Sto scrivendo di PPP ed esco sulla scaletta del cortile a fumare una sigaretta: troppo corsaro, PPP, mi tendo, mi va giù l’autostima, mi dico: mi rilasso. No. Sul ballatoio si affaccia l’intero pleistocene che emblematizza quello shoggoth femminile che mi abita sopra al terzo piano. Ha il braccio ingessato e urla: “Come va, Genna? Io mi hanno operata il 31 dopo la frattura, 40 giorni di gesso e avevo il braccio gonfio e storto e nero e le dita gonfie storte nere, mi hanno operato d’urgenza. La frattura era troppo scomposta, ma fatelo prima! No. Troppi problemi, le operazioni al cuore, il diabete, ho quarant’anni. Allora sono andata dieci volte avanti e indietro nel pronto soccorso, è scomposta, mi hanno fessurato il gesso e il braccio si deve essere mosso e si è scomposta di più, ho il polso, il collon, l’urna, la radio. Mi hanno operata, d’urgenza, altri quaranta giorni, ma adesso mi fa male il ginocchio perché mi scompongo. Sono 80 giorni di gesso! Non ce la faccio più, Genna. Non si cucina bene così e ho anche rifiutato la bombola dell’ossigeno. Mi sento sola. Non posso fare le cose con lo zucchero, ma va bene il dolcificante, ho anche lo scaffoide. Loro me lo dicono, ma io penso che rimane storto e ho un braccio storto, tutto, a metà, sembra un tentacolo di un polipo quando lo lessi, c’è la carne così, nera. Buona giornata, Genna, grazie!”. Torno a PPP, è meglio.
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