Discende la Dea delle Femmine e dice:
«Sia detto di sfuggita, la meditazione disumana non ha limiti. E’ una religione diretta.
Sono sempre turbata dall’avvenire dei bambini, delle sorelle. Mi si chiede perché non ho mai figliato: ma se tutte voi siete le mie figlie? Sono scesa nella cantina del vostro mondo per giudicarvi, una per una. Sorelle, figlie. Qualcosa del genere.
Ascoltate. Solo per sbaglio la femmina è madre.
Chi è madre ha un figlio, il furto; e una figlia, la fame.
Tutti gli astri nel mio utero non fanno un grammo della felicità che c’è in voi tutte.
Siete smemorate.
E’ un peccato che per essere felici ci voglia della felicità.
Proprio per questo mi sono degnata di scendere quei gradini lerci, umidi di urina di topo e di colostro, quei gradini che portavano qui da voi. Prendere una forma mi fa schifo. Voi mi fate schifo. Non voglio nemmeno accennare a quell’altra metà, il maschio: è ombroso e selvatico, e sa di cantina. Voi genere umano siete orrende. Con questi fili dei capelli e i depositi di grasso. Siete degli angeli e mi siete carissime.
Quanto abbiamo dovuto sopportare, tutte? Questo orrendo canale che è il parto. Queste acque. Queste doglie. Sempre a ficcare i grani del sale nella terra. Ad arare. A girare la ruota di legno delle stagioni e degli astri. Sappiamo benissimo cosa si rapprende negli sguardi jugoslavi di una vecchia madre.
I miei territori sono minacciosi. Le mie febbri sono precise.
Non ho restituito nulla, in cambio di un po’ di spazio e di un po’ di tempo. Vi sembra di avere respirato la storia intera attraverso la pelle. Quaggiù le distanze assorbono ogni particolare del paesaggio umano: peli, capelli, genomi apposti su un cadavere di ragazzina. L’altra metà della terra concepisce l’amore in forma di servaggio, lacerazione, strangolamento. E’ un omicidio continuo il sorriso dei maschi. Continuo a vedere quelle parole. Fiamma, spazio, immobilità, distanza. Vi siete trasformate in stati mentali che riesco quasi a visualizzare. Non so cosa significhi esattamente. Continuo a vedere figure in isolamento, osservo dimensioni fisiche del passato racchiuse all’interno delle emozioni che scaturiscono da parole, emozioni che si fanno più profonde col tempo. Questa è l’altra parola: tempo. Lo spazio non vi basta: questa geografia disossata e immobile… Vi serve il cinematografo. Tutte le vostre azioni tendono al cinematografo. Le vostre docce di gas si sistemano in una sala semibuia, cinematografica. Lì agite: madri, sorelle, figlie. Lì recitate.
Voi comprenderete che io stessa sto recitando: ma non per voi!; per me stessa.
Quando muore una madre, una sorella, una figlia il lutto è pesante e va tenuto nell’oscurità.
La vecchiaia è in qualche modo una malattia. Il canto della vita modesta è questo.
Vi odio, profondamente. Siete umane. Tenetemi nascoste le ragioni di ogni lutto.
Sono stanca che la luna troieggi con il sole tutto il tempo. Questo spicchio degli universi è intollerabile.
Me ne posso andare con un ammonimento: mentite alle madri, mentite alle sorelle, alla memoria delle sorelle. Mentite alle figlie.
Sciolgo fin da ora questi stati generali delle donne riunite in assemblea.Ogni cosa è vapore. Io sono l’acqua.
Già mi scivolate via dalle mani…»