Serena Vitale pubblica per Adelphi uno dei libri di prosa d’arte più impressionanti degli ultimi decenni italiani, “Il defunto odiava i pettegolezzi”. Sembrerebbe un saggio, non lo è; sembrerebbe un’indagine sulla morte e il successo della morte di Majakovskij, ma non è così. I moduli stilistici e gli sguardi impegnati e fatti collidere disegnano un ritratto della realtà che è delirio e storia. Il referto diviene cosmogonia o apocalisse, indifferentemente. La poesia domina e l’investigazione è una presa d’atto della psicosi e della febbre del mondo. Non si comprende perché non viene detto lippis et tonsoribus che la nostra più prestigiosa slavista è anche una delle più decisive scrittrici in un tempo in cui di autentici scrittori non si vede l’ombra o, se si vede, è quella di tre cactus nell’intero Mojave. Questa distruzione dell’epica è la costruzione di un’epica, la visione al contempo dall’esterno e dall’esterno, fondata sull’ambiguità assoluta della teoria percettiva nel “De Anima” di Aristotele e della pratica che fa coincidere la putrefazione universale e il vitalismo più trionfale, lo scetticismo da magistero storico e l’entusiasmo bambino che allibisce sempre il fenomeno umano sul pianeta Terra. Senza tema di smentita: è la letteratura. Sia grazie ulteriormente a Roberto Calasso per questo libro perturbante, per questa vetta artistica del nostro presente italiano, russo, internazionale: tutte maschere dell’apodissi letteraria.
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