Giuseppe Genna – La vita umana sul pianeta Terra

Adesso dico qualcosa di Jacopo Cirillo, che ha scritto una cosa per me impensabile, che mi dà una gioia infinita, pressoché infinita. Jacopo ha scritto una recensione a “La vita umana sul pianeta Terra”, che sarebbe quel mio libro che ho fatto per Mondadori. Ecco: non ha scritto una recensione. Parto dal primo dato per me importante, che sarebbe *la confezione*. Uno va su Finzioni all’articolo suddetto e vede Marte. Oh, è proprio Marte. Solo che non è Marte. E’ un’immaginazione di Marte, un rendering diffuso dalla Nasa per illustrare l’esplorazione di Curiosity, rover abbastanza angosciante che installa “La vita inumana sul pianeta Marte”. Che cosa c’entri Marte con lo stragista Anders Behring Breivik non sto qui a svelarlo: chi è interessato, in effetti, può andare alle ultime pagine del libro. Però, quando ci fu da fare il briefing sulla copertina, parlando con l’editor di Segrate, suggerii una via alternativa al volto ed era proprio una piana di Marte. Era un’immagine ignobilmente insignificante: sembrava un pezzo di Arizona, tipo Philip Meyer. Era lì il significato di una transustanziazione, che Jacopo denomina – molto più precisamente – “riallocazione”. In questo libro ho provato a fare esattamente quello che asserisce Jacopo Cirillo. Ho fantasmizzato, nebulizzato i personaggi, e mi sono mosso cercando di non-descrivere potenze non formali, quali: vuoto, annullamento, ricollocazione, prima volta. Queste sono le forme informali che mi interessava fare muovere. Non è letterariamente accettabile e magari l’ambizione non corrisponde minimamente all’esito – però non me ne frega niente, io volevo confrontare l’insufficienza dei miei linguaggi – le parole, queste antiche sorelle: addio… – con alcune correnti di potenza, laddove la potenza viene tanto bene ispezionata da Agamben, nella mia vita, rimandando ad Aristotele. L’abolizione è la forma di una fine? Cosa finisce davvero? E questo sarebbe un libro sulla “banalità del male” o, peggio, sul “Male”? Perché non è la prospettiva da cui guardavo io mentre scrivevo, magari insufficientemente scrivevo, ma scrivevo per l’appunto. Il “manto”, a cui fa riferimento Jacopo in questa incursione per me sorprendente e scatenata e algebricissima, è filologicamente un’intenzionalità. “La potenza è un manto di aria nell’aria”, diceva un poeta a me carissimo, e su questo perno, che non è soltanto estetico, sono andato a lavorare.
E’ abbastanza impressionante per me, inoltre, il fatto che Jacopo legga in modo *identico* a quello che da anni ho appreso ad apprendere da Ferruccio Parazzoli. Questo signore che ha fatto l’editoria italiana negli ultimi decenni è anche uno scrittore che, come si sa, io stimo particolarmente, per me si è rivelato in certo senso una figura magistrale. Parazzoli governa un’epistemologia del tutto personale, la quale si esprime con una retorica determinata e, almeno per me, determinante. E’ la prima volta che leggo qualcosa che, se non fosse firmata da Jacopo Cirillo, direi a occhi chiusi: questo è Parazzoli. Il fantasma regna sovrano ed è il medium per sfuggire al vecchio vizio della commedia umana, la quale si proporrebbe come ultima verità – e non è così. C’è un oltre, c’è un prima, una cecità, un’assenza di respiro, il pensiero che tace ma esiste. C’è un orientalismo occidentale. C’è una zona di neve non calpestata. Andiamoci, ma non lasceremo l’orma, ci saremo soltanto stati.
Queste parole di Jacopo Cirillo mi fanno “stare”, mi sembra quando giocavo con i soldatini su un plastico molto diverso da quello che utilizza per il suo maniacale hobby Frank Underwood. Faccio una mossa. Adesso la prossima mossa la fa Jacopo, e non con una recensione, ma con un libro.
PS. Mi scuso della splafonatura, ma non vedo perché dovrei frenare i miei entusiasmi.
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