali libri mi sembravano importanti. Per me la critica è inesistente. O è l'intero Zibaldone o non è: questa è la mia posizione.

Secondo te che sbocco futuro può avere la saggistica nel mercato letterario? E su internet?

La saggistica attualmente straccia nei numeri di vendita la narrativa, anche quella popolare. C'è uno slittamento dei numeri di vendita medi di un romanzo verso quelli di un libro di poesia. Se si fosse a conoscenza dei reali dati di vendita dei titoli di narrativa, e italiana e straniera, una bolla si sgonfierebbe. Va detto che trattasi di una bolla di convenienza non economica, ma immoralmente estetica e narcisistica. Il mercato editoriale è un business ridicolo. E' ora che gli autori si informino circa i reali dati di vendita dei loro titoli e li comunichino ai lettori, magari in Rete. Quanto alla saggistica, vedo un nitido peggioramento qualitativo. Propedeutica eccezionale come quella de L'universo elegante di Greene, pubblicato da Einaudi, viene travolta dalla considerazione che Vespa trionfa nella classifica della saggistica. Tutto ciò non appare drammatico agli occhi dei critici perché il saggio sembra distanziarsi dall'orfismo dell'arte letteraria, il che denuncia un pregiudizio non dichiarato di cui cadono vittima gli stessi critici.

Rispetto, ad esempio, alla stagione del Nouveau Roman di Robbe Grillet o ad autori come Bataille o Blanchot, per cui l'atto stesso di scrivere era una critica delle categorie di opera, autore, letteratura, soggetto, è possibile oggi una trasgressione del testo"fuori" da sé, ovverosia verso un evento di scrittura nuovo e capace di negare quelle stesse categorie?

Bisogna tentare quest'operazione, ma agendo in termini di prassi, cioè di scrittura di storie. Ne sono convintissimo. Sogno esattamente questo, da anni. La Rete, in ciò, è stata e sarà utilissima. Bisogna darsi tutti da fare per costituire scritture collettive anonime che inverino l'essenza stessa del gesto letterario epico, che è l'unico gesto che cancella le distinzioni di genere e gli statuti soggettivi, oltreché il sospetto critico. Chi scrisse la saga di Gilgamesh? Chi è autore della Bibbia? Chi è Omero? Dov'è Socrate?

E' ancora possibile una critica della scrittura?

E' possibile una critica dalla scrittura, secondo me. Il resto è grasso che non so nemmeno se cola.

FINALE:

Da I MiserabiliGenna Centraal Station: cosa cambia, cosa resta?

Non appariranno più recensioni, che pubblicherò esclusivamente su Carmilla o su siti che mi ospiteranno. Sulla Centraal Station (tengo molto alla dizione olandese della sigla) ne segnalerò l'uscita. In quel sito pubblicizzerò i miei testi, accostandovi interventi personali in forma di meditazione del tutto idiosincratica e, quindi, credo, di poco interesse per i lettori: da un passo di Musil a due versi del libretto dell'Orfeo di Monteverdi, tentando di vedermi la mente e possibilmente di autosuggestionarmi.
Quanto ai libri che ricevo o compro e leggo o di cui faccio carotaggio, li segnalerò citandone semplicemente dei passi, senza aggiungere giudizi che sembrino critica, e questo gesto significherà semplicemente che, per me, vale la pena comperare leggere quel libro.

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