Al posto dei generi, le dinamiche e le potenze

x.jpgPerché sono così angosciato nell’affrontare e lo studio e la stesura del romanzo a cui sto lavorando? Per due motivi. Da un lato l’immensa materia storica, davvero sconfinata, che mi travolge con il suo orrore: l’uomo che dovrebbe inventare e lavorare sull’immaginario si trova invenzione e immaginario schiacciati dalla Storia, non solo materialmente, ma soprattutto eticamente. Considerazione che introduce il secondo problema: non c’è un genere letterario a cui io possa appoggiarmi per realizzare l’opera che ho in mente di fare – non il genere storico, non il genere tragico, non il genere nero.


E’ questione, quindi, di una letteratura idiosincratica a cui sono mosso da un’esigenza collettiva, di cui mi sento necessariamente interprete (chiarirò in seguito i motivi di questa necessità). La memoria non alleata: piuttosto, essa è il fine, non la scheletratura del libro. Che il bene non fa romanzo era una verità popolare, fino a poco tempo fa, quando si parlava di romanzi; ma che il male, d’altro canto, si opponga al romanzo è una verità che sto sperimentando sulla mia pelle. Il Male esige una risposta che sia letteraria al grado zero dell’invenzione: starà tutto negli scorci e negli sguardi, cioè nei ritmi scelti, cioè in variazioni del silenzio, l’antimonumento che mi accingo a erigere, che funziona (deve funzionare per rispetto alla Storia stessa) come un complesso mandala che, terminato, va cancellato col plmo della mano aperta. Lavorare sull’Assoluto Antieroe non è previsto dalla tradizione moderna e contemporanea. La retorica da impegnarsi è quindi quella di dinamiche, che isolano l’individuo e isolano anche le masse e gli oggetti – al di fuori della logica allegorica, che da anni è la poetica che percorro.
Quanto a scenari, l’urbano e il naturale saranno ciò che dovrò vedere. In questo caso, il suggerimento proviene da un testo sì, ma non letterario – un consiglio, un’istruzione assai più profondi di quelli che in apparenza possono cogliersi. Il testo è L’oceano di beatitudine del liberato in vita di Sri Shankaracarya, uno dei grandi maestri dell’Advaita Vedanta, e nell’incipit ritrovo l’atteggiamento per proteggermi dalla materia con cui sono quotidianamente in bruciante contatto:

shankara.jpg“Osservando con distacco gli abitanti della città – gli uomini vestiti con grande cura, le donne ornate di preziosi gioielli – osservando con distacco se stesso in mezzo a loro, il saggio, la cui ignoranza è stata dissolta dalla grazia del Guru, non soggiace più all’illusione.

Vedendo gli alberi della foresta che curvano amorevolmente le proprie cime sotto il peso delle foglie e dei frutti, e che offrono ombra e rifugio a una moltitudine di uccelli dal piacevole canto, meditando di giorno sotto tali alberi, dormendo di notte sotto tali alberi, il saggio, la cui ignoranza è stata dissolta dalla grazia del Guru, non soggiace più all’illusione”.

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