NEL DECIMO ANNO

NEL DECIMO ANNO

a Gisella

Nel tuo decimo anno
sono avvelenate le date e
sconforti, fanno sera, su futuro e ieri
eri francamente, le mani, padre.
Sinuosamente non è mai figlio una stagione a sera
le sabbie nella cripta che è al cimitero
sabbia, sali, brine,
gemmee. Vito Genna è una turbata pianta
in accordo con me: e sfronda.
Povera piccina è. Tra i cespi soffia un trillo di leuto,
un’accomandita, è
imperativo avvitare se stessi lungo la calcìna secca
a orto, vite sicula, a secco
da padre a patrigno, dove?, da vite a vitigno.
Aria ovunque non nella cripta
dove la vela, dove liquido il limo? Di te.
Papà, papà: di mano in mano tocchi la mano franta
che è crisalide e cedua
a me larva, che parla, e dice:
Figlio. Figlio: fiumana, cinto, salici
di andare hanno abbastanza
e sono qui e me, qui e me e davanti
e dietro, qui e me e luna e morto.
Io sono morto, però.
Fratelli miei vi vedo accatastarsi.
Fungono della terra
i boschi verticalmente vanno ben altri, ben altri
putre fango di cielo in mano a me, o madre!,
larva!, io te vedo!, io ti vedo!
Disse e sparire era tanto,
era pianto.
Inutile cantare è resistere a tanto canto
amici di oggi, ora entrati, e non sapete, non sapete mai
di padre in padre cosa stella e vaneggiare
è ruggine, è rimasto: sono io qui.
Anima rara l’anima, è rara e tu, è tutto.

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